Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24337 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13-2015 proposto da:

C.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

PRATI DEGLI STROZZI 30, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

ZANGRILLI rappresentato e difeso dall’avvocato GIOACCHINO SANFILIPPO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESSARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1202/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO

12/06/2014, depositata il 16/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAGETTA ANTONELLA;

udito l’Avvocato Sanfilippo Gioacchino difensore del ricorrente che

insiste per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

C.G.S. chiede, sulla base di un unico motivo, la cassazione della sentenza con la quale la Corte di appello di Palermo, in adesione agli esiti della disposta consulenza tecnica d’ufficio, ha respinto il gravame dell’odierno ricorrente avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda della parte privata intesa al conseguimento dell’indennità di accompagnamento L. n. 18 del 1980, ex art. 1. L’INPS ha resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Con l’unico motivo parte ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 115, 116 e 190 c.p.c., censurando, in sintesi, la decisione per non avere preso in considerazione le richieste formulate in sede di controdeduzioni alla relazione peritale, di rinnovo della consulenza.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., ha concluso per la inammissibilità del ricorso. Il Collegio condivide tale valutazione la quale non risulta inficiata dalle deduzioni difensive sviluppate in memoria dalla parte ricorrente.

Si premette che in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata – il 16.6.2014 -, in relazione al denunziato vizio di motivazione, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo attualmente vigente. Con riferimento alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (Cass. ss. uu. n. 8053 del 2014).

In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., Cass., SU, 8053/2014 cit.). Inoltre, se con il termine punto (rilevante agli effetti della precedente formulazione del vizio di motivazione) era possibile individuare qualunque fatto, elemento, questione, situazione o circostanza in ordine alla quale la motivazione potesse essere viziata, il concetto di fatto, più specifico, dal punto di vista naturalistico e giuridico in ordine al quale assume rilievo il vizio di motivazione compendia i “fatti principali”, ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso) come individuati dall’art. 2697 c.c., e giammai, dopo la riforma del vizio di motivazione, può considerarsi equivalente a “questione” o “argomentazione”, dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico – naturalistico (cfr., ex multis, Cass. 21152/2014).

Parte ricorrente non ha sviluppato il motivo di ricorso in termini coerenti con tali prescrizioni.

Premesso, infatti, che alla luce della nuova formulazione dell’art. art. 360 c.p.c., n. 5, non possono trovare ingresso censure attinenti alla insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si rileva che l’odierno ricorrente non ha individuato il fatto stoico, avente carattere di decisività, che ha costituito oggetto di discussione fra le parti ed il cui esame è stato omesso dal giudice di appello. Tale fatto non potrebbe comunque individuarsi nel dedotto mancato esame delle controdeduzioni alla relazione peritale, le quali non configurano alcun fatto, in senso materiale, come, invece, prescritto.

Occorre ancora evidenziare che il contenuto di tali controdeduzioni, sinteticamente riassunto dal ricorrente, si limita ad esprimere, in merito ad alcune patologie (artrosi polidistrettuale, deficit visivo) un mero dissenso diagnostico, rispetto alle conclusioni dell’ausiliare, che in quanto non attinente a vizi del processo logico formale alla base della decisione, si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice. (v. tra le altre, Cass. ord. n. 1656 del 2012).

In conclusione, in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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