Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24337 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 03/11/2020), n.24337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24876/2018 proposto da:

O.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico Corradini,

giusta procura in calce al ricorso per cassazione, ed elettivamente

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BOLOGNA n. 89/2018

pubblicata il 10 gennaio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 10 gennaio 2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 18 ottobre 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da O.D., cittadino della (OMISSIS), contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e della protezione umanitaria.

2. Il ricorrente ha riferito di essere di religione cristiana e di avere assistito all’uccisione del padre; di avere denunciato gli assassini alla polizia e di avere vissuto per i successivi otto mesi con lo zio, fino a quando questi gli aveva chiesto di lasciare il paese perchè veniva infastidito dagli assassini del padre.

3. La Corte territoriale ha rilevato che le dichiarazioni del richiedente erano fumose e contraddittorie e che, in ogni caso, le vicende riferite non potevano qualificarsi come atti persecutori; che non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria poichè lo stesso richiedente aveva riferito che la polizia locale aveva arrestato tre dei cinque responsabili dell’omicidio del padre, nè nel paese di provenienza del richiedente esisteva una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; la incredibilità e/o irrilevanza delle allegate circostanze escludeva anche la sussistenza dei requisiti di protezione umanitaria, non sussistendo, peraltro, la denunciata situazione di minaccia grave alla vita e alla persona derivante dalla violenza indiscriminata determinata da conflitto armato interno o internazionale.

4. O.D. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato ad un unico motivo.

5. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

6. Con ordinanza interlocutoria del 23 ottobre 2019, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della rilevanza dell’integrazione socio-lavorativa dello straniero nel territorio dello Stato ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, apprezzamento da compiersi anche attraverso una valutazione comparativa rispetto alla situazione esistente nel Paese di origine.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, avendo la Corte territoriale omesso di considerare che la protezione umanitaria può essere concessa anche in assenza di riscontro positivo quanto alla credibilità del richiedente e corredato il relativo diniego di una motivazione apparente, perchè priva di considerazione critica degli elementi addotti dalla difesa.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 I giudici di secondo grado, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, dopo avere ritenuto non credibile il racconto del ricorrente, hanno affermato che “La incredibilità e la irrilevanza delle allegate circostanze, prive di ogni relazione con le situazioni di pericolo e persecuzione che la normativa sulla protezione internazionale intende tutelare, esclude anche la sussistenza dei requisiti di protezione umanitaria previste in detto decreto che sono quelle “serie” di cui agli artt. 18, 19 e 20, non sussistendo inoltre la attuale minaccia grave alla vita o la persona derivante dalla violenza indiscriminata da situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

1.3 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

1.4 Il ricorrente, peraltro, svolge doglianze totalmente generiche e, non curandosi nemmeno della specifica ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, sollecita ancora una volta un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che hanno, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva.

Inoltre, il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità, come affermato da questa Corte con la pronuncia 23 febbraio 2018, n. 4455.

2. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna O.D. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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