Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24336 del 29/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24336 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 15810-2011 proposto da:
COOPERATIVA DI LAVORO TEAM SERVICE SUD SOCIETA’
COOPERATIVA A R.L. 05938581211, quale successore:
COOPERATIVA

DI

LAVORO

TEAM

SERVICE

SOCIETA’

COOPERATIVA A R.L. in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
2013
2270

in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio
dell’avvocato BUONAVOGLIA GIOVANNA, rappresentata e
difesa dagli avvocati FRANCESCO MARIA CAPITANIO,
CHIOSI AUGUSTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 29/10/2013

contro

ALBANO ANNA NATA IL 30/06/068, BATTAGLIA ANTONIO NATO
IL 01/10/67, CACACE VINCENZO NATO IL 26/07/61,
CAMPANA SAVERIO NATO IL 23/04/65, CANTALICE ANTONIO
NATO IL 05/11/62, COPPOLA GIUSEPPA NATA IL 26/05/68,

NATO IL 23/0273, DE PIETRO FLORA NATA IL 02/01/50,
D’ELIA NICOLA ANTONIO NATO IL 02/05/61, DI FIORE CIRO
NATO IL 06/05/57, ESPOSITO ANTONIO nato a il
22/08/1965, ESPOSITO ANTONIO NATO IL 21/11/49, FUSCO
GIOVANNI NATO IL 24/05/69, GUERRIERO LUIGI NATO IL
20/10/66, IMPROTA MARIA NATA IL 12/08/71, IVONE
DOMENICO NATO IL 6/10/66, LO PICCOLO ANTONIO NATO IL
25/05/53, MARZATICO NUNZIO NATO IL 24/08/70, MASULLO
ACHILLE NATO IL 13/02/71,PALOMBA ROSARIO NATO IL
13/03/64, PAOLILLO SALVATORE NATO IL 21/06/54,
PICCOLO ANGELO NATO IL 29/09/45, PIZZO ANTONIO NATO
IL 06/04/66, PRIORE ANNAMARIA NATA IL 07/04/61, ROCCO
DORA NATA IL 01/03/70, ROCCO GIUSEPPE NATO IL
01/06/70, ROMANO VINCENZO NATO IL 09/03/60, RUGGIERO
SEBASTIANO NATO IL 22/11/67, RUSSO TERESA NATA IL
08/11/54, SORANO ROSARIO NATO IL 20/09/65, TROIANO
GIUSEPPE NATO IL 17/01/79, VECCHIONE GENNARO NATO IL
20/12/66,tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
XX SETTEMBRE 4 C/0 CAF PROFESSIONE FISCO S.R.L.,
presso lo studio dell’avvocato RUSSO MARIO, che li

CURRARONE PATRIZIO NATO IL 13/04/61, D’AVINO GIOVANNI

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 7842/2010 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/02/2011 r.g.n.
5663/2006;

udienza del 25/06/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato MARIO RUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 15810/11
Ud. 25.6.2013

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata in data

LI:UFEI 28 febbraio 2001, ha condannato la Cooperativa Team
Service s.r.l. a corrispondere a Palomba Rosario e agli altri
litisconsorti indicati in epigrafe, odierni controricorrenti,
l’indennità sostitutiva di preavviso.
I lavoratori, addetti al servizio di pulizia, con telegramma del
3 luglio 2000 erano stati licenziati, con preavviso, per cessazione
dell’appalto a far data dal 17 luglio 2000. L’appalto era stato
successivamente prorogato fino al 17 ottobre 2000, senza che i
lavoratori ne venissero informati. Alla scadenza dell’appalto i
lavoratori vennero di fatto licenziati, senza preavviso.
La Corte d’Appello, per quanto ancora rileva in questa sede,
ha ritenuto che la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo la
scadenza del primo appalto, dovesse essere considerata quale
revoca tacita del primo licenziamento e che quindi fosse necessario
un nuovo preavviso.
Né, ad avviso della stessa Corte, poteva ritenersi che, essendo
i lavoratori transitati alle dipendenze di altra azienda, non fosse
necessario il preavviso, atteso che il rapporto di lavoro con la
cooperativa Team Service era cessato il 17 ottobre 2000, mentre i
lavoratori vennero riassunti dal nuovo datore di lavoro il 9
novembre 2000.
Propone ricorso per cassazione la società cooperativa sulla
base di sei motivi. I lavoratori resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione dell’art. 414 cod. proc. civ. nonché

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2

vizio di motivazione, deduce che la sentenza impugnata ha
erroneamente respinto le eccezioni di nullità ed inammissibilità
dell’atto introduttivo per non essere stati precisati in tale atto i fatti
posti alla base dei diritti azionati e per non essere stati indicati i
conteggi analitici relativi ai singoli importi richiesti.

risposta alla prima di dette censure, rilevando che i ricorsi
introduttivi contenevano “tutti gli elementi di fatto e di diritto
necessari per la decisione”.
Quanto all’altra censura, la questione non è stata affrontata
dalla Corte anzidetta, la quale si è limitata a confermare la
decisione di primo grado, ma la ricorrente non spiega i motivi per i
quali dall’atto introduttivo non fosse possibile desumere il quantum
delle singole pretese, in quali termini la questione è stata posta in
primo grado e i motivi specificamente dedotti al riguardo in sede di
appello. Tutto ciò in violazione del principio di autosufficienza del
ricorso.
2. Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 18, comma 7, L. 55/90, 345, comma 2,
c.p.c., 2697 cod. civ. nonché insufficiente motivazione.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha
ritenuto che la cooperativa Team Service, non iscritta ad alcuna
delle associazioni stipulanti, avesse implicitamente prestato
adesione al CCNL relativo alle imprese di pulizia. Al riguardo era
infatti necessaria una costante e prolungata applicazione di tutte le
clausole pattizie ai singoli rapporti, circostanza questa non
ricorrente nella specie.
Inoltre la Corte di merito ha errato nel ritenere che la Team
Service, quale appaltatrice di un servizio pubblico, fosse tenuta, ai
sensi dell’art. 18, comma 7, della legge n. 55/90, all’applicazione
del contratto collettivo.
3.1. La prima censura è infondata.

2. Il motivo è infondato, avendo la Corte di merito dato

3

La Corte di merito ha affermato che la cooperativa faceva
applicazione di “istituti di esclusiva origine contrattuale quali

incrementi automatici, EDR, IVC, quattordicesima mensilità, etc.”.
Dalla costante e prolungata applicazione di tali istituti ha
desunto che la ricorrente, pur non essendo iscritta ad alcuna delle

contrattazione collettiva.
Tale accertamento non è sindacabile in questa sede, avendo
questa Corte in proposito affermato che i contratti collettivi
postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga

omnes ai sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti
aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai
rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi
iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale
condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure
li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento
concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione,
senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo
rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento,
per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato
contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al
rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre
ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha
il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere
dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in
difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli
atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente
sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata
(Cass. 3 agosto 2000 n. 10213; Cass. 30 luglio 2001 n. 10375).
Nella specie la Corte di merito ha compiuto siffatta
valutazione, pervenendo alla conclusione della adesione implicita
alla contrattazione collettiva.

associazioni stipulanti, implicitamente abbia aderito alla

4

Peraltro la ricorrente nemmeno indica gli istituti contrattuali
dalla medesima non applicati al fine di escludere tale adesione,
limitandosi ad affermare che per conseguire tale effetto fosse
necessaria una costante e prolungata applicazione di “tutte” le
clausole pattizie.

precedente.
4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 2118 cod. civ., osservandosi che erroneamente la Corte di
merito ha interpretato la prosecuzione della prestazione lavorativa
quale revoca tacita del licenziamento. Una volta infatti cessata la
proroga dell’appalto, non potevano che cessare anche i singoli
rapporti di lavoro, rendendosi superfluo un secondo preavviso in
aggiunta al primo.
5. Con il quarto, il quinto e il sesto motivo si denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cod. civ., erronea
interpretazione e valutazione delle circostanze di fatto e delle
risultanze

istruttorie

nonché

omessa,

insufficiente

e

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio.
Si osserva che, diversamente da quanto ritenuto dalla
sentenza impugnata, non poteva essere indicato “fin dall’inizio il
termine della proroga” dell’appalto, attenendo tale adempimento a
scelte dell’ente appaltante “in ordine alle quali l’imprenditore non
aveva alcun potere decisionale”. Non essendo la cooperativa in
grado di conoscere la durata dell’appalto, non poteva comunicarla
ai propri dipendenti.
Si aggiunge che nella specie si

è verificato un mero

differimento dell’efficacia del licenziamento: il licenziamento
“sarebbe stato effettivo dal 17/7/00”; in caso di proroga
dell’appalto, ferma restando la volontà risolutoria della società, la
cessazione del rapporto sarebbe slittata, coincidendo con la
cessazione della proroga. A tale data, il licenziamento già intimato

3.2. La seconda censura è assorbita dal rigetto della

5

e momentaneamente sospeso, è tornato a produrre pienamente
effetto.
Peraltro, i lavoratori il 9 novembre 2000 sono transitati alle
dipendenze della nuova azienda subentrante nell’appalto,
proseguendo sostanzialmente l’attività lavorativa. Non era quindi
dopo ventuno giorni.
6. Tutti predetti motivi, che in ragione della loro connessione
vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
L’istituto del preavviso è ispirato dalla ratio di consentire al
lavoratore la ricerca di una nuova occupazione in conseguenza
della cessazione del rapporto di lavoro.
Quanto più il preavviso è tempestivo, tanto più il lavoratore
ha la possibilità di trovare una nuova occupazione.
Eventi successivi alla mancata comunicazione del preavviso,
quale il reperimento di un nuovo posto di lavoro in un termine più
o meno lungo, non incidono sull’obbligo legale posto a carico del
datore di lavoro, il quale è tenuto, a norma dell’art. 2118 cod. civ.,
ad informare il lavoratore che da una certa data in poi il rapporto
sarà definitivamente cessato.
Di nessun rilievo è quindi il fatto che i lavoratori siano stati
nella specie riassunti dopo ventuno giorni dalla cessazione del
rapporto di lavoro con la società ricorrente, non valendo tale
circostanza a giustificare l’inadempienza del datore di lavoro.
Né può affermarsi che la comunicazione del datore di lavoro
del 3 luglio 2000 (“Comunichiamo licenziamento causa cessazione

appalto decorrenza 17.7.00 salvo proroga vale come preavviso”)
fosse idonea, una volta proseguiti i lavori fmo al 17 ottobre 2000, a
valere come preavviso per la cessazione del rapporto a tale data,
dovendo piuttosto ritenersi che la prosecuzione della prestazione
lavorativa da parte del dipendente oltre la data di scadenza del
preavviso fissata con la comunicazione del licenziamento
costituisce, in relazione al comportamento delle parti del rapporto

necessario il preavviso, tenuto anche conto che sono stati riassunti

6

di lavoro, una manifestazione di volontà di revoca tacita del
licenziamento già intimato, stante l’obiettiva incompatibilità
dell’iniziale dichiarazione di recesso con la successiva protrazione
dell’attività lavorativa, e non potendo configurarsi una facoltà della
parte recedente di determinare il momento di produzione degli

negoziale perfezionatosi con la comunicazione al lavoratore (cfr., in
questi termini, Cass. 25 ottobre 1997 n. 10624).
Priva di rilievo, infine, è la circostanza – che peraltro la
ricorrente non deduce di avere rappresentato in sede di appello e
che la sentenza impugnata non affronta – secondo cui la
cooperativa non fosse a conoscenza della data finale della proroga,
non essendo una siffatta evenienza opponibile al lavoratore e, tanto
meno, idonea a far venire meno un obbligo inderogabile posto dalla
legge a carico del datore di lavoro, della cui mancata osservanza è
tenuto a subire le conseguenze.
7. La ricorrente, soccombente, va condannata al pagamento
delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore
dei resistenti, in 50,00 per esborsi ed 3.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge, con distrazione a favore del
loro difensore, Avv. Mario Russo.
Così deciso in Roma in data 25 giugno 2013.

effetti del recesso in data diversa da quella già indicata con l’atto

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