Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24335 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1268/2014 proposto da:

V.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRO

VIVENZA 41, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GARRETTO, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso; (Ammesso

G.P.);

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, giusta delega in calce al

ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 693/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del resistente che si

riporta ai motivi scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non infirmata dalla memoria depositata dalla parte ricorrente.

2. La Corte d’appello di Catania respingeva il gravame svolto dall’attuale ricorrente avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento del beneficio preteso.

3. Propone ricorso V.R..

4. L’INPS ha rilasciato delega in calce alla copia notificata del ricorso.

5. Il ricorso è qualificabile come inammissibile.

6. Occorre premettere che la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con D.M. 5 febbraio 1992, in attuazione del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 2, integra una norma primaria ed è vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice, che prescinda del tutto dall’esame di tale tabella, comporta un vizio di legittimità denunciabile con ricorso per cassazione per violazione di legge (v., fra le altre, Cass. 17644/2016 e i precedenti ivi citati).

7. Nella specie non risulta devoluta la violazione di legge e viene assertivamente e genericamente evocata la riduttiva ed erronea interpretazione ed assegnazione delle patologie alle categorie previste dalle tabelle di legge, unitamente all’inadeguata applicazione della formula Gabrielli.

8. Per il resto, il mezzo d’impugnazione devolve un vizio motivazionale, nei termini di un’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (così nel ricorso) e, nella pagina successiva, evoca il vizio motivazionale nella forma, inapplicabile ratione temporis, dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ed è, pertanto, necessario precisare quanto segue, tenuto peraltro conto che non è dato sapere, dal ricorso all’esame, se le critiche alla consulenza tecnica d’ufficio (confermativa, quanto alle conclusioni, di quelle già rassegnate, in prime cure, dal precedente ausiliario) siano già state svolte dinanzi al giudice a quo.

9. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, e con specifico riferimento alle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.

10. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (v., tra le altre, Cass. n. 4570/2013, n. 26558/2011, n. 9988/2009 e n. 8654/2008).

11. Per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativi, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (v. fra le altre, Cass. n. 10222 del 2006, 7078 del 2006).

12. Tale affermazione deve essere ora correlata alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, nel senso chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SU n. 8053 del 2014 e successive con formi).

13. In particolare è stato precisato che il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

14. Alla luce della giurisprudenza richiamata il motivo in esame risulta inidoneo alla valida censura della decisione posto che parte ricorrente ha contrastato l’accertamento di appello mediante richiami generici ai documenti in atti dei quali, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non ha indicato la sede processuale di relativa produzione, limitandosi a denunciare il mancato risalto della concorrenza delle affezioni denunciate.

15. A tale stregua il ricorrente non prospetta le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., n. 8932 del 2006, n. 1108 del 2006, n. 21659 del 2005, n. 16132; del 2005, n. 3803 del 2004, n. 15177 del 2002, n. 4777 del 1998) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass. n. 3158 del 2003, n. 12444 del 2003, n. 1161 del 1995).

16. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

17. Non si provvede alla condanna alle spese, avendo già la Corte territoriale dato atto della sussistenza delle condizioni reddituali di esonero, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv. – con modificazioni – nella L. 24 novembre 2003, n. 326, ratione temporis applicabile, trattandosi di procedimento avviato successivamente al 2 ottobre 2003.

18. Infine, pur essendo al ricorso applicabile, ratione temporis, la novella al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – che apporta innovazioni al regime delle spese di giustizia per il caso di rigetto o declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione – deve escludersi il pagamento aggiuntivo collegato al rigetto integrale o alla definizione in rito dell’impugnazione, sulla base della rituale ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio (cfr., ex multis, Cass. 2023/2015; 18523/2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara insussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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