Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24335 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 06/07/2017, dep.16/10/2017),  n. 24335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16278-2013 proposto da:

D.G.V.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA LAGO TANA 59, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

MATTIOLI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI AMBROSIO;

– ricorrente –

contro

A.F.Z., elettivamente domiciliato in ROMA, V. ANGELO

EMO 106, presso lo studio dell’avvocato CIRO CASTALDO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO AURICCHIO;

– controricorrente –

nonchè contro

A.R.S., A.G., N.C.,

G.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4289/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO FRANCESCO MAURO che ha concluso per cassazione con

rinvio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2006 la ricorrente D.G.V.N. ha proposto domanda nei confronti di N.A.: premesso che Au.Ro., proprietaria di immobili, l’aveva nominata erede universale con testamento olografo, era deceduta e il testamento era stato pubblicato, chiedeva di accertare la sua proprietà dei beni immobili facenti parte dell’asse ereditario e di condannare il convenuto a rilasciare i beni e a pagare il risarcimento dei danni. Si costituiva N.C., nella qualità di procuratrice generale del fratello A., affermando che l’attrice D.G. era stata condannata con sentenza penale passata in giudicato per circonvenzione di incapace ai danni di Au. e che il testamento era in ogni caso nullo o in subordine annullabile e chiedendo il rigetto della domanda. Interveniva poi volontariamente G.F. nella qualità di procuratore speciale di T.V., affermando che Au. era proprietaria di solo metà degli immobili, essendo l’altra metà di proprietà di T..

Il Tribunale di Nola, con sentenza dell’11 febbraio 2010, ha rigettato la domanda dell’attrice, qualificata come azione di petizione di eredità, e ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dall’interventore.

2. D.G. ha proposto appello nei confronti di N.C., quale procuratrice del fratello, e di G.F., quale procuratore di T.V.; quest’ultimo ha proposto appello incidentale. Si è costituito nel giudizio A.F.Z., affermando di essere erede di N.A., deceduto nell'(OMISSIS), in base a un testamento olografo. L’appellante D.G. proponeva allora querela di falso avverso il testamento.

All’udienza dell’8 giugno 2011, la Corte d’appello di Napoli ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi testamentari di N.A..

La Corte di appello ha dichiarato, con sentenza 27 dicembre 2012, l’inammissibilità dell’appello principale e di quello incidentale.

3. D.G. ha impugnato la pronuncia con ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.

A.F.Z. ha proposto controricorso.

Ricorrente e controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 330 c.p.c., (art. 360, comma 1, n. 3)” e “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 164 c.p.c., comma 2, (art. 360, comma 1, n. 3)”.

I due motivi, che essendo strettamente connessi vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.

Essi censurano la prima parte della pronuncia impugnata, laddove la Corte di appello affronta la questione della proposizione dell’appello principale nei confronti di N.C. quale procuratore generale del fratello, presso il difensore del giudizio di primo grado, quando N.A. era già deceduto.

La Corte di merito, in effetti, richiamando una pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione del 2009 (n. 26279), ha ritenuto invalida la vocatio in ius (escludendo la possibilità di applicare la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., trattandosi non di vizio che importi la nullità della notificazione, ma di errore incidente sulla vocatio in ius).

La pronuncia della Corte d’appello è quindi errata alla luce dell’attuale orientamento della Corte di cassazione, per il quale, in nome della regola c.d. dell’ultrattività del mandato alla lite, “è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, presso il procuratore, alla parte deceduta” (Cass., sez. un. n. 15295/2014).

La Corte d’appello, però, una volta qualificato il vizio come incidente la vocatio in ius, non ha per questo dichiarato inammissibile l’appello, ma, applicando l’art. 164 c.p.c., ha ritenuto il vizio sanato dalla costituzione di A.F.Z., qualificatosi erede di N.A.: “la costituzione in giudizio di uno degli eredi – ha detto la Corte d’appello – ha sanato nei suoi confronti, con effetti retroattivi ex art. 164 c.p.c., la nullità dell’appello, impedendo il verificarsi della decadenza dall’impugnazione”.

2. La ragione della dichiarazione di inammissibilità della impugnazione sta invece nella parziale ottemperanza dell’ordine di integrazione del contraddittorio, reso all’udienza dell’8 giugno 2011 dalla Corte d’appello di Napoli (già ricordato supra nella ricostruzione dei fatti).

Veniamo così al terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. (art. 360, n. 3 e n. 4), in quanto tale ordine non sarebbe dovuto essere stato disposto dal collegio (che avrebbe dovuto invece disporre “la rinnovazione dell’appello principale”) e poi perchè esso sarebbe stato ottemperato.

Il motivo è infondato. Essendosi costituito in giudizio un erede, depositando schede testamentarie dalle quali risultavano altri tre eredi, la Corte doveva, come ha fatto, ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti necessarie del giudizio. La ricorrente D.G. ha adempiuto, come essa stessa riconosce, solo parzialmente all’ordine, integrando il contraddittorio nei confronti di A.G. e di A.R.S., ma non nei confronti di N.C., con conseguente necessaria dichiarazione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non potendosi ritenere l’ordine adempiuto per il fatto che l’appellante incidentale G. l’abbia notificato a Cristina N. la sola comparsa di risposta contenente l’appello incidentale.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese sono liquidate, in dispositivo, seguendo la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 3.200 per compensi, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda Sezione Civile, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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