Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24335 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 03/11/2020), n.24335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21321/2018 proposto da:

Y.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Sonia Raimondi,

giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione,

elettivamente domiciliato in Roma, via Panama, n. 86, presso lo

studio dell’Avv. Andrea Melucco.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di BOLOGNA n. 61/2018

pubblicata il 8 gennaio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata in data 8 gennaio 2018, ha rigettato l’appello proposto da Y.A., cittadino del (OMISSIS), nei confronti dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna il 16 agosto 2016, che aveva respinto il ricorso contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e della protezione umanitaria.

2. Il ricorrente ha riferito che dopo l’uccisione del padre nel 2002, era andato a vivere con il fratello, che era capo villaggio e militante del partito al potere con il presidente C.; che nel (OMISSIS), dopo che era salito al potere D.G., il fratello era scappato, ma non conosceva i motivi della fuga; di avere lasciato il paese perchè i cittadini del villaggio dove viveva erano venuti a cercarlo per fargli del male, ma di non sapere il perchè gli volessero fare del male e di avere avuto paura sia per gli abitanti del villaggio, sia per la situazione di instabilità del paese di provenienza.

3. La Corte territoriale ha ritenuto condivisibile la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente perchè non circostanziato e ha affermato che la situazione socio-politica del Burkina Faso era in miglioramento, quanto al godimento delle garanzie democratiche e delle libertà civili, e ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato generalizzato in relazione alla protezione sussidiaria.

4. Y.A. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

6. Con ordinanza interlocutoria del 12 luglio 2019, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione sulla applicabilità del D.L. n. 113 del 2018, alle domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore della stessa legge, nonchè sull’applicabilità del permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

7. Il ricorrente ha depositato memoria con allegati documenti.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. In via preliminare va rilevata la tardività della documentazione prodotta dalla parte ricorrente, atteso che nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. (Cass., 12 novembre 2018, n. 28999).

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè il vizio di omessa pronuncia ovvero di motivazione apparente in ordine alla richiesta di protezione umanitaria, poichè la Corte di appello si era limitata ad argomentare il diniego della richiesta protezione internazionale, senza pronunciarsi sulla reclamata protezione umanitaria.

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 2 Cost. e art. 8 CEDU e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame su un punto decisivo della controversia poichè la Corte territoriale, nonostante l’ampia documentazione allegata in sede di giudizio di merito, non aveva considerato il suo inserimento sociale e lavorativo e comparativamente la grave lesione ai suoi diritti fondamentali, qualora fosse stato costretto a rientrare nel suo paese di origine.

3.1 Le censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto intimamente correlate, sono inammissibili.

3.2 Deve rilevarsi, innanzi tutto, che la pronuncia delle Sezioni Unite del 13 novembre 2019, n. 29459, ha definitivamente affermato che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge.

Tali domande saranno, pertanto, vagliate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L..

3.3 La censura sull’omessa pronuncia sulla domanda di concessione della protezione umanitaria è inammissibile.

All’affermazione relativa all’omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria e al mancato esame dei documenti attestanti circostanze di fatto riguardanti il percorso di inserimento del ricorrente in Italia, non si associa alcun riferimento agli atti processuali, che vengono genericamente richiamati, inteso a consentire a questa Corte una verifica “prima facie”, della fondatezza della doglianza.

3.4 Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 4 marzo 2013, n. 5344).

Tale consolidato indirizzo è stato affermato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, con la decisione del 28 luglio 2005, n. 15781, così massimata: “Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività”.

3.5 Con riferimento, poi, al vizio in esame, è stato affermato che il vizio di ultrapetizione, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un “error in procedendo” in relazione al quale la Suprema Corte ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni formulate in giudizio dalle parti. Il dovere di riesame del fatto processuale, tuttavia, non implica anche quello della sua ricerca, salvo che non vengano denunciati vizi rilevabili d’ufficio, tra i quali non rientra quello di ultra o extrapetizione. La parte che richiede un tale riesame, quindi, ha l’onere – per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione – al quale è condizionato il potere inquisitorio del giudice di legittimità, di specificare tutti i riferimenti necessari per individuare l’asserita violazione processuale, onde evitare che la sua censura si risolva in una affermazione apodittica, priva di qualsiasi sussidio fattuale e logico riscontrabile nel ricorso (Cass., 3 marzo 2008, n. 5743; Cass., 23 gennaio 2004, n. 1170).

3.6 In conclusione, sussiste il vizio di omessa pronuncia, che si configura quando manchi qualsiasi statuizione su un capo della domanda o su una eccezione di parte sì da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass., 23 marzo 2017, n. 7472; Cass. 29 marzo 1999, n. 3020; Cass. 23 febbraio 1995, n. 2085).

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 112 e 10 c.p.c. e art. 11 Cost., poichè la Corte di appello aveva affermato la non credibilità del suo racconto in relazione al suo paese di provenienza e alle ragioni che lo avevano indotto all’espatrio, senza che la circostanza fosse stata contestata dalle altre parti processuali.

4.1 Il motivo è inammissibile.

4.2 In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

Inoltre, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

4.3 Ciò posto la Corte di appello, con valutazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che i motivi di appello non fossero idonei a inficiare la correttezza della valutazione di non credibilità operata dalla Commissione territoriale (che, dopo avere sottolineato che la situazione di sicurezza in Burkina Faso andava normalizzandosi, aveva ritenuto non credibile il racconto perchè il ricorrente non aveva saputo circostanziare il motivo della fuga del fratello, nè la causa che avrebbe spinto gli abitanti del villaggio a fargli del male) e dal Tribunale (che aveva altresì espresso dubbi sulla documentazione prodotta riguardante la deliberazione di elezione a sindaco del fratello risalente al (OMISSIS), relativa a persona con generalità diverse da quelle indicate dallo stesso ricorrente con riferimento al fratello e che le fonti internazionali attestavano un netto miglioramento delle garanzie democratiche e delle libertà civili in Burkina Faso dopo il fallito colpo di Stato del settembre 2015), poichè il ricorrente, con affermazione apodittica, aveva riferito di avere compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e che il riferimento all’atto terroristico verificatosi il 15 gennaio 2016 nella capitale presso l’Hotel (OMISSIS) non valeva, di per sè, a far ritenere che in Burkina Faso fosse presente una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato interno tale da minacciare gravemente la vita e l’incolumità fisica degli abitanti.

In definitiva, mentre con riguardo al profilo della situazione personale del ricorrente, la Corte d’appello ha effettuato la verifica di credibilità richiesta dalla legge, con riguardo al profilo della situazione obiettiva del paese di provenienza ha acquisito i necessari elementi informativi, sia pure richiamando quelli della Commissione e del Tribunale, traendo da essi l’accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126, comma 1, in relazione al provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio.

5.1 Il motivo è inammissibile

Questa Corte, al riguardo, ha affermato che il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato, sia con separato decreto (come nel caso in esame), che all’interno del provvedimento di merito), deve essere sempre considerato autonomo e di conseguenza soggetto ad un separato regime di impugnazione ovvero l’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 e contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost., mentre è escluso che della revoca irritualmente disposta dal giudice del merito possa essere investita la Corte di cassazione in sede di ricorso avverso la decisione (Cass., 28 luglio 2020, n. 16117).

6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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