Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24334 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 04/10/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 04/10/2018), n.24334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2692/2012 R.G. proposto da:

D.B., rappresentato e assistito giusta delega in atti

dall’avv. Massimo Pellegrino Cavalluzzo unitamente all’avv. Silvio

Bozzi con domicilio eletto in Roma, Corso Trieste n. 88;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 186/28/11 depositata 6/06/2011 non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

12/7/2018 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha accolto in parte l’appello del contribuente, rideterminando quanto accertato dall’Amministrazione Finanziaria in misura minore da quanto indicato nell’atto impugnato;

– con tal atto l’Erario richiedeva maggiori imposte per IRPEF, IVA ed IRAP 2004 a seguito di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. D);

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente, con atto affidato sostanzialmente a due motivi, articolati come sub-censure di un unico formale motivo;

– resiste con controricorso l’Erario.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo (costituito da una prima censura, numerata sub. N. 1 nel duplice unico motivo come redatto in ricorso), si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 97 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè connessa carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5); contestualmente, si denuncia anche (con seconda censura, numerata sub. N. 2 nell’unico motivo come redatto in ricorso) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– Il motivo è inammissibile, oltre che infondato;

– osserva la Corte che in forza della ormai sua costante giurisprudenza sul punto (e multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15242 del 12/09/2012) è inammissibile il motivo di ricorso che presenti la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro;

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse;

– Nondimeno, il motivo è comunque, nelle sue due sub-articolazioni, anche infondato;

– In primo luogo, le censure ivi svolte risultano in concreto dirette a colpire il contenuto dell’avviso di accertamento, più che criticare la sentenza impugnata, come dovevasi;

– Ulteriore ragione di infondatezza del motivo deriva in secondo dal fatto che i grammi di caffè necessari per la produzione di una tazzina della bevanda rappresentano solo uno degli elementi posti a base dell’accertamento, come si evince dalla sentenza impugnata, in quanto il Fisco ha fondato la rideterminazione del reddito anche e soprattutto su altri elementi di fatto il cui riesame, in questa sede di legittimità, non è consentito (considerazione dei prezzi, a fronte delle rimanenze, sulla base dei listini prezzi al pubblico; incongruità del reddito rispetto alla percentuale di redditività, incongruenza del reddito rispetto ai costi e al numero di dipendenti – 10 nell’anno in media – oltre al valore dei beni strumentali utilizzati, riconoscimento in ogni caso, nella determinazione della percentuale di ricarico adottata, di alcune argomentazioni e ragioni del contribuente);

– Inoltre, il motivo diretto a censurare la sentenza impugnata sotto questo profilo non coglie neppure con adeguata precisione la ratio decidendi, e risulta quindi fuori bersaglio dal momento che la CTR non ha ritenuto provata la sussistenza delle maggiori imposte unicamente dalla dose media di polvere di caffè, come si sostiene in ricorso, ma in forza di un complessivo contesto probatorio ben maggiormente dettagliato e articolato, non fondantesi certo su quell’unico elemento di fatto;

– Va poi esaminato il motivo contenuto nel primo unico motivo, ma rubricato autonomamente sub. N. 2); con esso si denuncia come detto la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; il motivo è parimenti infondato;

– Le eccezioni la cui omessa pronuncia denuncia il contribuente, invero, sono state esaminate dalla CTR, che ne dà conto in narrativa, dimostrando quindi di averle prese in esame e sia pur implicitamente valutate alla luce del materiale probatorio complessivamente presentato dall’Amministrazione;

– In concreto, quindi, dalla sentenza impugnata si evince come – nel ridurre in parte la maggior pretesa dell’Agenzia delle Entrate – il secondo giudice si sia implicitamente pronunciato circa la fondatezza dell’accertamento contestato, quanto alla parte residua;

– In diritto, va ribadito in questa occasione come questa Corte sia tuttora ferma nel ritenere che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27330 del 29/12/2016) in tema di accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse.

PQM

rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 4.500 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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