Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24332 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 03/11/2020), n.24332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18404/2018 proposto da:

R.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Emanuele Giudice, giusta

procura in calce al ricorso per cassazione, e presso il suo studio

elettivamente domiciliato in Roma, Viale Manzoni, n. 81.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di MILANO n. 238/2018

pubblicata il 17 gennaio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 17 gennaio 2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 7 ottobre 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da R.R., cittadino del (OMISSIS), contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e della protezione umanitaria.

2. Il ricorrente riferiva di avere lasciato il paese all’inizio del 2015 in quanto la sua casa era stata distrutta da una esondazione, che la madre era morta, che il padre si era risposato e che la matrigna non lo sopportava e gli negava il cibo e che pertanto era andato a vivere da una zia che gli aveva dato i soldi necessari per andare all’estero.

3. La Corte territoriale ha rilevato l’insussistenza dei presupposti della protezione internazionale e di quella umanitaria e, quanto a quest’ultima (la sola oggetto dei motivi del ricorso per cassazione), ha osservato che, pur a volere riconoscere la situazione allegata di significativa compromissione dei diritti umani nel Paese di origine, in ragione dell’assenza di un livello minimo di vita dignitosa, non fosse stata, comunque, raggiunta la prova di una proficua e strutturata integrazione sociale nel territorio dello Stato, posto che non poteva dirsi che il richiedente, in Italia da due anni e sette mesi, avesse svolto alcun percorso formativo o di apprendimento della lingua italiana.

4. R.R. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

6. Con ordinanza interlocutoria del 12 giugno 2019, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della rilevanza dell’integrazione socio-lavorativa dello straniero nel territorio dello Stato ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, apprezzamento da compiersi anche attraverso una valutazione comparativa rispetto alla situazione esistente nel Paese di origine.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, posto che l’estrema indigenza economica allegata, che nel suo paese aveva subito, oltre alla distruzione della propria casa, la perdita dei più stretti congiunti e maltrattamenti da parte di familiari, costituiva ragione tale da integrare i seri motivi umanitari, atteso che l’aspirazione ad un livello di vita dignitosa configurava un diritto umano fondamentale, il quale non sarebbe certamente rispettato in caso di rimpatrio del richiedente, anche a cagione dell’instabilità politico-sociale esistente in Bangladesh.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte territoriale omesso di prendere in considerazione il profilo dell’interazione socio-lavorativa proficuamente avviata dal richiedente la protezione umanitaria.

2.1 Le esposte doglianze, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente correlate, sono infondate.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

2.2 Ciò posto il giudizio comparativo tra la condizione personale del richiedente asilo e le conseguenze di un suo eventuale rimpatrio giudizio alla luce del quale, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455), andranno valutati in modo specifico, operandone poi un bilanciamento di tipo ipotetico, la attuale condizione dell’istante nel Paese di accoglienza ed il suo futuro ricollocamento in quello di provenienza – non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” – vulnerabilità che, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni unite, rappresenta soltanto una delle ipotesi per le quali può riconoscersi la protezione umanitaria.

2.3 Le Sezioni unite, difatti, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria che:

1) non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2) gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (Cass., 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3) le relative basi normative non sono, allora, “affatto fragili” ma “a compasso largo”, con il conseguente corollario che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

4) va condiviso l’orientamento di questa Corte (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455; Cass. 19 aprile 2019, n. 11110) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

5) non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, “nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

6) così facendo si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304).

2.4 Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno posto l’esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso, dato che, nella materia della protezione umanitaria, oggetto del giudizio è sempre la persona e i suoi diritti fondamentali.

Il giudizio di bilanciamento evocato dalle Sezioni unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Tale giudizio comparativo deve riguardare anche la condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente e di conseguente impossibilità di poter provvedere al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi.

2.5 Ciò posto, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, affermando che “l’appellante non ha dimostrato di essere positivamente inserito nella mostra società: non risulta che egli in Italia ormai da un tempo apprezzabile (due anni e sette mesi) abbia svolto alcun percorso formativo, nè di apprendimento della lingua italiana, difettando pertanto un progetto strutturato di integrazione. Così anche da un punto di vista lavorativo, stante la totale assenza di prova dell’esistenza di un impiego, non potendosi ritenere sufficienti le dichiarazioni rese in udienza”.

La Corte d’appello non ha, quindi, omesso lo scrutinio sull’esistenza di condizioni di vulnerabilità, nei limiti delle allegazioni del ricorrente, che peraltro non si confronta con tali affermazioni, nè la valutazione della sua vita lavorativa e familiare in Italia, comparata alla situazione personale che egli aveva vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, la comparazione tra la condizione nella quale verrebbe a trovarsi lo straniero nel paese di provenienza e quella di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, non ritenendo sussistenti i presupposti per la concessione del permesso per motivi umanitari.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA