Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24328 del 16/10/2017

Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.16/10/2017),  n. 24328

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo Consiglie – –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18297-2014 proposto da:

M.G., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 95, presso lo studio dell’avvocato RITA BRUNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO BOCCHIERI;

– ricorrente –

contro

C.M., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GARIGLIANO 11, presso lo studio dell’avvocato SIMONA SERAFINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DIMARTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/01/14;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con atto di citazione notificato in data 27/02/2004 M.G. conveniva innanzi al Tribunale di Ragusa la nuora C.M. deducendo che:

– la convenuta ed il marito M.S. – figlio dell’attore – gli avevano chiesto un prestito per l’acquisto di un villino in (OMISSIS), del costo di 114.000,00 Euro; – in occasione della stipula del preliminare di vendita in favore dei coniugi M. – C., l’attore aveva versato ai promittenti alienanti, L.C.G. e T.G., un assegno per l’importo di Lire 100 milioni:

l’assegno era stato ritualmente posto all’incasso;

successivamente, le parti avevano stipulato il contratto definitivo;

– l’attore aveva più volte richiesto alla C. la restituzione della metà dell’importo mutuato, pari a Lire 50 milioni, ma quest’ultima aveva rifiutato la restituzione delle predette somme.

Ciò premesso, M.G. chiedeva la condanna della convenuta alla restituzione delle somme mutuate e dei relativi interessi.

C.M. si costituiva contestando la domanda attorea, deducendo di non aver ricevuto alcun prestito e che il corrispettivo dell’immobile era stato interamente versato da lei e dal coniuge, M.G..

Il Tribunale di Ragusa accolse la domanda e condannò la convenuta alla restituzione della somma richiesta, oltre ad interessi, ed al pagamento delle spese processuali.

La Corte d’Appello di Catania, per quanto qui ancora rileva, riformò la sentenza di primo grado, affermando che il Giudice di prime cure aveva erroneamente ritenuto che la convenuta non aveva assolto all’onere di provare il titolo della dazione di denaro, onere in realtà gravante sull’attore.

Il M., peraltro, non aveva assolto all’onere suddetto, atteso che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la stipula effettiva del mutuo non poteva ritenersi dimostrata sulla base delle contraddittorie dichiarazioni del teste D.G..

La Corte territoriale concludeva dunque che la somma doveva considerarsi erogata a titolo di donazione indiretta; e ciò sulla base dei rapporti esistenti tra le parti al momento della pattuizione, ed alla circostanza che la restituzione delle somme era stata richiesta a distanza di quasi cinque anni dalla stipula della compravendita, ed in corrispondenza della separazione personale tra la C. ed il M., separazione nel corso della quale il diritto di abitazione dell’appartamento, quale residenza familiare, era stato provvisoriamente attribuito alla C. ed alla figlia minore.

Per la cassazione di tale sentenza, propone ricorso, con tre motivi, M.G., C.M. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza, M.G. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dal controricorrente, atteso che esso contiene l’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa e gli elementi necessari ad evidenziare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito (Cass. 14784/2015).

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte d’Appello ha erroneamente accolto l’eccezione di donazione indiretta, proposta per la prima volta con l’atto di appello, così violando il divieto di proporre nuove eccezioni e di modificare il thema decidendum in appello.

Il motivo è destituito di fondamento.

Occorre premettere che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 1, tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per sè a fondare una richiesta di restituzione allorquando l’accipiens – ammessane la ricezione – non confermi altresì il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa ma ne contesti anzi la legittimità), essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova (Cass. Civ. Sez. 3^, sent del 18/06/2009 n. 20740).

Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi conformata a tale orientamento, in quanto ha ritenuto che la circostanza che la convenuta, pur ammettendo la dazione di denaro, deducesse l’esistenza di un titolo diverso, non costituisse eccezione in senso sostanziale.

Ne consegue che tale deduzione, integrando una mera difesa, non incontra il divieto dei nova in appello ex art. 345 c.p.c..

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè 1′ omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la Corte ha erroneamente ritenuto che le dichiarazioni del teste D.G. siano affette da contraddittorietà insanabile, facendone derivare la mancata prova del mutuo, nonostante l’univocità della deposizione resa.

Il motivo non ha pregio.

La Corte territoriale ha ritenuto la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal teste D., in quanto, da un lato, questi aveva dichiarato di essere presente alla richiesta di prestito della somma di Lire 100.000.000, occorrenti per il pagamento del saldo dell’immobile, con restituzione della somma a semplice richiesta ma, allo stesso tempo, aveva riferito dubitativamente in ordine alla sussistenza dell’animus donandi (“Per quanto è a mia conoscenza, la somma venne concessa in prestito e non con spirito di liberalità”).

La Corte ha inoltre messo in rilievo la genericità della dichiarazione resa dal D., in quanto, fermo il non contestato intervento economico di M.G. a sostegno del figlio e della nuora, il teste non ha fornito alcun elemento decisivo in ordine al titolo della erogazione, riferendosi ad una fase antecedente al perfezionamento del contratto (in cui il M. aveva manifestato la disponibilità a concedere la somma) mentre non è stato in grado di affermare l’esistenza o meno dell’ animus donandi da parte del M. in sede di effettiva consegna del denaro.

Alla luce di tali circostanze, la dichiarazione testimoniale non è idonea a provare il titolo della dazione della suddetta somma, e cioè se la stessa venne concessa in prestito o con spirito di liberalità.

Va inoltre rilevato il difetto di decisività di tale motivo.

Ed infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se hanno carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento, del quale il giudice deve dare conto con la motivazione, il cui unico requisito è l’immunità da vizi logici (Cass. Civ. Sez. 1^, sent. del 06/02/2003 n. 1747) e, quindi, la prova per presunzioni costituisce prova “completa” alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, salvo il limite dell’eventuale prova contraria al fatto ignoto che si pretende di provare tramite presunzioni, ove ciò sia richiesto da una delle parti – e la relativa prova non risulti inammissibile o ininfluente (Cass. Civ. Sez. 3^, sent del 04/03/2005 n. 4743).

Ne consegue che la prova presuntiva ha un’efficacia non minore delle altre prove, con l’unica eccezione della prova legale, e pertanto il convincimento del Giudice può fondarsi anche su detta prova, ancorchè in contrasto con altre risultanze istruttorie, se, come nel caso in esame, ritenuta dalla Corte territoriale dotata da tale intensità da far ritenere inattendibili gli altri elementi di giudizio.

Il giudice di appello ha infatti ritenuto, con valutazione di merito adeguata, che i rapporti tra le parti al momento della pattuizione e le circostanze in cui venne effettuata la richiesta di rimborso della somma erogata, diversi anni dopo la corresponsione e dopo la separazione personale dei beneficiari, fossero idonee a provare che il denaro era stato corrisposto non a titolo di mutuo, bensì a titolo di donazione indiretta, consentendo di superare gli altri elementi del giudizio.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che la Corte ha erroneamente sopravvalutato le circostanze relative ai rapporti tra le parti al momento della pattuizione e all’epoca della richiesta di rimborso della somma erogata dal M., atteso che tali circostanze risultano superate alla luce della prova testimoniale e delle altre risultanze processuali attraverso cui è accertato il contratto di mutuo concluso tra le parti.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione ad operare una nuova valutazione, nel merito, delle acquisizioni istruttorie, estranea al sindacato di legittimità.

La Corte, sulla base della complessiva valutazione delle risultanze processuali, ha infatti ritenuto, con argomentazione logica e coerente, di dover qualificare la dazione di denaro da parte del M. come donazione indiretta alla luce dei rapporti esistenti tra le parti al momento della pattuizione e della circostanza che la restituzione delle somme corrisposte veniva richiesta a distanza di quasi cinque anni dalla stipula della compravendita ed a seguito della separazione personale intervenuta tra la convenuta ed il figlio.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte il vizio di omessa o insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ma non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008).

Nel caso, invece, in cui vi sia mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente il motivo di ricorso si risolve, come nel caso di specie, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Ss. Uu. 24148/2013).

Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi 3.200,00 Euro di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma,il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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