Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24327 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. II, 18/11/2011, (ud. 07/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato

CARLINO PIETRO, rappresentato e difeso dall’avvocato RENDINA

FILIBERTO;

– ricorrente –

contro

G.A., CONDOMINIO VIA (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 7954/2006 proposto da:

CONDOMINIO VIA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Dott.ssa E.C.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso

VISENTINI STUDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CARSANA

DANIELE;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

G.F., G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3409/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato l’8.2.99 il condominio in epigrafe indicato citò al giudizio del Tribunale di Napoli il condomino G.A., al fine di sentirlo condannare alla rimozione di una veranda tettoia realizzata sul terrazzo a livello dell’appartamento all’ultimo piano dello stabile, in quanto lesiva del decoro architettonico del fabbricato.

La domanda, cui il convenuto aveva resistito tra l’altro eccependo di avere da tempo donato l’appartamento al figlio F., venne, a seguito di intervento iussu iudicis, estesa nei confronti di quest’ultimo e, nella resistenza del medesimo, accolta dall’adito Tribunale, con sentenza del 2.12.02, previa assoluzione dalla stessa dell’originario convenuto.

A seguito dell’appello di G.F., resistito dal condominio,e di gravame incidentale di G.A., la Corte di Napoli, dopo aver disposto ed espletato una consulenza tecnica, con sentenza non definitiva del 28.10.05, in riforma di quella appellata e in accoglimento dell’impugnazione principale, rigettava la domanda attrice di demolizione, dichiarava assorbito il gravame incidentale, estromettendo definitivamente dal giudizio il proponente,con compensazione delle relative spese anche di secondo grado, e disponeva, con separata ordinanza, il prosieguo del giudizio, sulle residue questioni.

Riteneva, tra l’altro ed in particolare, la corte partenopea: a) la legittimità dell’adozione della delibera assembleare conferente all’amministratore l’incarico di adire il giudice per la tutela restitutoria, nonostante il mancato avviso a G.F. e la convocazione solo del padre A., non essendo stata dai medesimi comunicata all’amministrazione l’avvenuto trasferimento della proprietà dell’immobile; b) la mancanza di prove in ordine all’eccepita risalenza ultraventennale dell’opera, concretatasi nella realizzazione, in luogo di una preesistente tettoia, di una veranda chiusa in alluminio anodizzato; c) l’insussistenza, nonostante i diversi, ma genericamente motivati, giudizio del Tribunale e parere del c.t.u., e considerata la non pregiudizialità in sede civile di eventuali responsabilità, accertate in sede penale o amministrativa, del lamentato danno all’euritmia del fabbricato, tenuto conto della “limitatissima visibilità dell’opera dalla via pubblicandola posizione arretrata della stessa rispetto alla facciata principale, della sobrietà del disegno e dei connotati cromatici, tali da escludere palesi disarmonie con il resto dell’immobile; d) la natura di vera e propria sopraelevazione del manufatto, come tale comportante il diritto all’indennità (da quantificarsi nel prosieguo del giudizio) a favore dei proprietari delle unità sottostanti, alla cui richiesta l’amministratore doveva ritenersi autorizzato in forza del “ricevuto mandato ampio e illimitato dell’assemblea condominiale, giusta Delib. 16 ottobre 1998”.

Avverso tale sentenza G.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, articolato su quattro profili ed illustrato con successiva memoria.

Ha resistito (previa autorizzazione con Delib. assembleare 14 febbraio 2006, allegata in copia) il condominio, con controricorso contenente ricorso incidentale su due motivi. Non ha svolto attività difensiva l’intimato G.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Con l’unico motivo di quello principale vengono dedotte “violazione da errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 1105 c.c., dell’art. 1127 c.c., u.c., dell’art. 1136 c.c., commi 2 e 4, degli artt. 1158 e 1159 c.c. ed infine dell’art. 2946 c.c.; il tutto in relazione alle censure di legittimità sancite all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”. Con un primo profilo si censura l’accoglimento della domanda di indennità, per erronea applicazione alla fattispecie dell’art. 1127 c.c., u.c., contestandosi la natura dei vera e propria sopraelevazione dell’opera in questioneremmo conto delle relative caratteristiche, di manufatto amovibile, sostituente una preesistente copertura della terrazza a livello di proprietà esclusiva, non integrante gli estremi di una vera propria costruzione.

Con il secondo si lamenta la mancata considerazione che l’opera,come accertato dal c.t.u., non avrebbe arrecato alcuno, “sia pur tollerabile aggravio” sui muri maestri, nè maggior uso di strutture o occupazione di aree comuni, con conseguente insussistenza delle ragioni e dei presupposti di applicabilità della disposizione prevedente l’anzidetta indennità. Sotto un terzo profilo si lamenta la mancata applicazione della eccepita prescrizione estintiva o acquisitiva, comunque decennale,che avrebbero comportato il rigetto della domanda,tenuto conto che già in data 19.12.86 era stata presentata una “denuncia in sanatoria per ampliamento”. Sotto un quarto profilo, infine, si censura la ritenuta ammissibilità dell’azione proposta, che in quanto concernente una “lite attiva giudiziale nei confronti del singolo condomino”, esorbitante dalle attribuzioni dell’amministratore, avrebbe richiesto un numero di voti rappresentante la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio. Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., dell’art. 1127 c.c., comma 3, degli artt. 61, 62, 115, 116 c.p.c., con connessi vizi di motivazione, censurandosi la negazione del pregiudizio del decoro architettonico, nonostante il nettamente diverso e motivato parere del consulente tecnico, che pur si era ritenuto necessario officiare, in quanto frutto di valutazione insufficiente, non tenente conto della particolare ubicazione del fabbricato interessato dall’intervento edilizio e del vincolo artistico – ambientale gravante sullo stesso ed ingiustificatamente basata sul solo elemento costituito dalla visibilità. Con il secondo motivo del ricorso suddetto si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 3, art. 20, n. 1, art. 21, n. 4, art. 29, nn. 1, 2, 3, 30 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e della L. 6 luglio 2002, n. 137, art. 10 con connessi vizi di motivazione, per mancata considerazione dei vincoli imposti sulla zona urbana in questione dalla competente “Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio Artistico e Demoetnoantropologico di Napoli e Provincia”, come evidenziato dal c.t.u., nonchè della “tutela indiretta” prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004. Va esaminato con priorità, attesa la pregiudizialità logico – giuridica,il ricorso incidentale, in quanto attinente alla principale domanda, quella di riduzione in pristino, che la corte territoriale non ha accolto. Entrambi i motivi di tale impugnazione devono essere respinti.

Il primo va disatteso poichè si risolve in una palese censura di merito avverso l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di secondo grado, il quale ha adeguatamente motivato il proprio dissenso rispetto sia alla valutazione compiuta dal primo giudice, sia al parere del consulente tecnico di ufficio, spiegando chiaramente le ragioni per le quali ha ritenuto insussistente la dedotta lesione del decoro architettonico, con la motivazione in narrativa riferita, che seppur sintetica, risulta rispondente ai dettami di questa Corte (v., in particolare, Sez. 2^ n. 10350 dell’11.5.11) circa la rilevanza al riguardo delle linee architettoniche del fabbricato e dell’aspetto armonico dello stesso, di per sè considerati (senza alcuna relazione con l’ambiente circostante v. sez. 2^ n. 1286 del 25.1.10), elementi entrambi presi in considerazione nella specie dalla corte territoriale. Ne conseguenti base a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’incensurabilità nella presente sede della relativa valutazione, costituente un tipico apprezzamento discrezionale di merito, ove la relativa motivazione risulti – come lo è nella specie – adeguata ed esente da vizi logici.

Il secondo va disatteso per la novità della censura, che non risulta corrispondente a specifica deduzione di illegittimità dell’intervento formulata anche in sede di merito, tanto più che si basa su norme sopravvenute ai fatti di causa ed al giudizio di primo grado e, comunque, di per sè rilevanti, quali norme di azione e non di relazione, non sul piano dei rapporti civilistici, ma soltanto in quelli tra privati e la P.A., così come i provvedimenti conformativi da quest’ultima adottati.

Anche il ricorso principale va respinto,per le considerazioni di seguito esposte, secondo l’ordine logico – giuridico dei relativi profili di censura.

Il quarto, per quanto attiene all’azione principale, di riduzione in pristino, risulta assorbito ed ormai privo d’interesse a seguito della reiezione dell’impugnazione incidentale ribadente tale domanda.

Quanto a quella subordinata, che la corte territoriale ha accoltola censura, così come formulata, risulta inammissibile, ancor prima che per difetto di specificità (laddove non si precisa quale sia stata in concreto la maggioranza deliberante,che si assume non sufficiente ex art. 1136 c.c. ad intraprendere l’azione), anche e soprattutto per inconferenza del richiamo normativo dedotto in relazione alla domanda di determinazione delle indennità, che attenendo non ad un’azione svolta (come quella principale) nell’interesse del condominio ed a tutela di beni comuni, bensì al fine di far valere diritti individuali dei singoli condomini, deve intendersi spiegata soltanto per conto di quei partecipanti all’assemblea, che avevano conferito all’amministratore quel “mandato ampio ed illimitato” accertato dalla corte di merito, con argomentazione che non ha formato oggetto di alcuna specifica confutazione.

Quanto alla prescrizione, la cui rilevanza risulta ormai limitata a quella dei diritti indennitari, la censura,pur movendo da una premessa astrattamente corretta, quella dell’applicabilità del termine decennale ex art. 2946 c.c. vertendosi in tema di estinzione non di diritti reali, bensì di obbligazione, in concreto risulta tuttavia irrilevante, considerato che l’intervento edilizio in questione non è quello costituito dall’installazione della tettoia di cui alla dedotta domanda in sanatoria del 1986, bensì quello, ben più recente accertato dai giudici di merito, costituito dalla costruzione, in luogo della precedente elementare struttura, della veranda coperta in alluminio anodizzato, integrante un vero e proprio manufatto abitativo in sopraelevazione; modifica quest’ultima che, sia pur qualificandola di mero “ammodernamento”, è la stessa parte ricorrente ad ammettere di aver realizzato in epoca successiva, ottenendo l’approvazione della “variante” con provvedimento dell’ottobre 1998 (v. pag. 2 della memoria illustrativa).

Da quanto sopra consegue che,essendosi in tale epoca verificato l’evento genetico del diritto all’indennità ed in mancanza comunque di prova, incombente sull’eccipiente, della risalenza ultradecennale della trasformazione della tettoia in veranda coperta la domanda proposta nell’anno 1999 deve ritenersi tempestiva.

Il primo ed il secondo profilo di censura, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione, vanno respinta: a) per inammissibilità, nella parte in cui censurano l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, sulla scorta di adeguati riscontri istruttori (emergenti dalla consulenza tecnica e dai rilievi fotografici), circa la consistenza dell’intervento edilizio;

b) per manifesta infondatezza, alla luce del costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui costituisce costruzione agli effetti civilistici qualsiasi manufatto, stabilmente infisso al suolo o collegato a preesistente immobile e tale da incrementarne la relativa consistenza, indipendentemente dalle caratteristiche costruttive (v. tra le tante Cass. nn. 4277/11, 5934/11, 19281/09, 22127/09, 2537/08); c) per altrettanto manifesta infondatezza della tesi, secondo cui il diritto indennitario non spetterebbe in ragione della mancanza di aggravio del carico sulle strutture portanti dell’edificio, alla luce del principio ormai consolidato dalle S.U. di questa Corte (sent. n. 16794/07, conf. in precedenza Cass. nn. 12880/05, 22032/04, 1263/99), secondo cui l’indennità ex art. 1127 c.c., è dovuta non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione di locali preesistenti, mediante incrementi delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall’altezza del fabbricato, traendo fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni, conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva. Il rigetto di entrambi i reciproci ricorsi comporta, infine, la compensazione totale delle spese.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsali rigetta e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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