Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24326 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. II, 18/11/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 18/11/2011), n.24326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2476/2006 proposto da:

G.G., G.V., G.M., M.A.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A.

FRIGGERI 82, presso lo studio dell’avvocato FIANDANESE MARIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato DORE’ Franco;

– ricorrenti –

contro

G.F. C.F. (OMISSIS), F.R.

(OMISSIS), G.S. (OMISSIS),

domiciliati ex lege, in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ARRU Pierino

Rosario;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 439/2005 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

SASSARI, depositata il 16/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Orru Pierino Rosario difensore dei controricorrenti

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 1997, F. e G.S. e F.R. convenivano di fronte alla pretura di Sassari M.A. e G., M. e G.V. assumendo che essi esponenti avevano ereditato da G.E., deceduto, un fondo a questi definitivamente assegnato dall’Eftas; avevano constatato che i convenuti avevano incorporato al loro attiguo fondo una porzione di 45.000 mq e chiedevano che fosse ripristinato il loro possesso sull’area de qua.

Si costituivano i convenuti, i quali assumevano che fin dal 1942 tale area era stata coltivata dal loro dante causa e poi da loro stessi, come era ben noto al dante causa degli attori e chiedevano pertanto, previa disapplicazione dell’atto di assegnazione, che fosse dichiarato che essi ne avevano acquisito per usucapione la proprietà o il diritto d’uso.

Il Tribunale adito, con sentenza del 2000, dichiarava la porzione de qua di proprietà dei convenuti per intervenuta usucapione e regolava le spese; proponevano appello i soccombenti, cui resistevano le controparti.

Con sentenza del 31.5/19.10.2005, la Corte di appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, accoglieva l’impugnazione e per l’effetto dichiarava che l’area identificata nella CTU era di proprietà degli attori e condannava gli appellati alla restituzione della stessa, regolando le spese.

Riassunta la situazione esistente tra i due fondi e ritenuto che nella specie trattavasi di azione di regolamento di confini, basata su di un conflitto tra titoli, ogni questione relativa all’effettiva appartenenza della porzione contesa era superata dalle vicende che avevano contrassegnato l’assegnazione dei due poderi.

La Corte territoriale rilevava che non poteva, attesa la natura giuridica della porzione de qua, essere ritenuto applicabile l’istituto dell’usucapione se non dalla data in cui l’assegnatario era divenuto proprietario del bene e cioè, nel caso in esame dal 1994, cosa questa che, per ragioni cronologiche, rendeva impossibile il consolidarsi della usucapione.

Ritenuta poi non ritualmente ribadita la domanda subordinata della corresponsione di una indennità per i miglioramenti, la stessa non poteva essere presa in esame.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di quattro motivi, i soccombenti; le controparti resistono con controricorso, illustrato anche con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si lamenta omessa pronuncia su di una domanda ritualmente proposta, con violazione dell’art. 112 c.p.c.; ci si riferisce alla domanda di disapplicazione dell’atto di assegnazione dell’area contesa alle controparti, atteso che la stessa era stata coltivata già da tempo da G.E..

Con il secondo mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 951, 940, 948 e 2697 c.c., in relazione alla qualificazione della domanda come di regolamento di confini e non di revindica, atteso che l’atteggiarsi della controversia prospettava chiaramente un conflitto tra titoli, con conseguente onere, per la controparte, di dar conto di un acquisto a titolo originario, in realtà, rimasto sfornito di prova.

Con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., artt. 830 e 828 c.p.c.. Si lamenta che l’inidoneità del bene ad essere usucapito era stata ritenuta mera deduzione difensiva, come tale deducibile per la prima volta in appello e non eccezione nuova.

Si lamenta inoltre che la assegnazione dell’area contesa a chi l’aveva di fatto coltivata non avrebbe leso gli interessi generali sottesi alla normativa speciale.

Con il quarto mezzo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia circa la domanda di acquisto per usucapione di un diritto reale d’uso sull’area de qua, proposta in via subordinata in prime cure.

Il primo motivo non può trovare accoglimento, atteso che lo stesso pecca di autosufficienza.

Infatti, viene contestata la mancata disapplicazione di un documento che non viene riportato in ricorso e di cui non si specificano neppure gli estremi.

Tale dato rende conseguentemente inammissibile il mezzo in esame.

Il secondo motivo, afferente alla qualificazione della domanda, difetta di interesse:

infatti posto che le parti non contestano la provenienza dei due terreni di proprietà delle partì e segnatamente dell’area in contestazione all’Eftas, la questione relativa alla prova (probatio diabolica) della proprietà da fornirsi dai convenuti, odierni resistenti, non si pone più.

Tanto rende ininfluente, ai fini voluti dai ricorrenti, ogni valutazione circa la natura (di regolamento di confini o di revindica) dell’azione proposta.

La prospettata violazione dell’art. 345 c.p.c., poi, si cui si basa il terzo mezzo, non sussiste, atteso che per un verso, tale profilo era stato prospettato anche in prime cure, come puntualmente rilevato in sede di controricorso ed inoltre in quanto si era accertato che il fondo de quo rientrava nell’ambito di applicazione della riforma agraria, ed era stato pertanto oggetto di assegnazione, cosa questa che comportava che la conseguente inusucapibilità derivava dalla legge, sicchè la prospettazione di tanto doveva essere considerata mera eccezione, come esattamente ritenuto nella sentenza impugnata.

E’ appena il caso di aggiungere che la conformità agli interessi generali derivante dal fatto che il fondo stesso veniva abitualmente coltivato, non elide la natura giuridica del fondo in questione e le caratteristiche che ne derivano.

Anche tale motivo deve essere pertanto respinto.

E’ poi infondato il quarto mezzo, con cui ci si duole che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulla domandata usucapione del diritto reale d’uso sull’area de qua, in quanto non è dato rinvenire nell’ordinamento un diritto di siffatto genere.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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