Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24325 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. II, 18/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 18/11/2011), n.24325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., (OMISSIS) rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale alle liti conferita per atto autenticato

dal notaio Avv.to Fabio Pala del collegio notarile di Verbania del

20.5.2010 rep. N. 47497, dagli Avv.ti Mascolo Vincenzo e Cecilia

Rizzica del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso il loro

studio in Roma, via Paolo Frisi n. 18;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv.to Carlo Ferrari in Torino, via Colli n. 17;

– intimata non costituita –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1648

depositata il 25 ottobre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Vincenzo Mascolo, per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13 settembre 2000 C. L. evocava, dinnanzi al Tribunale di Verbania, M.G. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 26.7.2000, notificatogli il 16.8.2000, con il quale gli veniva intimato il pagamento della somma di L. 40.000.000, che si assumeva dovuta alla opposta-ricorrente in forza di scrittura sottoscritta l’11.2.1999 con la quale era stato consensualmente risolto il contratto preliminare di compravendita di immobile da edificare stipulato fra le medesime parti il 19.5.1998, deducendo il mancato avveramento della condizione cui era stata sospensivamente subordinata la restituzione dell’acconto versato, ossia la vendita dell’immobile al prezzo complessivo di L. 400.000.000, mentre la cessione era avvenuta il 21.12.1999 al prezzo di L. 340.000.000;

tanto premesso, chiedeva revocarsi il decreto ingiuntivo per insussistenza del credito dedotto in via monitoria.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della opposta, il Tribunale adito accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo.

In virtù di rituale appello interposto dalla M., con il quale censurava la interpretazione fatta dal giudice di prime cure dell’occorso giacchè la clausola prevista aveva natura di termine e non già di condizione, la Corte di appello di Torino, nella resistenza dell’appellato, accoglieva l’appello e per l’effetto – in riforma della sentenza di primo grado – rigettava l’opposizione, dichiarando l’appellato tenuto alla restituzione della somma di L. 40.000.000.

A sostegno della decisione la corte territoriale evidenziava che dal tenore letterale della clausola, cui veniva rapportato il pagamento ad un dato cronologico e non ipotetico, “nel momento in cui verrà rivenduta la stessa villetta al prezzo di L. 400.000.000, l’impresa restituirà alla sig.ra M.G. l’importo di L. 40.000.000 entro sei mesi”, era significativo della volontà delle parti di individuare semplicemente un termine entro il quale doveva avvenire l’adempimento da parte del C..

Aggiungeva che ove la clausola in questione fosse stata considerata come previsione di una condizione, questa sarebbe stata da ritenere mista e perciò soggetta al disposto dell’art. 1359 c.c., per cui non essendosi verificata la condizione per causa imputabile al C. la condizione avrebbe dovuto ritenersi come avverata.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione il C., che risulta articolato su cinque motivi, al quale non ha resistito la intimata M., che non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 e 1183 c.c., dovendo essere la clausola esaminata alla luce della disciplina di cui all’art. 1353 c.c. e non già all’art. 1183 c.c., non potendo mai essere scavalcato il metodo letterale.

Con il secondo motivo viene denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la individuazione e la delineazione, in fatto, dell’evento futuro ed incerto, costituente il punto decisivo della controversia.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la insufficiente ed illogica motivazione relativamente al concetto di certezza quale dato caratteristico della condicio facti di cui all’art. 1353 c.c..

Con il quarto motivo viene denunciata la insufficiente, irrazionale e contraddittoria motivazione tanto con riguardo alla interpretazione letterale e logica (art. 1362 c.c.) quanto a quella teleologia (art. 1363 c.c.) della convenzione stipulata l’11.2.1999.

Con il quinto ed ultimo motivo viene lamentata la erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 1359 c.c..

I cinque motivi devono formare oggetto di esame congiunto, perchè sia il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata sia quello adottato nel ricorso per cassazione li hanno resi strettamente connessi. Infatti la corte distrettuale, dopo avere qualificato fa clausola contenuta nella scrittura privata dell’11.2.1999 come termine, ha poi compiutamente esaminato la fattispecie anche sotto l’aspetto della previsione del diverso elemento accidentale, della condizione. In tal guisa la pronuncia della corte territoriale viene a poggiare su una duplice ratio decidendi, con la conseguenza che, se non si rivelano fondate le censure mosse ad entrambe, la sentenza deve trovare conferma ancorchè taluni rilievi ai profili attinenti alla interpretazione del rapporto giuridico dedotto in termini di previsione di un termine meritino di essere condivisi, per quanto di seguito si dirà. Ne deriva la connessione logica sopra rimarcata, con conseguente necessità di esaminare congiuntamente le censure mosse con il ricorso di cassazione alla sentenza impugnata. Ciò posto, si deve osservare che il C. e la M., con accordo sottoscritto l’11.2.1999, nel risolvere consensualmente il contratto preliminare di compravendita di immobile da edificare, dagli stessi stipulato il 19.5.1998, hanno subordinato l’obbligo di restituzione di L. 40 milioni, in precedenza versati dalla promissaria acquirente, entro sei mesi dal “momento in cui verrà rivenuta la stessa villetta al prezzo di L. 400 milioni”.

In questo quadro non può condividersi in linea di principio la tesi esposta nella sentenza impugnata, secondo cui le parti avrebbero fatto riferimento ad un evento futuro, ma certo, per individuare la data per la restituzione della somma versata dalla M. in acconto del prezzo di acquisto di immobile, in quanto l’avverarsi di una situazione di fatto assunta dalle parti quale presupposto da cui fare discendere il sorgere dell’obbligo restitutorio è riconducibile al diverso elemento accidentale quale è la condizione. Infatti l’intendimento delle parti, quale emerge dalla scrittura privata, con l’introduzione di un elemento accidentale appare essere quello di un avvenimento futuro ed incerto cui subordinare gli effetti restitutori della risoluzione consensuale del preliminare, perchè doveva rispondere oltre che all’esigenza di conclusione di un nuovo contratto di vendita dell’immobile con terzi, anche a quella di percepire un prezzo non inferiore a L. 400.000.000.

Ciò conduce ad escludere il carattere della certezza non solo sul quando, ma anche sull’an. Da questa conclusione però la corte distrettuale non ha tratto le uniche conseguenze nel merito della fattispecie ed anzi, come già notato, ha fatto luogo ad un approfondito esame della fattispecie anche alla luce della diversa interpretazione della clausola, svolgendo un corretto iter motivazionale che si sottrae alle censure del ricorrente e rende il dispositivo conforme a diritto, onde questa corte, nell’esercizio del potere attribuibile dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a correggere la motivazione nei sensi suddetti per quanto riguarda la qualificazione del contenuto accidentale della scrittura privata dell’11.2.1999, in quanto il detto errore si risolve in una inesatta motivazione in diritto, emendabile ai sensi della norma citata.

Passando all’esame del giudizio espresso sulla fattispecie concreta dalla sentenza impugnata nell’ottica che le parti avessero voluto introdurre una condizione sospensiva, si osserva che questa Corte nell’esaminare casi per più versi analoghi alla fattispecie in esame (v. Cass. 8 marzo 2010 n. 5492) ha rilevato che la clausola in questione, che subordina il pagamento alla rivendita del bene ad un prezzo non inferiore a L. 400 milioni, integra certamente una condizione potestativa mista, dipendendo il suo avveramento in parte da un terzo, vale a dire dal nuovo acquirente che doveva sottoscrivere un preliminare, ed in parte dall’iniziativa del ricorrente che in qualità di contraente poteva incidere sulla determinazione del prezzo, rifiutando la conclusione di affari al di sotto dell’importo previsto nella scrittura.

Orbene, relativamente a quella parte dipendente dall’iniziativa del C., trova certamente applicazione il richiamato art. 1359 c.c. (come del resto anche l’art. 1358 c.c.) in base al quale “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”. Trattasi in altri termini di una “fictio” di avveramento a tutela di possibili comportamenti dolosi o colposi posti in essere dal soggetto controinteressato. In generale, la fase della pendenza della condizione determina effetti prodromici stabiliti ex iure positivo e concretantesi, in capo all’acquirente – sub condizione – di un diritto reale ovvero di credito, in un’aspettativa giuridicamente tutelata. A tutela di tale situazione giuridica soggettiva attiva è prevista la fattispecie dell’art. 1359 c.c., che prevede un caso di fittizio avveramento della condizione ope legis, con conseguente attuazione degli effetti c.d. “finali”, la quale ipotizza tre elementi costitutivi: il vantaggio che una parte trae dal mancato avveramento della condizione; l’operosità della parte stessa in modo da provocare tale mancamento; il danno che la controparte soffre dal mancamento così provocato.

La sentenza impugnata, attraverso un’indagine di fatto non sindacabile in sede di legittimità’, ha accertato che il C., il quale ha scelto di concludere l’accordo con il terzo ad un prezzo inferiore rispetto a quello concordato con la M., ha dimostrato di avere un interesse esclusivo alla clausola de qua, che gli consentiva di lucrare sull’acconto già ricevuto dalla precedente acquirente, mettendosi al riparo dal rischio di una mancata vendita. Del resto il giudice di secondo grado, valutando che la piena operatività della clausola era stata prevista e voluta proprio nell’interesse del C., implicitamente da atto anche che la condizione sospensiva del contratto di mutuo recesso dal preliminare corrispondeva, di riflesso, all’interesse essenziale ed esclusivo del venditore.

Bisogna, inoltre, aggiungere sul punto – in conformità a quanto questa Corte di legittimità ha già posto in evidenza nella motivazione di Cass. n. 2168/98 – che l’art. 1359 c.c., allorchè fa riferimento alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della condizione, non intende riferirsi soltanto a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi, in concreto, ha dimostrato con una successiva condotta di non avere più interesse al verificarsi della condizione ponendo in essere atti tali da contribuire a fare acquistare al contratto un elemento modificativo dell’iter attuativo della sua efficacia.

Infine è da dire che rientra nel compito istituzionale del giudice del merito stabilire quale sia la parte che in concreto aveva interesse contrario all’avveramento della condizione e valutare, quindi, se nel comportamento da essa tenuto in pendenza della condizione sia ravvisabile la presunzione di legge di avvenuta realizzazione dell’evento, cui le parti hanno subordinato gli effetti del negozio, dedotto come condizione.

In conclusione, il ricorso va integralmente rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro. 2.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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