Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24325 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.16/10/2017),  n. 24325

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1788/2014 proposto da:

L.A., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA PANETTERIA 15 int. 8, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

PROCACCINI, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO

PROCACCINI, GIOVANNI QUADRINO;

– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –

contro

P.L., ((OMISSIS)), P.P. ((OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELL’UMANESIMO 69, presso

lo studio dell’avvocato CARMELA DEL PRETE, rappresentati e difesi

dall’avvocato VIRGINIO PALAZZO;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 3387/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con atto di citazione notificato il 24.6.2002 L.A. convenne innanzi al Tribunale di Latina – sez. stacc. di Terracina i signori P.P. e L., per sentir pronunciare la risoluzione del contratto preliminare, concluso il 3 settembre 2001, avente ad oggetto un’unità immobiliare sita in (OMISSIS), per inadempimento dei convenuti, quali promittenti venditori, per mancata regolarizzazione dell’immobile e conseguente impossibilità di stipula del rogito nel termine stabilito del 31.12.2001, con condanna dei medesimi al pagamento di 82.633,10 Euro, pari al doppio della caparra versata.

I convenuti, costituitisi, resistevano e proponevano a loro volta domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente, il quale, immesso anticipatamente nel possesso del bene, aveva abusivamente realizzato opere edilizie non Autorizzate dai proprietari. Chiedevano pertanto l’incameramento della caparra versata all’atto del preliminare e la condanna del L. all’immediato rilascio del bene, alla rimozione delle opere abusivamente realizzate ed al risarcimento del danno per il mancato utilizzo dell’immobile.

Il Tribunale di latina, espletata ctu, pronunciava la risoluzione del contratto per inadempimento del L., ritenendo prevalente l’inadempimento di quest’ultimo, per avere eseguito sull’immobile detenuto opere edilizie abusive, senza l’autorizzazione dei proprietari.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n.3387/13 pubblicata il 10.6.2013, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava risolto il contratto preliminare concluso dalle parti per inadempimento di P.P. e L. e per l’effetto li condannava alla restituzione ad L.A. della caparra di 41.316,55 Euro;

condannava invece il L. al rilascio dell’immobile oggetto del preliminare ed al pagamento della somma annuale di 5.627,85 Euro.

La Corte territoriale, pur ritenendo che il termine pattuito per la stipula del definitivo non fosse essenziale, evidenziava che alla data pattuita per la stipula suddetta, del 31.12.2001, l’immobile non era in regola dal punto di vista amministrativo ed i promittenti venditori, nonostante la diffida ad adempiere loro inviata dal L. il 19.1.2002, erano rimasti del tutto inerti.

Rigettava invece la domanda di risarcimento dei danni e disponeva ex art. 1458 c.c., la condanna del L. al pagamento, in favore dei promittenti alienanti, di una somma corrispondente al canone locatizio dell’immobile per il periodo in cui esso era stato dallo stesso detenuto.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo L.A..

P.P. e L. hanno depositato controricorso ed hanno altresì proposto ricorso incidentale, con due motivi, illustrati da memorie ex art. 378 c.p.c., cui il L. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Conviene per ragioni di priorità logico-giuridica esaminare anzitutto il ricorso incidentale con il quale P.P. e L. impugnano il capo della sentenza che ha pronunciato la risoluzione del contratto per inadempimento ad essi imputabile.

Con ambedue i motivi di ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata. I motivi, che, in quanto strettamente connessi vanno unitariamente esaminati, sono entrambi inammissibili, in quanto si risolvono in una mera rivalutazione dei fatti già oggetto del sindacato del giudice di merito.

La Corte, con valutazione di merito logica coerente ed adeguata, ha infatti affermato il prevalente inadempimento dei promittenti alienanti a causa del carattere abusivo dell’immobile, ed ha, conseguentemente, pronunciato la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di questi ultimi, onde non è in alcun modo ravvisabile la dedotta violazione di legge.

Avuto riguardo al vizio di carenza motivazionale, deve invece rilevarsi che esso non è più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360, comma 1, n. 5) del codice di rito, applicabile ratione temporis (Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014).

Passando al ricorso principale, con l’unico motivo di ricorso il L. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., artt. 1223 e 1226 c.c., e art. 2697, ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, lamentando che la Corte territoriale abbia erroneamente riconosciuto ai promittenti alienanti una somma a titolo di corrispettivo per il godimento dell’immobile nel periodo di detenzione del bene, in assenza di un idoneo titolo ed in mancanza di prova del pregiudizio lamentato dai proprietari. Il motivo è infondato.

Secondo il più recente orientamento di questa Corte l’efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso (Cass. n.6575 del 14.3.2017).

La retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione, stabilita dall’art. 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, ed a prescindere dell’imputabilità delle inadempienze, dell’obbligo di restituire la prestazioni già ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione di indebito.

Pertanto, in ipotesi di pronunciata risoluzione di un contratto di compravendita di immobile per inadempimento del venditore sorge a carico dell’acquirente l’obbligo di corrispondere alla controparte – che ne abbia fatto espressa richiesta – l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene per il relativo periodo (Cass. n. 2209/1997).

Pur in assenza di percezione di frutti, dunque, in forza della retroattività prevista dall’art. 1458 c.c., il promissario acquirente nella detenzione del bene (che ha avuto il godimento dell’immobile senza pagare alcun corrispettivo) è tenuto a tenere indenne il proprietario della perdita della disponibilità del bene stesso, la cui natura è normalmente fruttifera (Cass.20823/2015). Tale perdita deriva dalla mancata percezione di quei frutti che il proprietario avrebbe tratto dall’uso diligente della cosa e dunque dell’utilità retraibile dalla concessione del bene in godimento dietro corrispettivo, corrispondente, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, al canone locatizio di mercato (Cass. 16670/2016).

A tali principi si è conformata la pronuncia impugnata che ha correttamente sganciato l’effetto restitutorio di cui all’art. 1458 c.c., dall’inadempimento e conseguente tutela risarcitoria, dando rilievo al reddito che il contraente avrebbe tratto se il bene fosse rimasto nella sua disponibilità ed ha correttamente fatto riferimento al canone locatizio di mercato, come determinato dal ctu nominato, le cui conclusioni non risultano specificamente contestate.

In conclusione, va rigettato sia il ricorso principale che quello incidentale.

Considerata la soccombenza reciproca, va disposta l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quelli incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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