Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24322 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5867/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, (C.F. (OMISSIS)),

in persona del Dott. M.A., in virtù di delega conferita

dal Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto Medesimo, rappresentato e difeso

unitamente agli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA

PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

T.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 170/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

emessa il 6/2/2014 e depositata il 24/2/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI, per il ricorrente, che si riporta

ai motivi del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza depositata in data 24/2/2014, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva accolto la domanda proposta da T.L. intesa ad ottenere il riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto della L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8 e successive modifiche, in relazione all’attività lavorativa svolta alle dipendenze della Cosmic e poi di altre ditte succedutesi in appalti per servizi di manutenzione da svolgere per conto della Pertusola Sud S.p.A. di (OMISSIS) dal 1978 al 1992. La Corte territoriale riteneva, per quanto di interesse nel presente giudizio, che, la domanda presentata all’I.N.A.I.L. in data 15/1/2001 (e dunque prima del ricorso giudiziario presentato in data 15/2/2005) consentisse di superarne l’eccezione di improponibilità sollevata dall’I.N.P.S..

Avverso tale sentenza l’I.N.P.S. propone ricorso per cassazione fondato su un motivo.

T.L. è rimasto solo intimato.

Con l’unico motivo l’I.N.P.S. denuncia la violazione della L. n. 533 del 1973, artt. 7 e 8 e dell’art. 443 c.p.c., in relazione alla ritenuta proponibilità della domanda giudiziaria. Rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, la richiesta di accertamento dell’esposizione all’amianto presentata all’I.N.A.I.L., non poteva valere ad escludere l’obbligo del lavoratore di presentare la domanda all’I.N.P.S. e cioè al soggetto tenuto a riconoscere il beneficio previdenziale in argomento.

Il motivo è manifestamente fondato alla luce dei princìpi enunciati da questa Corte in plurime decisioni nelle quali è stato affrontato il parallelo problema dell’applicazione a fattispecie analoghe a quella in esame della decadenza prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito nella L. n. 438 del 1992 – cfr. Cass. ord. 3 febbraio 2012, n. 1629 ed in senso conforme Cass. sent. 30 maggio 2012, n. 8650; id. Cass. sent. 14 agosto 2012, n. 14471; Cass. ord. 4 dicembre 2013, n. 27148; Cass. ord. 4 marzo 2014, nn. 5008 e 5009; Cass. ord. 25 febbraio 2014, n. 4484.

E’ stato, così, affermato il principio che la suddetta decadenza dall’azione giudiziaria trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione, così da doversi ritenere incluso, nella previsione di legge, anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione, sulla quale, all’evidenza, incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione in cui si sostanzia il beneficio previdenziale previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

Si è, altresì, chiarito, con specifico riferimento alle domande giudiziarie avanzate da soggetti già pensionati, che non sono applicabili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 12720/2009, poichè ciò che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) – in base ai criteri ordinari – il diritto al trattamento pensionistico. I stato, al riguardo, così precisato: “E’ opportuno anche rilevare che dal sistema è ricavabile l’onere degli interessati di proporre all’istituto gestore dell’assicurazione pensionistica la domanda di riconoscimento del beneficio per esposizione all’amianto, nonostante incertezze lessicali del legislatore (cfr. Cass. n. 15008/2005)” ed anche chiarito che neppure è validamente invocatile il principio di imprescrittibilità del diritto a pensione, in quanto “tale particolarissimo regime non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva. E del carattere sostanzialmente costitutivo del procedimento amministrativo e dell’azione in giudizio diretto al riconoscimento) del beneficio contributivo per esposizione all’amianto sembra non potersi dubitare, stante i vincoli sostanziali, temporali e procedurali posti dalla legislazione in materia” – cfr. Cass. n. 1629 del 3 febbraio 2012; id. Cass. n. 11400 del 6 luglio 2012; Cass. n. 14531 del 16 agosto 2012; Cass. 14472 del 14 agosto 2012; Cass. n. 20031 e 20032 del 15 novembre 2012; Cass. n. 27148 del 4 dicembre 2013; Cass. n. 4778 del 27 febbraio 2014 -.

A tale orientamento non può validamente opporsi che la legge n. 257/92 non prevede espressamente la necessità di presentazione della domanda amministrativa, a differenza di quanto dispone, con riferimento all’I.N.A.I.L., il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326.

Esiste, infatti, la norma generale prevista dalla L. n. 533 del 1973, art. 7 (cui è sotteso l’interesse pubblico “ad una sollecita e meno costosa definizione di determinate controversie” – Cass., Sez. U., 5 agosto 1994, n. 7269) che impone alla parte privata di compulsare ante causam l’ente erogatore, cioè la controparte, avviando così un procedimento amministrativo necessario che lasci all’amministrazione uno spatium deliberandi di 120 giorni.

La tesi della generale indispensabilità dell’istanza amministrativa in relazione a tutte le controversie di cui all’art. 442 c.p.c. (nella materia previdenziale e nell’assistenza sociale; nei confronti sia dell’I.N.P.S. sia degli altri enti erogatori; anche nel caso in cui ad agire sia il datore di lavoro per questioni concernenti i contributi assicurativi) è, del resto, assolutamente prevalente (cfr. ex multis Cass. 28 novembre 2003, n. 18265; Cass. 12 marzo 2004, n. 5149; Cass. 24 giugno 2004, n. 11756; Cass. 27 dicembre 2010, n. 26146; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2063; si veda, per l’improponibilità della domanda proposta dal datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale, avente ad oggetto il rimborso di contributi non dovuti ove il giudizio sia stato instaurato senza la preventiva presentazione della domanda amministrativa, Cass. 21 dicembre 2001, n. 16153). Milita in favore di siffatta ricostruzione la stessa ampiezza della formula legislativa, tale da non consentire distinzioni fra cause mirate ad un trattamento previdenziale e cause finalizzate ad altro scopo: anche queste incidono sul rapporto fra assicurato ed ente previdenziale, sicchè non v’è ragione di negare allo stesso il consueto spatitum deliberandi.

In conformità del sopra richiamato orientamento giurisprudenziale ed in base ai principi generali va, dunque, ritenuto che la domanda giudiziale di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto proposta da soggetto iscritto (o pensionato) debba essere preceduta, a pena di improponibilità, da quella amministrativa rivolta all’ente competente a erogare la prestazione. Presupposto logico e fattuale di tale ragionamento è la necessità che l’assicurato porti a conoscenza dell’Istituto “fatti” la cui esistenza è nota solo all’interessato (si consideri, del resto, che la necessità della domanda è stata ritenuta in ogni caso in cui occorra fare conoscere all’ente i presupposti del diritto alla prestazione – così Cass. 5 ottobre 2007, n. 20892 e la più recente Cass. 23 gennaio 2013, n. 1576 -).

La domanda giudiziale deve, quindi, essere presentata all’I.N.P.S., unico ente legittimato a concedere il beneficio previdenziale in parola; nè può fondatamente sostenersi una sostanziale fungibilità rispetto a tale domanda di quella inoltrata all’I.N.A.I.L. attesa la diversità funzionale dell’una rispetta all’altra. Mentre la domanda all’I.N.P.S. è, infatti, necessaria per l’erogazione del beneficio previdenziale, quella rivolta all’I.N.A.I.L. mira unicamente a fornire al lavoratore la prova dell’esposizione all’amianto. Si richiama, a conforto, la costante giurisprudenza della Suprema Corte con la quale, a partire dalla sentenza 28 giugno 2001 n. 8859 (e, successivamente, 25 febbraio 2002 n. 2677, 19 giugno 2002 n. 8937, 29 novembre 2002 n. 17000), si è costantemente affermato che nella causa introdotta dal lavoratore per ottenere accertamento giudiziale del diritto alla rivalutazione, ai fini pensionistici, del periodo lavorativo nel quale è stato esposto all’amianto, avvalendosi della disposizione di cui della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, nel testo modificato dal D.L. 5 giugno 1993, n. 169, art. 1, comma 1 e dalla relativa Legge di Conversione 4 agosto 1993 n. 271, l’I.N.A.I.L., difetta di legittimazione passiva (ad causam), in quanto soggetto del tutto estraneo al rapporto, di natura previdenziale, che dà titolo a una siffatta domanda, posto che la norma da cui trae fondamento il diritto) azionato finalizza il beneficio da essa previsto – consistente nell’incremento dell’anzianità contributiva, attraverso il meccanismo della ipervalutazione dei periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dalla esposizione all’amianto – ad agevolare il perfezionamento dei requisiti previsti per le prestazioni pensionistiche (l’ammontare delle quali dovrà essere determinato computando, se spettante, la maggiorazione di legge) e a consentire, perciò, una più rapida acquisizione del relativo diritto, non già a facilitare l’accesso alle (diverse) prestazioni oggetto del regime assicurativo che fa carico all’I.N.A.I.L..

La mancanza di domanda all’I.N.P.S. (nella specie, tale domanda certamente non era stata presentata prima del ricorso giudiziario ma solo in data 15/6/2005, e dunque successivamente) conduce pertanto inevitabilmente ad una pronuncia di improponibilità dell’azione (cfr. Cass. 15/1/2007, n. 732), insanabile nel medesimo processo (cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5149).

Per quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa potrà essere decisa nel merito con la declaratoria di improponibilità dell’originario ricorso; il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – Da tanto consegue che il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con la declaratoria di improponibilità dell’originario ricorso.

5 – Le spese dell’intero processo vanno compensate in ragione del consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale qui condiviso in epoca successiva alla presentazione del ricorso di primo grado.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’improponibilità dell’originario ricorso. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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