Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24322 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. II, 18/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 18/11/2011), n.24322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2320/2006 proposto da:

COMPANY SHOES SRL, in persona del Liquidatore e legale rappresentante

pro tempore T.F., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA G. GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato LITTA PIETRO UGO,

rappresentata e difesa dall’avvocato LANZILAO Massimo;

– ricorrente –

contro

MIBER SPA in persona del Presidente Consiglio di Amministrazione

B.B., elettivamente domicilialo in ROMA, VIA DEL VASCELLO

6, presso lo studio dell’avvocato ROCCHI Pierluigi, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GHIRARDI ALDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 700/2004 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 26/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato LANZILAO, difensore del ricorrente che ha chiesto

accoglimento de, ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 3.4.1992 Company Shoes srl conveniva davanti al Tribunale di Lecce Miber spa, esponendo che il 15.10 1991 aveva ordinato alla convenuta un determinato quantitativo di calzature della collezione primavera-estate, ordinativo accettato senza che seguisse la consegna della mercè per cui chiedeva i danni da mancato guadagno per L. 35.531.200.

La convenuta resisteva deducendo che l’attrice aveva manifestato l’interesse all’acquisto, tanto che era stata trasmessa la campionatura, senza la conclusione di alcun contratto.

Istruita la causa, con sentenza 18.2,2003 il Tribunale sez. stralcio accoglieva la domanda con condanna della convenuta al pagamento di euro 17.833.88, decisione riformata dalla Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 700/04, che rigettava la domanda con condanna alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, pur ritenendo concluso il contratto, non potendosi sostenere che la frase “ordine confermato” fosse una aggiunta, accoglieva la doglianza circa l’assenza di prova del mancato guadagno in carenza degli elementi necessari per stimare l’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta.

Ricorre Company Shoes srl in persona del liquidatore con quattro motivi, illustrati da memoria, resiste Miber spa, che eccepisce l’inammissibilità del ricorso perchè dalla visura camerale risulta che la srl, posta in liquidazione il 30.5.1995, era stata cancellata dal registro delle imprese l’8.3.1996.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminare è l’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso che indica riferimenti cronologici precedenti alla sentenza di primo grado ed alla proposizione dell’appello avvenuta il 4.6.2003.

Ferma restando la rilevabilità anche di ufficio dei requisiti di esistenza dell’atto e di legittimazione processuale del soggetto procedente, il rilievo comporterebbe l’inammissibilità dell’appello, donde la carenza di interesse alla deduzione, che prospetta una questione non documentata, sulla quale non si è formato il contraddittorio nè in primo grado nè in appello.

Tra l’altro non è contestata la legittimazione del liquidatore e si fa generico riferimento a visura camerale della srl in liquidazione, senza dare prova della cancellazione.

Col primo motivo si lamentano vizi di motivazione ed omesso esame di documenti riportati come documento G, listino prezzi definitivo con indicazione del prezzo di acquisto e quello di catalogo, documento G, listino prezzi iva esclusa confidenziale per rivenditori.

Col secondo motivo si deducono violazione degli artt. 1123 e 1226 c.c., e vizi di motivazione perchè la prova del lucro cessante consiste in una valutazione ex ante del pregiudizio ed il giudice può procedere ad una ricostruzione ideale degli utili senza onere di provare il preciso ammontare.

Col terzo motivo si denunziano violazione degli artt. 115, 345, 346 c.p.c., art. 2909 c.c. e vizi di motivazione perchè la percentuale del 25% individuata dal primo giudice era riconducibile ad un fatto notorio e non era stata contestata dall’appellante.

Col quarto motivo si lamentano violazione dell’art. 1226 c.c., artr.

112 , 113 c.p.c. e vizi di motivazione per non avere la Corte di appello, in ogni caso, proceduto ad una valutazione equitativa, espressamente richiesta sia nelle conclusioni in primo grado (non riportate) che in appello (riportate).

Osserva questa Corte Suprema:

La sentenza impugnata, pur riportando quella di primo grado circa la prova del mancato guadagno, in quanto l’attrice, dopo aver rivenduto in anticipo la merce comprata dalla convenuta, si era trovata- a causa della mancata consegna delle calzature – nell’impossibilità di soddisfare le richieste dei propri clienti, così perdendo l’utile di circa il 25% che normalmente ogni grossista applica sul prezzo di listino, ha dedotto che la società appellante – invece di provare documentalmente gli utili maturati negli anni precedenti e così fornire dati attendibili su cui commisurare il preteso lucro cessante, si è limitata a sostenere che mediamente il ricarico da essa operato sul prezzo di listino era del 25%, senza peraltro fornire alcuna dimostrazione di tale assunto e senza fornire alcun altro elemento per liquidare in modo corretto il mancato guadagno.

Era necessario conoscere non soltanto il ricarico applicato negli anni precedenti ma anche i costi sopportati e le percentuali di invenduto residuate a fine di esercizio. Nulla di tutto ciò era stato dimostrato per cui era del tutto arbitraria la liquidazione del primo giudice peraltro di gran lunga superiore al 25%, posto che il contratto aveva ad oggetto esclusivamente le scarpe di cui all’ordinativo n. 3782 pari a n. 2256 paia, per un importo di L. 72.678.000. Tale motivazione va censurata per quanto si dirà.

La sentenza, pur dando atto della produzione documentale in atti (listino prezzi, etc.), astrattamente idonea a fornire elementi utili ai fini della liquidazione del danno da mancato guadagno, è pervenuta alla decisione sopra riportata senza un esame analitico di detta documentazione che avrebbe potuto consentire una liquidazione non equitativa, tanto più che non viene messa in dubbio la circostanza, valorizzata dal primo giudice, della rivendita della mercè comprata e dell’impossibilità di soddisfare le richieste dei clienti.

Donde l’accoglimento del primo motivo, affidandosi al giudice del rinvio l’esame della produzione documentale pretermesso dalla Corte di appello.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono sostanzialmente assorbiti dall’accoglimento del primo e dalla nuova indagine demandata, dalla quale potranno ricavarsi elementi utili circa la congruità o meno del ricarico del 25%.

Quanto al quarto motivo ed alla possibilità di liquidazione equitativa, il concreto esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., da luogo non ad un giudizio d’equità ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, ond’è che non solo è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, come desumibile dalle citate norme sostanziali, ma non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta anzi, al contrario, presuppone già assolto dalla parte stessa, nei cui confronti le citate disposizioni non prevedono alcuna relevatio ab onere probandi al riguardo, l’onere su di essa incombente ex art. 2697 c.c., di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno, così come non la esonera dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile limitato e ricondotto alla sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune riscontrate insuperabili nell’iter della precisa determinazione dell’equivalente pecuniario del danno stesso.

Inoltre, poichè il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione d’un diritto soggettivo non è riconosciuto dall’ordinamento con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso ed, al contempo, lo stesso ordinamento non consente l’arricchimento ove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro (nemo locupletari potest cum aliena iactura), anche nelle ipotesi per le quali il danno sia ritenuto in re ipsa e trovi la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dalla controparte, la presunzione attiene alla sola possibilità della sussistenza del danno ma non alla sua effettiva sussistenza e, tanto meno, alla sua entità materiale; l’affermazione del danno in re ipsa si riferisce, dunque, esclusivamente all’an debeatur, che presuppone soltanto l’accertamento d’un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit, onde permane la necessità della prova d’un concreto pregiudizio economico ai diversi fini della determinazione quantitativa e della liquidazione di esso per equivalente pecuniario, e non è precluso al giudice il negare la risarcibilhà stessa del danno ove la sua effettiva sussistenza o la sua materiale entità non risultino provate.

Tuttavia la Corte di appello non poteva limitarsi a dedurre l’arbitrarietà e l’eccessività del ricarico, oltre il 25%, ed aveva elementi sufficienti per liquidare il danno in via equitativa.

Donde l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Lecce, altra sezione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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