Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24322 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 13/06/2017, dep.16/10/2017),  n. 24322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23541-2013 proposto da:

S.S., (OMISSIS), G.E., (OMISSIS),

R.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, V. VALPASSIRIA

23, presso lo studio dell’avvocato MONICA VECCHI, rappresentati e

difesi dall’avvocato ANTONIO MATTIANGELI;

– ricorrenti –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI

2/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 314/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 18/07/2012;

viste le conclusioni scritte rassegnate dal P.M. in persona del Sost.

P.G. Dott. MISTRI Corrado per la presente inammissibilità e

comunque per il rigetto dei ricorsi.

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. SABATO RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

con sentenza depositata il 02/02/2009 il tribunale di Terni ha accolto la domanda di S.F. ed G.E. di arretramento a distanza legale rispetto al loro fabbricato di sopraelevazione realizzata su quello frontistante di C.F., in (OMISSIS); ha rigettato l’eccezione di intervenuta usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale, trattandosi di violazione di norme inderogabili a tutela di interesse pubblico;

adIta da C.F., la corte d’appello di Perugia ne ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, con sentenza depositata il 18/07/2012 ha rigettato la domanda di S.F. ed G.E., tenuto conto che con relazione integrativa del c.t.u. officiato dal tribunale (che con la prima relazione aveva accertato la violazione delle norme sulle distanze in atto) era stato chiarito – e ciò era stato trascurato dal tribunale – che la sopraelevazione di Conti, realizzata nel 1966, era conforme alle norme in materia di distanze all’epoca vigenti;

avverso la suddetta sentenza propongono ricorso per cassazione G.E. e, quali eredi di S.F., R.M. e S.S. su due motivi; resiste con controricorso C.F.; il pubblico ministero deposita conclusioni scritte per la parziale inammissibilità e comunque per il rigetto del ricorso;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’artt. 873 c.c., D.P.R. n. 1444 del 1968, art. 9, e la L. n. 1684 del 1962, art. 6, n. 4; si rileva, in particolare, che l’art. 873 c.c., pur potendo essere integrato da norme regolamentari, prevede comunque una distanza minima di tre metri tra costruzioni, per cui in violazione di legge la corte d’appello, adeguandosi a quanto affermato dalla c.t.u., avrebbe ritenuto “la conformità alle norme in materia di distanze allora (1966) vigenti”, laddove dalla relazioni di c.t.u. emergeva che “la parte dell’edificio esistente corrisponde al progetto approvato”, ma “ad eccezione del dente scale lato posteriore che verrà a trovarsi a meno di m. 3,00 dal confine”; si contesta altresì che la concessione in sanatoria non vale a esentare dal rispetto delle distanze, essendo peraltro la concessione subordinata al rispetto della distanza di m. 3; si deduce infine la mancanza di riferimenti alla distanza di 6 metri di cui alla L. n. 1684 del 1962, art. 6, n. 4, per le costruzioni in area sismica e alla distanza di 10 metri tra pareti finestrate prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9,comma 2;

il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato; in particolare, l’inammissibilità consegue alla circostanza per cui, sotto la veste di una censura per violazione di legge, non avendo la corte d’appello in alcun modo negato l’applicazione dell’art. 873 c.c., i ricorrenti pretendono di sottoporre alla corte di legittimità un apprezzamento fattuale (in sostanza, se un dente di scala costituisca o no costruzione ai fini del rispetto delle distanze ex art. 873 c.c.) su cui, seppure sinteticamente, si è espressa la corte territoriale condividendo al riguardo la relazione di c.t.u. che ha ritenuto l’ampliamento rispettoso delle distanze pur in presenza della sporgenza dello stesso dente di scala al di sotto della distanza minima, evidentemente in quanto non idoneo a creare intercapedine e di natura meramente accessoria e ornamentale; infondato, nella parte in cui invoca l’applicazione di norme o non in vigore al momento della costruzione (D.M. n. 1444 del 1968) o non applicabili ai luoghi di causa (L. n. 1684 del 1962, art. 6, n. 4, applicabile ad alcune località sismiche indicate in elenco accluso alla legge, tra cui non risulta quella per cui è causa) ovvero enuncia principi (quello della irrilevanza della concessione in sanatoria) non contraddetti dalla sentenza impugnata;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’epoca di realizzazione della sopraelevazione, che la corte d’appello, fondandosi su affermazione della c.t.u. (contestata in quanto non basata sul rilievo oggettivo dell’epoca dei materiali), ha ritenuto collocata nell’anno 1966 (prima del vigore della prescrizioni di cui alla L. n. 765 del 1967 e al p.r.g. di Terni adottato il 20/10/67), a fronte di elementi probatori contraddittori – desumibili dalla stessa domanda di sanatoria – circa detta epoca;

anche tale motivo è inammissibile; invero, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, mentre la motivazione contraddittoria consiste nell’insanabile contrasto tra affermazioni in essa contenute; viceversa, nel caso di specie la parte ricorrente meramente denuncia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente medesima sul valore e sul significato dal giudice del merito attribuiti agli elementi delibati (possibili epoche di costruzione dell’ampliamento), risolvendosi, quindi, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento della corte territoriale tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione;

in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 – quater, si deve dar atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 – bis.

PQM

 

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti in solido dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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