Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24321 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. II, 18/11/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 18/11/2011), n.24321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CEIC s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro Foscari n. 40, presso

lo studio dell’Avvocato COLAIACOVO Vincenzo, dal quale è

rappresentato e difeso per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza della

Libertà n. 20, presso lo studio dell’Avvocato Michele Lioi,

rappresentato e difeso dall’Avvocato PEZZOPANE Pierluigi per procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 80 del 2007,

depositata il 6 marzo 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14

luglio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 17 gennaio 1994 la C.E.I.C. s.r.l., assumendo di avere eseguito nel 1987 su incarico di F. A. lavori edili e di avere maturato un credito di L. 2.500.000, conveniva, dinnanzi al Pretore di L’Aquila, il F. chiedendone la condanna al pagamento A della detta somma, oltre rivalutazione monetaria e interessi dal 30 agosto 1987 al soddisfo.

Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto della domanda.

Il Giudice di pace di L’Aquila, cui la controversia era stata rimessa a seguito della soppressione dell’Ufficio del Pretore, con sentenza n. 4 del 2004, rigettava la domanda ritenendo che non fosse provato il contratto d’appalto posto a fondamento della domanda e che la C.E.I.C. avesse avuto rapporti con la Cooperativa edilizia Habitat Nuovo, che poi aveva assegnato uno degli alloggi al F..

CEIC s.r.l. proponeva appello, cui resisteva il convenuto.

Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza depositata il 6 marzo 2007, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Il giudice di appello riteneva che la C.E.I.C. s.r.l. avesse omesso di fornire la prova della sussistenza di un contratto di appalto con il sig. F.. A tal fine il Tribunale riteneva inidonee le dichiarazioni rese dal F. tanto in sede di interrogatorio formale quanto in sede di interrogatorio da parte della Guardia di finanza. Secondo il giudice di appello, inoltre, la circostanza che il F. aveva materialmente effettuato il pagamento di quanto dovuto dalla Cooperativa Habitat Nuovo era inidonea a fondare la legittimazione passiva del F. in relazione al rapporto di appalto dedotto in giudizio.

Quanto alla domanda subordinata di condanna del F. ex art. 2041 cod. civ., il Tribunale negava la possibilità di estendere la propria cognizione a tale domanda, non avendo la C.E.I.C. speso alcuna argomentazione per contestare la statuizione del giudice di primo grado che aveva dichiarato tale domanda inammissibile in ragione della sua novità.

Per la cassazione di questa sentenza CEIC s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi; l’intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente censura la decisione impugnata per “omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo dell’affermazione del F. di aver saldato il presso dell’appalto”. In particolare, la ricorrente sostiene che la motivazione sarebbe contraddittoria nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto, da un lato, che il F. non fosse obbligato al pagamento, non avendo egli commissionato i miglioramenti e, dall’ altro, che non potesse affermarsi la conclusione di un contratto di appalto pur in presenza del versamento di un assegno.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., comma 2, dolendosi del fatto che il Tribunale non abbia considerato che, in merito al versamento dell’importo indicato nell’assegno, il F. non aveva fornito alcuna prova; sostiene, quindi, che i termini della controversia non riguardavano più, come ritenuto dal Tribunale, la formale individuazione delle parti del contratto, ma l’inadempimento della parte che aveva riconosciuto la propria obbligazione, ma non aveva fornito prova alcuna circa l’adempimento della stessa.

A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Se, in relazione all’art. 2697 c.c., il committente nell’appalto privato, che assuma di non aver contratto obbligazione per la realizzazione di alcune migliorie e di aver consegnato un assegno in pagamento per l’obbligazione assunta dal terzo possa essere esentato dall’onere di dimostrare l’avvenuto pagamento dell’assegno e limitarsi ad affermare di non essere legittimato passivamente nella azione intentata dall’appaltatore che dichiari di non aver mai ricevuto il corrispettivo dell’appalto”.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce il vizio di omes-sa motivazione circa fatto controverso e decisivo concernente la mancata dimostrazione del pagamento dell’assegno asseritamente consegnato dal F. al legale rappresentante della CEIC..

Occorre premettere che la sentenza impugnata è stata depositata il 6 marzo 2007, nel vigore dell’art. 366 bis cod. proc. civ., a norma del quale i motivi di ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità, dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali si denuncia vizio di motivazione, si deve rilevare che le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007) . In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Al riguardo, è incontroverso che non è sufficiente che il fatto controverso sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata. Non si può quindi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass. n. 27680 del 2009).

Ciò premesso, il primo e il terzo motivo del ricorso devono essere dichiarati inammissibili, atteso che essi contengono la indicazione del fatto controverso, ma non il momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti del denunciato vizio di motivazione.

Con riferimento al primo motivo, si deve ulteriormente rilevare che lo stesso risulta inammissibile perchè con esso viene dedotto un vizio di omessa motivazione congiuntamente con la denunzia di motivazione insufficiente o contraddittoria, dando così luogo ad un insanabile contrasto logico, non potendo il primo di tali vizi coesistere con gli altri.

Con riferimento sia al primo che al terzo motivo, si deve poi rilevare che la denuncia del vizio di motivazione si risolve nella sollecitazione di un nuovo esame delle risultanze istruttorie, sulla base delle quali il Tribunale ha motivatamente e congruamente accertato la mancanza di prove dell’avvenuta conclusione del contratto di appalto posto a fondamento della pretesa azionata dalla ricorrente.

Il secondo motivo è infondato.

In realtà, la questione posta con il quesito formulato a conclusione del motivo si incentra sull’avvenuto pagamento dell’importo recato dall’assegno, laddove il Tribunale ha, con motivazione ampia, congrua e logicamente articolata, affermato che la appellante (odierna ricorrente) non aveva fornito la prova dell’avvenuta conclusione di un contratto di appalto vincolante per il F., essendo di contro risultato provato che l’unico contratto di appalto del quale vi era la prova era quello intercorso tra la ricorrente e la Cooperativa. E rispetto a tale contratto, il F. era estraneo, sicchè non si comprende perchè avrebbe dovuto fornire la prova di un pagamento dal medesimo effettuato per conto della Cooperativa, unico soggetto con il quale egli aveva un rapporto diretto.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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