Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24321 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 04/10/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 04/10/2018), n.24321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13246/2012 R.G. proposto da:

Impresa Due Emme Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti. Federico

Carpi e Nicola Di Pierro, con domicilio eletto presso quest’ultimo,

in Roma via Tagliamento n. 55, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso iscritto al n. 17008/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Impresa Due Emme Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti. Federico

Carpi e Nicola Di Pierro, con domicilio eletto presso quest’ultimo,

in Roma via Tagliamento n. 55, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

il primo avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 105/06/11, depositata il 28 novembre 2011, e,

il secondo, avverso la sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia Romagna n. 24/01/13, depositata il 18 marzo

2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 luglio

2018 dal ConsigliereDott. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Letta le memorie depositate dagli Avv.ti Federico Carpi e Astrid

Merlin per la contribuente.

Fatto

RILEVATO

che:

Impresa Due Emme SrI impugnava l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004, per Iva, Ires ed Irap, emesso dall’Agenzia delle entrate in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti in relazione all’acquisto di materiali edili dalla Eurogroup Srl.

La Commissione tributaria provinciale di Ferrara rigettava l’impugnazione.

Il giudice d’appello confermava la sentenza, avverso la quale la contribuente propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Impresa Due Emme Srl, peraltro, proponeva altresì, avverso la decisione n. 105/06/11 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, ricorso per revocazione, che veniva accolto con riforma della decisione nel merito.

L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, con due motivi, contro la sentenza pronunziata a seguito di revocazione. Resiste con controricorso la contribuente, proponendo ricorso incidentale.

Impresa Due Emme Srl deposita memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c., in entrambi i procedimenti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Va disposta, preliminarmente, la riunione tra il procedimento R.G.N. 13246/2012 e il procedimento R.G.N. 17008/2013, avendo il secondo ad oggetto la decisione pronunziata a seguito di revocazione della sentenza impugnata con il primo ricorso, ferma la necessità di esaminare con priorità il ricorso riguardante la sentenza di revocazione (v. Cass. n. 16435 del 05/08/2016).

1.1. Va invece disattesa l’istanza di riunione con riguardo al ricorso R.G.N. 13527/2012, che ha ad oggetto una diversa annualità, neppure ricorrendo ragioni di celerità o di economia processuale.

2. Passando all’esame del ricorso R.G.N. 17008/2013 va preliminarmente disattesa l’eccepita inammissibilità per essere stato il ricorso redatto con la tecnica dell’assemblaggio.

2.1. In ordine all’utilizzo di tale tecnica di redazione dell’atto impugnativo, ritenuta generalmente motivo di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del contenuto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la giurisprudenza ha opportunamente puntualizzato che l’integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicchè è sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass. n. 18363 del 2015).

Nel caso in questione, benchè 9 delle 28 pagine del ricorso siano costituite da allegati (atto impositivo ed atti processuali), quanta residua dalla loro estrapolazione consente di percepire con chiarezza ed in termini univoci i fatti sostanziali e processuali, esclusa dunque l’inammissibilità.

3. Il primo motivo denuncia insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Nella fattispecie in esame trova applicazione (trattandosi di sentenza pubblicata il 18 marzo 2013) la disciplina di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012, che ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost., sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale requisito minimo non risulta soddisfatto, invero, soltanto quando ricorrano quelle stesse ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile), mentre al di fuori di esse residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che è stato oggetto di discussione e che sia “decisivo”, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Sez. U, nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014).

4. Il secondo motivo denuncia, in effetti, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione.

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. Occorre premettere, invero, che la vicenda in esame ha ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti.

Viene in rilievo, infatti, la tematica della detraibilità Iva (e la deducibilità dei correlati costi) nel caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti in quanto iscritte nell’ambito di un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco (comunemente dette “frodi carosello”), di per sè oggetto di numerose decisioni di questa Corte, che hanno investito – alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia – che cosa deve essere provato e come è ripartito l’onere della prova tra fisco e contribuente (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Toth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C101/16; da ultimo v. Cass. n. 9851 del 20/04/2018).

Sul punto, va premesso, innanzitutto, che una regolare fattura, conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (e, in ispecie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21), fa presumere la verità di quanto in essa rappresentato, sicchè costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA, spettando all’Ufficio, di fronte alla sua esibizione, provare il difetto delle condizioni per la detrazione.

Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, peraltro, l’operazione è effettiva ed esistente ma la fattura è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario): ne deriva che l’IVA non è, in linea di principio, detraibile perchè versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta.

In altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. 20060 del 2015, Rv. 636663): ai sensi dell’art. 168, lett. a), della direttiva 2006/112, del resto, per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo.

In una simile ipotesi è configurabile, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, una esigenza di tutela della buona fede del contribuente, fermo restando, in ogni caso, che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, sicchè un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva dev’essere considerato, ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle.

Ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce: incombe, dunque, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione; una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.

La prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra, dunque, su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare:

a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, ossia che il soggetto formale non è quello reale: tale elemento individua la prova dell’evasione fiscale, che si concretizza una volta accertata, anche solo in via presuntiva, la natura di interposto o “cartiera” del soggetto emittente le fatture;

b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva: non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.

Quanto a questo secondo elemento, invero, il soggetto passivo non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’Iva” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).

Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver incolpevolmente ritenuto che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.

Giova sottolineare, sul punto, che è priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perchè i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato.

Si tratta, invero, di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perchè riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (v. Cass. n. 20059 del 2014 cit.; Cass. n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 29002 del 05/12/2017; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).

4.3. Orbene, nella vicenda in esame, il giudice d’appello, in sede rescissoria, ha accolto il gravame del contribuente così motivando: “alla luce della documentazione versata in atti dalla contribuente appare evidente… ove la Commissione avesse rinvenuto… tutte le bolle di accompagnamento del materiale venduto e consegnato, a completamento della filiera documentale dimostrata con le fatture, gli assegni bancari di pagamento e gli estratti conto… avrebbe concluso per l’accoglimento dell’appello” derivandone che “le presunzioni formulate dall’Ufficio sono risultate infondate perchè non rispondenti alla realtà dei rapporti commerciali intrattenuti dalla contribuente con la società Eurogroup Srl la cui effettività è stata documentalmente provata”.

Il giudice d’appello, dunque, ha fondato la decisione solo sulla riscontrata esistenza delle bolle di consegna, valutate come idonee a dimostrare l’effettività dei rapporti commerciali.

Non ha in alcun modo considerato, invece, che:

1. la Eurogroup Srl “non produce o compera per rivendere le relative merci” (v. sentenza della CTR Emilia Romagna n. 105/06/11, oggetto della revocazione) e, anzi, aveva predisposto un “apparato fittizio di fornitori” (cartiere) “creando una mole di false fatture per poter fornire false fatture” (v. pvc, riprodotto per autosufficienza);

2. il totale complessivo delle fatture fittizie annotate dalla società Eurogroup Srl per l’intero periodo oggetto della verifica e, specificamente, per l’anno 2004 (Euro 11.160,354,00) era pressochè sovrapponibile al totale delle fatture emesse a favore del gruppo Tomasi (Euro 9.167.346,00), cui appartiene l’Impresa Due Emme Srl (v. pvc e prospetto riassuntivo per annualità), ossia emergeva una stretta contiguità tra forniture alla Eurogroup, inserita in un sistema di frodi carosello, e quelle da quest’ultima verso la società contribuente.

In altri termini, è stato del tutto omesso ogni esame del fatto oggetto di discussione tra le parti che la contribuente risultava aver acquistato (ed in grande quantità) i materiali edili da una società, la Eurogroup Srl, che, invece, non aveva effettuato alcun acquisto, nè produceva alcun bene, ma che, per quanto dedotto e contestato, aveva in realtà compiuto solamente operazioni oggettivamente inesistenti per la creazione di false fatture.

Si tratta di fatto storico sicuramente decisivo – e la cui esistenza deriva sia dalla sentenza revocata, sia dalle risultanze documentali riprodotte per autosufficienza dall’Ufficio – risultando determinante ai fini dell’identità soggettiva del venditore, sprovvisto della merce ceduta, ed involge anche la prova della consapevolezza della partecipazione all’evasione prefigurando la falsità o, comunque, l’inaffidabilità delle bolle di trasporto.

Giova ribadire, sul punto, che, venendo in questione operazioni soggettivamente inesistenti, non è controverso, nè rilevante, che i materiali siano stati acquistati e le opere conseguenti realizzate.

4.4. La sentenza di revocazione, dunque, va cassata per un nuovo esame.

Va dato atto, sul punto, che la società contribuente ha allegato elementi probatori ed ha prodotto decisione penale a sè favorevole, la cui valutazione – ferma l’osservanza dei limiti di rilevanza e di probatorietà affermati dalla Suprema Corte quanto alla sentenza penale (v. da ultimo Cass. n. 28174 del 24/11/2017) – va parimenti rimessa al giudice di merito.

5. Passando al ricorso incidentale, il primo motivo, con cui si denuncia l’avvenuta compensazione delle spese da parte del giudice d’appello, resta assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.

Il secondo motivo, con cui si deduce la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dell’Agenzia delle entrate in relazione alla proposizione del ricorso per cassazione, asserita mente pretestuoso, va invece rigettato perchè, per quanto sopra deciso, infondato.

6. Quanto al ricorso R.G.N. 13246/2012, infine, va rilevato che l’impugnazione della sentenza di revocazione per il solo profilo rescissorio e l’avvenuta decisione, ancorchè di accoglimento, sul relativo ricorso per cassazione, ne determina l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

7. In relazione al motivo accolto, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente, in diversa composizione, che procederà all’esame dei fatti pretermessi, valutando, in concreto ed alla luce dei principi sopra esposti, se le bolle di trasporto debbano o meno considerarsi inattendibili od oggetto di falsificazione in relazione all’allegata impossibilità della Eurogroup SrI di fornire i materiali perchè da essa mai acquisiti e, dunque, se, in realtà, le forniture, al di là della formale intestazione della documentazione fiscale, provengano da soggetti terzi.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i giudizi R.G.N. 13246/2012 e R.G.N. 17008/2013, dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza revocata; accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo, del ricorso avverso la sentenza di revocazione; dichiara assorbito il primo motivo e rigetta il secondo del ricorso incidentale avverso la sentenza di revocazione; cassa la sentenza di revocazione e rinvia, anche per spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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