Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2432 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. I, 03/02/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 03/02/2021), n.2432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1788/2019 proposto da:

M.W.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Mario

Antonio Angelelli, in virtù di mandato in calce al ricorso per

cassazione, presso il cui studio in Roma, via Alberico II, n. 4, ha

eletto domicilio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA n. cronol.

6653/2018 del 22 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.W.S., nato in (OMISSIS), ricorre in Cassazione con atto affidato a quattro motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 22 ottobre 2018, che ha rigettato l’appello da lui proposto nei confronti del provvedimento del Tribunale di Roma che non aveva accolto la sua richiesta di protezione internazionale.

La Corte territoriale ha rilevato che: la vicenda riferita dal ricorrente che aveva narrato di avere timore di rientrare in Nigeria perchè ricercato per un delitto commesso nei confronti della madre (versione non confermata in sede di audizione in Tribunale) e che il padre voleva che lui subentrasse nella setta degli (OMISSIS) al suo posto non era attendibile e verosimigliante; in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nel centro sud e sud est del Paese, in particolare nel Delta del Niger, esisteva una mera attività criminale di tipo comune; essendo il racconto inattendibile non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui dell’art. 14, lett. a) e b) del Decreto citato; quanto alla protezione umanitaria non sussistevano profili di vulnerabilità; le attività di volontariato e i corsi di lingua italiana rientravano nell’ottica del progetto di accoglienza; l’attività lavorativa era a tempo determinato; per l’ingresso per ragioni lavorative era previsto un diverso tipo di permesso di soggiorno commisurato ai flussi lavorativi.

L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; art. 14, lett. a) e b); D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Corte del merito applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e non avendo valutato la credibilità del ricorrente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e avendo violato il dovere di attivarsi in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del Paese di origine.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Corte riconosciuto la sussistenza di un danno grave e acquisito una completa documentazione sulla Nigeria.

2.1 I motivi che, in quanto connessi perchè hanno ad oggetto la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente e il dovere di cooperazione istruttoria, vanno trattati unitariamente, sono inammissibili.

2.2 Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale, dopo avere evidenziato la diversità delle dichiarazioni rese alla commissione territoriale e in sede di audizione in Tribunale, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente scarsamente credibile per una serie di ragioni specificamente enunciate alle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata.

Nel caso di specie, quindi, la decisione censurata ha valutato le dichiarazioni rese dal ricorrente, rilevando le contraddizioni del suo racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità.

Ciò nel rispetto del principio affermato da questa Corte secondo cui la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

2.3 Per quel che concerne la protezione sussidiaria erra, poi, l’istante a dolersi della mancata spendita, da parte dei giudici del merito, dei doveri di cooperazione istruttoria contemplati in tema di protezione internazionale.

La Corte di appello ha, infatti, dato atto che, in base a quanto documentato dalle fonti specificamente indicate alle pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato, in Nigeria, le attività di (OMISSIS) si registravano prevalentemente nel nord del paese e che non era sostenibile che tutta la Nigeria si trovasse in una situazione di rischio. Più in particolare, i giudici di merito, con valutazione non sindacabile in questa sede, da un lato hanno ritenuto che il racconto del ricorrente fosse non credibile e contraddittorio; dall’altro hanno evidenziato come il ricorrente provenisse da una zona della Nigeria, nella quale non risultava una presenza dominante di (OMISSIS), con la conseguenza che doveva escludersi la sussistenza di rischi e pericoli in caso di rientro nella città di origine.

Anche le domande aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato politico e di protezione sussidiaria ex art. 14 cit., lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, sono state dunque correttamente disattese.

2.4 La Corte di merito ha altresì provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) valorizzando lo specifico assetto politico-istituzionale della Nigeria e mettendo in evidenza l’inesistenza di conflitti armati nel centro sud e sud est del Paese e specificamente nel Delta del Niger.

Il ricorrente nel denunciare dell’impugnata sentenza la violazione della normativa della protezione sussidiaria muove dalla descrizione di una situazione politico-sociale del proprio Stato di provenienza generalizzata a tutta la Nigeria, senza alcuna differenziazione tra le diverse zone, e, come tale, manca di confrontarsi con l’impugnata decisione.

L’apprezzamento di fatto, concludente, e sottratto al sindacato di legittimità, ha condotto la Corte di merito ad escludere la sussistenza di una situazione di grave danno in capo al ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, anche per il profilo di cui alla lett. c).

In definitiva, mentre con riguardo al profilo della situazione personale del ricorrente, la Corte d’appello ha debitamente effettuato la verifica di credibilità richiesta dalla legge, con riguardo al profilo della situazione obiettiva del paese di provenienza ha altrettanto debitamente acquisito i necessari elementi informativi, traendo da essi l’accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 CEDU e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte ignorato la documentazione prodotta ed errato nella verifica delle condizioni di vulnerabilità.

3.1 Il motivo è inammissibile, perchè la Corte ha evidenziato che non sussisteva una situazione di particolare vulnerabilità e che la documentazione prodotta che tendeva a dimostrare l’integrazione del ricorrente non era rilevante a tali fini, anche tenuto conto del contesto di non credibilità del racconto reso dal ricorrente, con ciò facendo corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte secondo cui in materia di protezione umanitaria non può prescindersi, nella mancanza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, dalla credibilità soggettiva del medesimo, analogamente a quanto avviene in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (Cass., 24 aprile 2019, n. 11267; Cass., 21 dicembre 2016, n. 26641).

3.2 Per quanto concerne l’ulteriore doglianza sulla valutazione comparativa, la Corte ha operato una valutazione comparativa e di inserimento in Italia, sul corretto presupposto che non sia a tal fine sufficiente, a concretare la condizione di vulnerabilità soggettiva riconducibile alla protezione umanitaria, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza e ha affermato l’inidoneità del solo elemento dell’attività lavorativa a fungere quale elemento di riscontro di effettivo inserimento ed integrazione in Italia, reputando il volontariato e i corsi di lingua italiana mera espressione del progetto di accoglienza.

3.3 Anche l’ulteriore censura riguardante la mancata considerazione della situazione dell’ultimo paese di provenienza è inammissibile per difetto di specificità, difettando l’indicazione delle ragioni per le quali la valutazione dovesse estendersi anche alla condizione di tale Paese.

Al riguardo, va evidenziato che l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide, potendo il paese di transito rilevare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva UE n. 115/2008, solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass., 6 dicembre 2018, n. 31676).

3.4 E’ infondata anche la censura che richiama il principio di non refoulement previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, oltre che dalla direttiva 2008/115/CE.

Al riguardo va precisato che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in cui si declina il più generale principio di non refoulement, resta in ogni caso inserito nel diverso contesto dell’opposizione alla misura espulsiva, che impone al richiedente di prospettare il concreto pericolo di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine, mentre la disciplina della protezione internazionale introduce una misura umanitaria, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Cass., 8 aprile 2019, n. 9762; Cass., 17 febbraio 2011 n. 3898).

4. Con il quarto motivo il richiedente lamenta la violazione dell’art. 10 Cost., perchè la Corte non aveva riconosciuto la protezione internazionale ad un soggetto a cui non erano garantite nel paese di origine la libertà di esprimere il proprio dissenso e l’autodeterminazione.

4.1 Il motivo è infondato perchè, come reiteratamente affermato da questa Corte, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con il conseguente corollario che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass., 19 aprile 2019, n. 11110).

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

6. Nulla deve disporsi sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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