Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24319 del 16/10/2017
Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 13/06/2017, dep.16/10/2017), n. 24319
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8554-2013 proposto da:
R.G., (OMISSIS), R.F., (OMISSIS),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso lo studio
dell’avvocato ANTONIO MICHELE CAPORALE, che li rappresenta e
difende;
– ricorrenti –
contro
M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO
38, presso lo studio dell’avvocato ELENA ALLOCCA, che la rappresenta
e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 407/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 21/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/06/2017 dal Consigliere Dott. SABATO RAFFAELE.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
con sentenza depositata il 18/03/2010 il tribunale di Venezia ha accolto parzialmente la domanda di M.G. – proprietaria di appartamento nello stabile condominiale in Mestre, via San Donà 11/b – volta a ottenere la rimozione di una canna fumaria, apposta sul muro perimetrale, al servizio del sottostante locale di proprietà di M.L. e locato alla Tre Rose Antiche s.a.s. di R.G. a uso di bar – trattoria; ciò mediante limitazione del diametro della tubazione nell’ambito di quanto ritenuto compatibile con l’esercizio del diritto sulla cosa comune ex art. 1102 c.c.;
con la medesima sentenza il tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale della s.a.s. tesa al risarcimento dei danni da atto emulativo ex art. 833 c.c., per avere M.G. apposto sul muro perimetrale una mensola impeditiva della collocazione della canna fumaria;
con sentenza depositata il 21/02/2012 la corte d’appello di Venezia ha dichiarato estinto il giudizio tra i germani M. per intervenuta rinuncia a seguito di transazione; ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla collocazione della canna fumaria anche nei confronti della s.a.s.; ha accolto l’appello proposto da M.G. in ordine al risarcimento del danno preteso dalla controparte, rilevando non essere individuato chiaramente un comportamento illegittimo della stessa quanto all’apposizione della mensola, essendo essa risultata vittoriosa parzialmente quanto alla contestazione della legittimità della collocazione della canna fumaria, e non essere emersa la prova del danno conseguenziale, non risultando impedito apporre la canna fumaria nonostante l’esistenza della mensola e non emergendo un nesso tra la mancanza di canna fumaria e la ritardata apertura dell’esercizio commerciale;
avverso la suddetta sentenza propongono ricorso per cassazione i signori R.G. e R.F. quali soci dell’estinta s.a.s., articolando due motivi di gravame; resiste con controricorso M.G.;
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione o falsa applicazione dell’art. 833 c.c.”, contestandosi la valutazione del giudice del merito circa il non essere individuato chiaramente un comportamento illegittimo della signora M. quanto all’apposizione della mensola;
con il secondo motivo si lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, nella parte in cui l’iter argomentativo adottato dalla corte d’appello avrebbe trascurato di esaminare la necessità per l’esercizio commerciale di disporre di idonea ventilazione ai fini del rilascio dell’autorizzazione necessaria per l’apertura del ristorante;
entrambi i motivi sono inammissibili in quanto, sotto la veste di censure rispettivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, introducono censure di fatto alla decisione impugnata, precluse in sede di legittimità; ciò che consente a questa corte di esentarsi dall’esaminare ulteriori profili di inammissibilità, anche dedotti dalla parte controricorrente;
in particolare, quanto al primo motivo, la parte ricorrente, apparentemente lamentando violazione o falsa applicazione di norma di diritto, non procede a dedurre – come necessario – un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), bensì allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ciò che si pone all’esterno dell’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; in questo quadro, manca del tutto la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina;
in ordine, poi, al secondo motivo, può anzitutto trascurarsi la circostanza che, essendo stata la sentenza impugnata depositata anteriormente all’11.09.2012, al presente procedimento è applicabile ratione temporis il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che ancora consente la censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (mentre il motivo è impostato su un presunto “omesso esame”, parametro introdotto dalla detta riforma); deve infatti richiamarsi che, in entrambe le formulazioni, il parametro di cui al n. 5 predetto richiede il riferimento a un “fatto” controverso o comunque oggetto di discussione, di cui la parte ricorrente deve farsi carico di dimostrare la “decisività” per il giudizio;
tale fatto controverso, però, non è stato indicato nell’ambito del motivo, o meglio esso è stato ricondotto (pp. 17 ss. del ricorso) a una censura di illogicità della motivazione nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non provato il nesso tra ritardata apertura del locale e mancata realizzazione della canna fumaria, la cui necessità sarebbe emersa in sede di c.t.u.;
sul punto questa corte (v. ad es. Cass. n. 16655 del 29/07/2011) ha chiarito che, per effetto della modifica dell’art. 366 – bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo, e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale);
nel caso di specie, il motivo di ricorso fa assurgere a fatto controverso, su cui si sarebbe realizzata una carenza motivazionale, la mera valutazione in sentenza circa la mancanza di prova di un nesso tra la mancata realizzazione della canna fumaria e l’apertura del locale, che potrebbe essere stata ritardata (anche) per altre circostanze; trattasi, cioè, non già di un fatto storico, ma del coordinamento in sede valutativa da parte della corte di merito delle risultanze processuali;
dovendosi in definitiva rigettare il ricorso, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 – bis.
PQM
La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti in solido dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 13 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017