Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24319 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27539/2015 proposto da:

Comune di Palermo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Giosuè Borsi n. 4, presso lo studio

dell’avvocato Esposito Elisabetta, rappresentato e difeso

dall’avvocato Impinna Anna Maria, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Q.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Piave n.

52, presso lo studio dell’avvocato Carcione Renato, rappresentato e

difeso dagli avvocati Mazzarella Ferdinando, Mazzarella Giuseppe,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Gestione Liquidatoria Particolari e Straodinarie Esigenze anche di

Ordine Pubblico della Città di Palermo, Ministero dell’Economia e

delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidenza

della Regione Siciliana;

– intimati –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1588/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2020 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’ing. Q.R. avanzò domanda di pagamento del corrispettivo della parcella professionale a lui spettante, in conformità al disciplinare di incarico in data 9/10/1989, per la redazione del progetto per la realizzazione della rete fognaria della zona nordoccidentale del Comune di Palermo, nei confronti del Comune di Palermo, Presidenza della Regione Siciliana e Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il giudizio, protrattosi fino in cassazione, si concluse con la sentenza di questa Suprema Corte n. 5234/2000 con la quale venne acclarata e confermata la dichiarazione dei giudici di merito di nullità del disciplinare di incarico del 9/10/1989 per carenza del Comune di Palermo a deliberare su tale oggetto e la legittimazione passiva della Presidenza della Regione Siciliana.

Successivamente con nuovo atto di citazione in data 23 dicembre 2000 il Q. chiese al Tribunale di Palermo che la somma di Euro 272.720.643 già richiesta a titolo contrattuale gli venisse riconosciuta almeno a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., con condanna dei medesimi soggetti convenuti nel precedente giudizio.

Il Tribunale di Palermo con sentenza in data 26/6/2007 respinse la domanda di condanna al pagamento di una somma avanzata da Q.R. a titolo di corrispettivo e pagamento della parcella professionale per la redazione del progetto per la realizzazione della rete fognaria della zona nordoccidentale del Comune di Palermo perchè prescritta.

Su impugnazione di Q.R., la Corte di Appello di Palermo in riforma della sentenza di primo grado, accolse la domanda di ingiustificato arricchimento proposta in quanto la relativa domanda non era prescritta come ritenuto dal giudice del primo grado, e condannò il Comune di Palermo e la Presidenza della Regione Siciliana al pagamento del compenso di Euro 336.488,66. Infatti, posto che il disciplinare di incarico era del 9 ottobre 1989, la domanda di pagamento era stata formulata a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., in data 5 ottobre 1994 con l’atto di appello del precedente giudizio iniziato per inadempimento contrattuale intercorso tra le parti. Tale domanda, pur dichiarata inammissibile in quanto nuova, aveva interrotto il corso della prescrizione decennale che pertanto non risultava maturata alla data del 23 dicembre 2000 data di notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Palermo affidato a quattro motivi e memoria. Q.R. resiste con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Comune di Palermo denuncia difetto assoluto di motivazione, motivazione apparente ed errata in riferimento alla mancanza di legittimazione passiva del Comune rispetto alla Gestione liquidatoria perchè la Corte di Appello di Palermo non ha spiegato il motivo per cui ha escluso la legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria parte del giudizio di merito.

Con il secondo motivo di ricorso il Comune di Palermo denuncia difetto assoluto di motivazione, motivazione apparente ed errata e violazione del giudicato in riferimento alla mancanza di legittimazione passiva del Comune rispetto alla Presidenza della Regione Siciliana perchè la Corte di Appello di Palermo,in contrasto con la sentenza della Corte di Cassazione emessa nel precedente giudizio ha ignorato l’estraneità del Comune alle pretese di pagamento spettante unicamente in capo alla Presidenza della Regione Siciliana.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 191 e 194, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè vizio di motivazione perchè la Corte di Appello di Palermo ha ritenuto proponibile ai sensi dell’art. 2042 c.c., la domanda residuale di indebito arricchimento nei confronti del Comune di Palermo sebbene mancante il requisito della sussidiarietà, perchè il professionista avrebbe potuto esperire azione contrattuale nei confronti del funzionario che aveva stipulato un disciplinare di incarico nullo in data 9/10/1989. Infatti in tale data, era stato stipulato il disciplinare di incarico tra Comune di Palermo e professionista ricorrente, sebbene il legislatore con D.L. 2 marzo 1989, n. 66, aveva già spogliato il Comune di ogni competenza e di ogni provvista finanziaria. Inoltre mancava nella specie ogni riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte del soggetto legittimato.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 191 e 194, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, nonchè vizio di motivazione perchè la Corte di Appello di Palermo ha ritenuto proponibile ai sensi dell’art. 2042 c.c., la domanda residuale di indebito arricchimento nei confronti del Comune di Palermo e liquidato il quantum in riferimento alle tariffe professionali oltre rivalutazione monetaria, accessori, oneri previdenziali e tassa dell’ordine, sebbene l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., deve essere limitata alla diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione in virtù del contratto invalido con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (secondo Cass. Sez. 3 10/3/2011 n. 5696).

Il ricorso è infondato e deve essere respinto in riferimento ai primi tre motivi mentre deve essere accolto il quarto motivo.

I primi due motivi, relativi alla legittimazione passiva del Comune di Palermo sono infondati in quanto la sentenza impugnata ha diffusamente motivato in ordine al soggetto tenuto al pagamento spiegando le ragioni della propria decisione con motivazione esauriente e priva di vizi logici.

Infatti posto che il disciplinare di incarico era stato stipulato in data 9 ottobre 1989 tra il professionista Q. ed il Comune di Palermo, pur essendo quest’ultimo sprovvisto di potere a deliberare tale oggetto, per effetto del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, che aveva spogliato il Comune di Palermo di ogni competenza e di ogni provvista finanziaria, il soggetto legittimato passivo dell’azione di ingiustificato arricchimento è senza dubbio quello che usufruisce dell’utilità dell’opera e quindi necessariamente il Comune di Palermo e la Regione Siciliana in solido come dichiarato nella sentenza impugnata a pagina 9, la quale correttamente esclude la legittimazione passiva delle amministrazioni convenute e della Gestione liquidatoria.

Quanto ai limiti di proponibilità e fondatezza dell’azione di indebito arricchimento, deve in primo luogo rimarcarsi l’irrilevanza del riferimento al riconoscimento dell’utilità da parte dell’ente pubblico, sul quale unicamente e diffusamente si sofferma la sentenza impugnata, al lume della decisione di questa Corte (Cass., Sez. U., 26 maggio 2015, n. 10798), che ha stabilito che: “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”.

Il tema della carenza di sussidiarietà, suggerito dal terzo motivo di ricorso (e ribadito nella rubrica del successivo), risente del rilievo di inammissibilità di tale censura, la quale risulta proposta per la prima volta nel presente giudizio di legittimità. Ed invero, alla questione nella decisione impugnata non si accenna in alcun modo, nè il ricorrente deduce di averla sollevata in precedenza (dovendo in tale caso formulare la censura in termini di violazione dell’art. 112 c.p.c.). La doglianza, per altro, non può essere esaminata sotto il profilo della mera valenza giuridica della violazione del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, in quanto, attesa la ormai definitivamente accertata nullità del disciplinare di incarico del 9 ottobre 1989, sono controverse – come si desume anche dal tenore delle controdeduzioni della difesa del Q. – tanto il tempo di conferimento dell’incarico (che troverebbe, come affermato nella decisione della Corte di appello di Palermo n. 555 del 1996, la sua scaturigine nelle delibere comunali n. 1727 del 1985 e n. 2293 del 1986), quanto l’epoca della sua esecuzione, alla quale negli atti scrutinati non si accenna minimamente.

Ove si consideri la rilevanza di tali aspetti, in considerazione della più volte affermata non retroattività della disposizione contenuta nel citato D.L. n. 66 del 1989, art. 23, convertito, con modificazioni, nella L. n. 144 del 1989 (Cass. 26 giugno 2012, n. 10636; Cass., 11 maggio 2007, n. 10884; Cass., 20 agosto 2003, n. 12208), deve rilevarsi che la necessità di procedere ad accertamenti di natura fattuale, inibiti in questa sede di legittimità, non consente di valutare l’applicabilità o meno, nel caso di specie, della norma testè richiamata.

Deve infine essere accolto il quarto motivo di ricorso.

La Corte di Appello infatti ha liquidato l’importo dovuto sulla base delle tariffe professionali ed ha previsto nella sentenza impugnata a pag. 8 di escludere il lucro cessante con la riduzione del 30 per cento della nota professionale.

Tuttavia risulta pacifica l’inapplicabilità della tariffa professionale in caso di ingiustificato arricchimento e pertanto la liquidazione effettuata, sia pure con una non meglio motivata riduzione forfettaria, ma sempre sulla base della tariffa, non appare corretta, anche poichè ricomprende tasse, contributi e maggiorazioni consentite solo in presenza di un valido incarico contrattuale.

Il giudice di merito dovrà pertanto procedere ad una nuova liquidazione del quantum, tenuto conto del seguente principio, già affermato da questa Corte (Cass., 29 maggio 2019, n. 1467), che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità: la diminuzione patrimoniale (“depauperatio”) subita dall’autore di una prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso calcolato mediante il parametro della tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione (art. 2233 c.c.) ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati (danno emergente), deve comunque ricomprendere quanto necessario a ristorare il sacrificio di tempo, nonchè di energie mentali e fisiche del professionista (lucro cessante), del cui valore si deve tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno. A causa della difficoltà di determinazione del suo preciso ammontare, l’indennizzo può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche officiosa”.

Nell’operare tale liquidazione il giudice del rinvio non potrà omettere di considerare il limite segnato dall’art. 1441 c.c. e costituito dall’entità dell’arricchimento del soggetto responsabile.

In considerazione di quanto sopra il ricorso deve essere respinto per i primi tre motivi, accolto il quarto, cassata la sentenza impugnata nei limiti dell’accolto con rinvio alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie il quarto motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accolto e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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