Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24316 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12343/2013 R.G. proposto da:

N.V., in proprio e quale legale rappresentante della

So.Co.Be.Ru. Società Commerciale di Beni Rustici di N.V.

& C. s.n.c., e B.L., elettivamente domiciliati in Roma,

via Tibullo n. 10, presso lo studio dell’avv. Guido Fiorentino, che

li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza 213/1/12 della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria, depositata in data 18 dicembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 luglio

2020 dal Consigliere Fraulini Paolo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per l’Umbria ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione proposta da N.V. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), da N.V., quale legale rappresentante della So.Co.Be.Ru. Società Commerciale di Beni Rustici di V.N. & C. s.n.c. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) e da B.L. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), aventi a oggetto recupero a tassazione ordinaria del maggior reddito della società, distribuito alle persone fisiche in qualità di soci, derivante dalla percezione di un’indennità di espropriazione, originariamente assoggettata a tassazione separata, in relazione all’anno di imposta 2006.

2. La CTR, dopo aver riunito gli appelli separatamente proposti dai tre contribuenti, ha rilevato che la natura di impresa commerciale della società contribuente escludeva l’applicabilità al caso di specie del disposto della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, posto che tale previsione, laddove prevede la non tassabilità del provento derivante da indennità di espropriazione, si riferisce unicamente a soggetti che non esercitino attività imprenditoriale. Sotto diverso profilo, la CTR ha rilevato che la questione della sottoponibilità della plusvalenza a tassazione separata non era stata riproposta in appello.

3. Per la cassazione della citata sentenza N.V., in proprio e quale legale rappresentante della So.Co.Be.Ru. Società Commerciale di Beni Rustici di V.N. & C. s.n.c. e B.L. hanno proposto ricorso affidato a due motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

2

4. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (nullità della sentenza o del procedimento). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in correlazione con l’art. 324 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.)” deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata poichè emessa in violazione di precedente giudicato.

b. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.). In via subordinata: eccezione di incostituzionalità della norma denunciata per violazione degli artt. 3,35 e 53 Cost.” deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata, laddove ha escluso che la citata norma di legge si applichi alle imprese commerciali, prospettando in diversa ipotesi l’incostituzionalità di siffatta interpretazione.

2. L’Agenzia delle Entrate assume che i ricorrenti abbiano rinunciato in appello all’eccezione di giudicato, per non averla espressamente riproposta; argomenta l’insussistenza del giudicato, stante l’oggettiva diversità dei giudizi; svolge nel merito argomentazioni a suffragio della ritenuta correttezza della sentenza impugnata, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

3. Il ricorso va respinto.

4. Il primo motivo è infondato. Nella memoria difensiva, depositata ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., i ricorrenti, replicando alle argomentazioni svolte sul punto nel controricorso dell’Agenzia delle Entrate, danno espressamente atto di non aver riproposto l’eccezione di giudicato nelle conclusioni degli atti di appello, essendosi limitatati a farne cenno nella parte espositiva. In siffatta contingenza, la Corte osserva che, allorquando con la sentenza di primo grado venga respinta (espressamente o per implicito) un’eccezione di giudicato esterno e avverso tale capo non venga proposta espressamente impugnazione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in applicazione dei principi sui limiti devolutivi dell’appello e sul giudicato interno, l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione, quand’anche fosse da ritenersi rilevabile d’ufficio, è definitivamente preclusa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 750 del 24/01/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 10330 del 01/07/2003).

5. Il secondo motivo è infondato, poichè questa Corte ha in via generale affermato che il presupposto impositivo del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, si rinviene a livello oggettivo nella mera percezione della somma, che realizza una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi (Sez. 5, Sentenza n. 1429 del 22/01/2013), alla condizione che il terreno espropriato ricada nelle zone omogenee citate dal medesimo articolo (a prescindere dalla destinazione urbanistica: Sez. 5 -, Ordinanza n. 9228 del 03/04/2019).

Quanto al profilo soggettivo, questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 9110 del 19/04/2006, in motivazione) ha condivisibilmente affermato che l’art. 11, comma 5 individua i soggetti passivi dell’imposta sulle plusvalenze (considerate “redditi diversi”) solo nei “soggetti che non esercitano imprese commerciali”.

Se, infatti, il percettore è un’impresa commerciale, trova applicazione la disciplina originariamente prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 20, comma 5, in tema di determinazione del reddito delle persone giuridiche, per la quale “le plusvalenze patrimoniali concorrono a formare il reddito imponibile soltanto se sono state realizzate mediante operazioni speculative ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, o mediante cessione di beni destinati o comunque relativi alle attività commerciali esercitate” delle cui “sopravvenienze attive si tiene conto soltanto se inerenti a tali attività”. Disciplina che è poi confluita nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Titolo II, nella disciplina dell’Irpeg e, infine, in quella attuale dell’Ires a far data dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 344 del 2003.

Tale ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie consente, in primo luogo, di condividere l’opzione ermeneutica espressa dalla CTR, seppur in maniera assai sintetica.

Dall’altro deve valutarsi manifestamente infondata la prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 11, comma 5, in esame, stante l’evidente razionalità legislativa concretizzatasi nella distinzione normativa tra soggetti imprenditori e non imprenditori che emerge dall’appena effettuata ricostruzione dell’inquadramento normativo generale sulla questione.

6. La soccombenza regola le spese.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del grado, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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