Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24314 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18645/2013 R.G. proposto da:

INERTI APRICENA S.R.L., (C.F. e P.I. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal Prof.

Avv. Basilavecchia Massimo, con domicilio eletto in Roma, via F.

Paulucci dè Calboli, n. 9, presso lo studio del Prof. Avv. Sandulli

Piero;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/26/13 della Commissione tributaria

regionale della Puglia – Sezione distaccata di Foggia depositata il

4 febbraio 2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 15 luglio 2020

dal Consigliere Dott.ssa Mancini Laura.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con provvedimento notificato in data 8 agosto 2007 la Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate dichiarò l’improcedibilità dell’istanza di interpello disapplicativo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8, avanzata dalla società Inerti Apricena s.r.l., contestando l’assenza di documentazione comprovante l’impossibilità, dedotta dall’istante, di conseguire ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nelle misure minime indicate nella L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30.

Sulla base di tale atto, l’Ufficio di San Severo dell’Agenzia delle Entrate, dopo aver determinato il reddito di impresa ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, notificò alla predetta società avviso di accertamento e di irrogazione di sanzioni n. (OMISSIS) riguardante l’IRES e l’IRAP per l’anno di imposta 2006.

1.1. Avverso l’atto di accertamento la contribuente propose impugnazione davanti alla Commissione tributaria provinciale di Foggia con ricorso del 14 gennaio 2010, nel quale contestò l’operata inclusione della Inerti Apricena s.r.l. tra le “società di comodo” evidenziando che tale società era stata costituita il 22 dicembre 2003 con lo scopo di realizzare e gestire un impianto di frantumazione di inerti; che a tal fine aveva acquistato un’area per realizzarvi il proprio impianto produttivo e avanzato richiesta di autorizzazione per la costruzione dello stabilimento industriale; che soltanto nel 2009, a seguito di una nuova convenzione stipulata con la società Metso Minerals s.p.a, fornitrice dei macchinari necessari allo svolgimento dell’attività produttiva, l’impianto di frantumazione era potuto entrare pienamente in funzione; che, di conseguenza, nella fase di start-up non era stato possibile conseguire ricavi in quanto sino a quel momento le immobilizzazioni non avevano potuto essere utilizzate.

La Commissione tributaria provinciale di Foggia con sentenza n. 180 del 27 settembre 2010 accolse il ricorso compensando le spese di lite. Avverso tale pronuncia propose appello l’Agenzia delle Entrate, denunciandone la contraddittorietà e il contrasto con la normativa antielusiva dettata dalla L. n. 724 del 1994.

Con la sentenza n. 15/26/13 del 14 gennaio 2013, depositata il 4 febbraio 2013, la Commissione tributaria regionale della Puglia – Sezione distaccata di Foggia, in riforma della decisione di primo grado, accolse l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria compensando le spese di lite.

Contro tale pronuncia propone ricorso la società Inerti Apricena s.r.l. affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la decisione gravata affetta da nullità per assoluta contraddittorietà e illogicità della motivazione.

Lamenta, in particolare, la ricorrente che la sentenza d’appello, affermando dapprima che “(…) nella fattispecie in esame non può porsi in dubbio, così come si evince dalla documentazione prodotta in sede contenziosa, che la società Inerti Apricena s.r.l. non era una società tale da poterla annoverare tra le c.d. “società di comodo” altrettanto, non può rilevarsi che la stessa, con l’istanza presentata presso la Direzione Regionale della Puglia il 22/03/2007 ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8, di fatto, aveva voluto essere considerata come una “società non operativa” impossibilitata a conseguire ricavi”, per poi escludere l’idoneità della prova documentale offerta dalla stessa società a vincere la presunzione legale di non operatività sancita dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, non permette, per la sua intrinseca contraddittorietà, di comprendere quali elementi di fatto siano stati posti a fondamento della decisione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurandosi la pronuncia impugnata per non aver considerato che nessuna delle allegazioni di parte ricorrente ha formato oggetto di contestazione specifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, nè nel giudizio di primo grado, nè in quello di appello.

2.2. Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- si deduce la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 e successive modifiche e integrazioni e, in particolare, del comma 4-bis nel testo vigente ratione temporis nel periodo di imposta 2006.

La ricorrente lamenta, in primo luogo, che il giudice d’appello ha erroneamente attribuito alla propria richiesta di interpello disapplicativo valenza confessoria, intravedendovi un’ammissione tacita sulla condizione di società “non operativa”, laddove, invece, all’esercizio prudenziale di tale prerogativa non può correlarsi una tacita rinuncia a far valere una delle cause di esclusione del regime antielusivo, nè la devoluzione all’Amministrazione finanziaria di un potere esclusivo di “dispensa” dal regime legale.

Si evidenzia, altresì, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, la situazione di ritardo nell’avvio dell’attività produttiva in cui è venuta incolpevolmente a trovarsi la contribuente integra una causa di esclusione dell’applicazione della normativa sulle “società di comodo”, alla quale deve essere estesa, in ragione dell’identità di ratio, la previsione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 2, dovendo la presunzione assoluta ivi stabilita con riferimento al periodo di imposta di inizio dell’attività essere estesa anche agli anni successivi nei quali la produzione non possa ancora avviarsi.

Assume la società Inerti Apricena s.r.l. che, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle finanze, il ritardo nella produzione dei ricavi derivante dal fatto che l’impianto indispensabile alla produzione sia entrato in funzione in tempi più lunghi di quanto fosse prevedibile, al quale corrisponda una situazione patrimoniale della società che evidenzi nel periodo di imposta interessato la presenza di immobilizzazioni in corso, giustifica la sottrazione della società stessa dall’applicazione della normativa antielusiva e la dispensa dall’onere di avanzare istanza di disapplicazione.

Inoltre, soggiunge la ricorrente, la formulazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, non consente di ritenere che nella valutazione delle condizioni per l’applicazione della disciplina sulle “società di comodo” assuma rilevanza il profilo della colpevolezza nel ritardo o dell’imputabilità della situazione di stasi dell’attività produttiva alle scelte imprenditoriali, non potendo trarsi dall’inadeguata valutazione tecnica dell’imprenditore un indice di maggiore capacità contributiva, salvo che risulti che questi abbia tratto strumentalmente vantaggio dalla situazione di stallo dell’attività economica.

2.3. Con il quarto motivo, formulato in via subordinata, si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “costituito dall’assenza di partecipazioni detenute e dalla irrilevanza del terreno in quanto utilizzato per immobilizzazione in corso”.

Si lamenta, in particolare, che il giudice d’appello ha omesso di esaminare i rilievi critici, svolti dalla contribuente sin dal giudizio di primo grado, in merito al test di operatività di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, nel quale tra le immobilizzazioni suscettibili di produrre ricavi risulta inserito anche il suolo industriale – senza considerare che negli anni 2006 e 2007 il complesso industriale era in fase di start-up e che nessuna immobilizzazione poteva entrare in funzione -, mentre i “Depositi cauzionali su contratti” sono stati considerati alla stregua di “partecipazioni”.

2.4. Con il quinto motivo, anch’esso subordinato, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – per avere la Commissione tributaria regionale “considerato impropriamente, quale base di calcolo, depositi cauzionali e terreni in corso di utilizzo per immobilizzazioni realizzande”.

3. Il primo motivo è infondato.

Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis al presente giudizio) – il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza può operare solo entro il “minimo costituzionale” (Cass. SU, 7/4/2014, n. 8053, nonchè, tra le altre, Cass. Sez. 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass. Sez. 3, 5/7/2017, n. 16502), investendo esclusivamente le ipotesi di motivazione “meramente apparente”, configurabili, oltre che nel caso di “carenza grafica” della motivazione, quando questa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. SU, 3/11/2016, n. 22232), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (Cass. Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (Cass. Sez. L, ord. 25/6/2018, n. 16611), mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. 2, ord. 13/8/2018, n. 20721).

Nessuna delle suddette ipotesi è ravvisabile nel caso di specie.

In particolare, non integra un’irriducibile contraddizione dell’iter motivazionale della sentenza gravata l’incoerenza argomentativa rilevata dalla ricorrente tra l’affermazione secondo la quale “(…) nella fattispecie in esame se da un lato non può porsi in dubbio, così come si evince dalla documentazione prodotta in sede contenziosa, che la società Inerti Apricena s.r.l. non era una società tale da poterla annoverare tra le c.d. “società di comodo” altrettanto, non può rilevarsi che la stessa, con l’istanza presentata presso la Direzione Regionale della Puglia il 22/03/2007 ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8, di fatto, aveva voluto essere considerata come “una società non operativa” impossibilitata a conseguire ricavi” e la considerazione per la quale “non può ritenersi sufficiente, così come sostanzialmente ritenuto dal primo giudice, la semplice produzione della dichiarazione rilasciata dalla società “Metso Minerals” spa come elemento idoneo a giustificare la impossibilità di conseguire ricavi”.

Invero, depurando il primo dei suddetti snodi argomentativi da un palese refuso (rilevabile nel terzo capoverso della pagina 5 della sentenza, in cui, per evidente errore materiale, risulta omesso il secondo avverbio di negazione di una locuzione di doppia negazione (“non può (non) rilevarsi”)), l’esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, considerata nel suo complesso, ossia nella totalità delle sue componenti testuali, risulta idonea a rendere conoscibile il percorso logico-giuridico seguito dalla Commissione tributaria regionale.

Invero, come più volte precisato da questa Corte, perchè la motivazione di una sentenza possa definirsi contraddittoria, non è sufficiente che un’espressione in essa contenuta si ponga in contrasto con un’altra, essendo, altresì, indispensabile che l’incoerenza tra le argomentazioni sia tale da non permettere di comprenderne la ratio decidendi. Non sussiste, pertanto, motivazione contraddittoria allorchè dalla lettura della sentenza sia agevole accertare che si versa in un’ipotesi di errore materiale nella redazione della sentenza stessa e che, dunque, non sussistono incertezze di sorta sulla volontà del giudice (Cass. Sez. 3, 6/4/2006, n. 8106; Cass. SU, 22/12/2010, n. 25984; Cass. Sez. 1, 18/2/2015, n. 3270).

In definitiva, una considerazione complessiva del tessuto motivazionale della pronuncia gravata consente di enucleare una duplice ratio decidendi identificabile nella valenza ammissiva dell’esperimento, da parte della società ricorrente, dell’interpello disapplicativo e nell’inidoneità dell’impedimento dalla stessa addotto a superare la presunzione legale di non operatività stabilita dalla L. n. 724 del 1994, art. 30.

4. Anche il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

Occorre muovere dalla constatazione che, come più volte affermato da questa Corte, il principio di non contestazione trova applicazione anche nel processo tributario ma, attesa (“indisponibilità” dei diritti che ne formano oggetto, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato e il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte in giudizio, può escluderne l’operatività (Cass. Sez. 5, 18/5/2018, n. 12287; Cass. Sez. 6-5, ord. 26/1/2016, n. 1384; Cass. Sez. 5, 20/11/2014, n. 2196; Cass. Sez. 6-2, 7/7/2016, n. 13834). Tale valutazione deve ritenersi senz’altro giustificata nell’ipotesi in cui – come nel caso di specie, in cui la mancata contestazione riguarda circostanze inerenti all’attività preparatoria e all’iter amministrativo preliminare all’avvio della produzione industriale della società ricorrente – i fatti allegati dal contribuente non siano direttamente riferibili all’Amministrazione finanziaria o, comunque, possa presumersene l’estraneità rispetto alla sua sfera di conoscenza o di concreta conoscibilità, non essendo configurabile in capo alla stessa un onere di informazione e di ricerca (v., in generale, Cass. Sez. L., ord. 4/1/2019, n. 87; Cass. Sez. 3, 18/7/2016, n. 14652; Cass. Sez. 3, 6/3/2014, n. 5242, non massimata; Cass. Sez. 3, 13/2/2013, n. 3576 e, per una specifica applicazione al processo tributario, Cass., Sez. 5, 18/5/2018, n. 12287, cit.).

5. Il terzo motivo è, invece, fondato.

Deve, innanzitutto, precisarsi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione tributaria regionale della Puglia Sezione distaccata di Foggia, all’istanza di interpello ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8, (abrogato dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, ma applicabile ratione temporis al caso di specie), con la quale il contribuente richieda la disapplicazione della normativa antielusiva di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, non può essere attribuita portata confessoria, ostando a tale inquadramento, oltre all’inconfigurabilità di una confessione implicitamente desumibile da un comportamento concludente, la funzione (anche) conoscitiva dell’interpello disapplicativo. Tale prerogativa, costituendo estrinsecazione di una facoltà diretta ad ottenere, attraverso l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, una certezza nell’ambito del rapporto tributario (Cass. Sez. 6-5, 15/7/2014, n. 16183, non massimata), non può sottendere una tacita ammissione del contribuente circa la ricorrenza dei presupposti di l’applicazione della disciplina penalizzante dettata dalla L. n. 724 del 1994, nè, a fortiori, può esprimere, come pure affermato dalla Commissione tributaria regionale pugliese, la volontà dell’ente societario istante di essere annoverato tra le società “non operative”.

5.1. Deve trovare accoglimento anche la censura con la quale la società Inerti Apricena s.r.l. denuncia la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, con specifico riferimento.

Il passaggio argomentativo della pronuncia gravata in cui viene evidenziata l’inidoneità della documentazione prodotta dalla società ricorrente a dimostrare che la perdita dalla stessa dichiarata fosse dovuta all’impossibilità di conseguire ricavi, muove dalla premessa per la quale la L. n. 724 del 1994, art. 30, nella formulazione, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla L. 22 maggio 1995, n. 85 e poi dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, prevedesse presupposti “stringenti e ulteriori misure per limitare la costituzione delle società di comodo” (pagina 5 della sentenza) e che, pertanto, per potersi ritenere superata la presunzione di inoperatività, dovesse ricorrere una situazione di carattere straordinario.

La portata rigida e assoluta attribuita dal giudice d’appello al requisito dell’impedimento oggettivo legittimante la disapplicazione del regime antielusivo risulta, tuttavia, dissonante rispetto alle indicazioni ermeneutiche ritraibili dalle più recenti pronunce di legittimità, dalle quali emerge che la nozione di impossibilità di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, nella versione nella specie applicabile ratione temporis, del conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonchè del reddito determinati ai sensi dello stesso articolo, deve essere intesa “non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato” (così Cass. Sez. 6-5, ord. 12/2/2019, n. 4019, ma v., in senso conforme, Cass. Sez. 5, ord. 28 maggio 2020, n. 10158; Cass. Sez. 5, ord. 4/12/2019, n. 31626; Cass. Sez. 5, 1/2/2019, n. 3063; Cass. Sez. 5, 28/2/2017, n. 5080; Cass. sez. 5, 20/6/2018, n. 16204).

In linea con tale approccio ermeneutico, alla nozione di impossibilità di produrre reddito nella misura minima legale, giustificativa della disapplicazione del regime penalizzante, deve essere attribuito un significato coerente con la ratio antielusiva che informa l’intera disciplina sulle società “non opertive”.

Infatti, come più volte precisato da questa Corte, l’art. 30, comma 4-bis, cit. mira a disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto allaònormale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass. Sez. 5, 13/05/2015, n. 21358; Cass. Sez. 6-5, ord. 28/9/2017, n. 26728).

La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standards minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (v., ex multis, Cass. Sez. 5, 24/2/2020, n. 4850, non massimata).

La presunzione legale relativa di inoperatività si fonda sull’id quod plerumque accidit in quanto, secondo una massima di esperienza, non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione).

Il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.

In coerenza con tale direttrice, lo statuto fiscale dell’impresa si giustifica proprio in ragione dell’impiego in un’attività imprenditoriale dei beni ai quali è rivolto, beni che, se non fossero detenuti da una società, sarebbero considerati produttivi di redditi fondiari.

La potenzialità imprenditoriale, comprovati dallo svolgimento o, quanto meno, dalla programmazione di un’attività commerciale finalizzata alla realizzazione di ricchezza, rappresenta, infatti, l’elemento che condiziona la disciplina fiscale delle singole componenti reddituali e patrimoniali dell’impresa, di guisa che la produttività – sia pure soltanto programmata ovvero in atto, ma con risultati reddituali inferiori agli standards legali – degli assets patrimoniali detenuti dalla società costituisce condizione necessaria – ancorchè non sufficiente (Cass. Sez. 5, ord. R. 31626 del 2019, cit.) – per ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva sulle società “di comodo”.

5.2. Ritiene il Collegio che, in conformità all’indicata ratio giustificatrice del regime antielusivo, le “situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito” ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, non debbano essere individuate alla stregua di un criterio rigido e stringente, dovendo, piuttosto, ritenersi idoneo a vincere la presunzione legale di non operatività ogni specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che abbia impedito di conseguire ricavi nella misura minima legale dal concreto svolgimento dell’attività di impresa.

In questa prospettiva anche il ritardo nell’avvio della produzione provocato dal protrarsi della fase preparatoria – nella quale si inserisce anche la realizzazione dell’impianto industriale strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa – può assumere rilevanza quale causa di esclusione della presunzione di non operatività stabilita dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, cit., purchè risulti quanto meno la programmazione di un’attività commerciale e il contribuente non si limiti a dedurre il ritardo nell’avvio dell’attività produttiva, ma dimostri che lo stesso non sia dipeso da un proprio comportamento, ma da ragioni estranee alla propria volontà (Cass. Sez. 5, ord. 30/12/2019, n. 34642, in motivazione).

5.3. E’ appena il caso di evidenziare che la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, nella versione anteriore a quella, nella specie applicabile ratione temporis, introdotta dal D.L. 223 del 2006, art. 35, comma 15, escludeva dall’ambito l’operatività della disciplina antielusiva “i soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività”. Come precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria nel paragrafo 4.2. della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 2 febbraio del 2007, relativa alle “Istanze per la disapplicazione della disciplina sulle società non operative (L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-bis)” – nel quale vengono richiamate le indicazioni interpretative già espresse nella circolare del 26 febbraio 1997 n. 48 del Ministero delle Finanze -, l’eliminazione di tale situazione dal novero delle cause di esclusione ope legis non toglie che alla stessa possa attribuirsi rilevanza come oggettiva situazione di cui alla L. n. 724 del 1994, comma 4-bis della della cui prova è onerato il contribuente. L’Amministrazione finanziaria può, infatti, disapplicare la disciplina in esame anche nei periodi successivi al primo nel caso in cui il soggetto non abbia ancora avviato l’attività prevista dall’oggetto sociale, perchè, ad esempio, la costruzione dell’impianto da utilizzare per lo svolgimento dell’attività si è protratta, per cause non dipendenti dalla volontà dell’imprenditore, oltre il primo periodo di imposta oppure non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative, pur essendo state tempestivamente richieste.

Tale ricostruzione è stata condivisa da questa Corte, la quale ha rimarcato che il fatto che il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 15, abbia eliminato tale ipotesi dal novero delle cause di esclusione del regime delle società “non operative”, non esclude che la stessa circostanza possa rilevare, sempre che sia debitamente provata e giustificata, come una delle possibili “oggettive situazioni” di cui al citato art. 30, comma 4-bis, di guisa che “il fatto che l’attività economica non sia stata posta in essere in quanto la realizzazione dell’immobile da utilizzare per lo svolgimento dell’attività si è protratta per un certo tempo ovvero che vi sia stato un ritardo nel rilascio delle necessarie autorizzazioni, possono assumere rilevanza, al fine del superamento della presunzione relativa” (Cass. Sez. 5, ord. 30/12/2019, n. 34642, in motivazione).

Una conferma dell’ampiezza semantica della nozione di impossibilità di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30 può, infine, trarsi, in una prospettiva ermeneutica evolutiva, dagli interventi modificativi che hanno interessato tale disposizione successivamente al periodo di imposta rilevante nel caso di specie, in forza dei quali, per un verso, è stato esteso l’oggetto della prova diretta a vincere la presunzione legale di non operatività (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, ha, infatti, soppresso, nella prima parte dell’art. 30, comma 1, il riferimento alla prova contraria ed ha eliminato nel comma 4-bis il riferimento al “carattere straordinario” delle “oggettive situazioni” che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli ulteriori indicatori previsti dalla norma) e, per altro verso, è stato ampliato lo spettro delle ipotesi di esclusione automatica ope legis del regime antielusivo (v., in particolare, le integrazioni introdotte dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, nell’art. 30, comma 1).

5.4. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, alla stregua delle considerazioni che precedono, in relazione al terzo motivo, restando assorbiti il quarto ed il quinto, formulati in via subordinata, e la causa rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria della Puglia – sezione staccata di Foggia, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto:

a) “L’istanza di interpello D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37-bis, comma 8, (nella specie applicabile ratione temporis), con la quale il contribuente richieda la disapplicazione della disciplina sulle società “di comodo” L. n. 724 del 1994, ex art. 30, costituendo estrinsecazione di una facoltà diretta a conseguire, attraverso l’accertamento preventivo dell’Amministrazione finanziaria, la conoscenza in ordine alla produzione, o meno, degli effetti penalizzanti delle norme antielusive, non implica una tacita ammissione circa la ricorrenza dei relativi presupposti applicativi”. b) “In tema di società “di comodo”, l’impossibilità per l’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario, deve essere intesa non in termini assoluti, bensì elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta”.

La Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione distaccata di Foggia, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso, accoglie il terzo e dichiara assorbiti il quarto e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, Sezione distaccata di Foggia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del i giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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