Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24311 del 28/10/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24311 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 18553-2012 proposto da:
SCOPECE FRANCESCO PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
VALSAVARANCHE 2, presso lo studio dell’avvocato SIMONA NAPOLITANO,
rappresentato e difeso dall’avvocato COLUCCI MICHELE, giusta mandato a margine
del ricorso;
– ricorrente contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI
INFORTUNI SUL LAVORO 01165400589 in persona del Dirigente con incarico di
livello generale – Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentato e difeso dagli avvocati
ROMEO LUCIANA e PUGLISI LUCIA, giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 28/10/2013

avverso la sentenza n. 5506/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI del 29.9.2011,
depositata il 14/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/10/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Michele Colucci che insiste per raccoglimento del
ricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO ROMANO che si
riporta alla relazione scritta.

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto.
«Il consigliere relatore osserva quanto segue.
La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 5506 del 2009, rigettava
l’impugnazione proposta da Scopece Francesco Paolo nei confronti dell’INAIL
avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 1° giugno 2005 che aveva rigettato
la domanda volta ad ottenere la rendita per le seguenti malattie professionali:
ipoacusia bilaterale e broncopatia, conseguenti, la prima all’esposizione a rumore,
e la seconda all’esposizione al cloro.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre lo Scopece prospettando un
motivo di impugnazione.
Resiste l’INAIL con controricorso.
Con l’unico motivo di ricorso è dedotta erronea fuorviante ed omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5,
cpc., segnatamente sui chiarimenti resi con riguardo alla CTU dal dott. Rotolo.
Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe omesso illogicamente
e senza sufficiente vaglio del materiale probatorio di esaminare le conclusioni rese
nella relazione integrativa del CTU in data 13 maggio 2005.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Occorre premettere che qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle
conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinché i lamentati
errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è
necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni
illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai
quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo
sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del
consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori
di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso
diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile
richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (Cass., n. 7341 del
2004). Tali circostanze non sussistono nel caso di specie.
Dalla sentenza si rileva con chiarezza, facendosi più volte riferimento alla
stessa, che la relazione integrativa è stata presa in esame dalla Corte d’Appello,
che con congrua motivazione dava atto della decisione assunta. Con la dedotta
censura, quindi, atteso che la sentenza è congruamente motivata attraverso una
propria valutazione delle risultanze della CTU di cui si dà atto attraverso un
articolato percorso argomentativo, si chiede una diversa lettura delle emergenze
istruttorie.
Un siffatto riesame non è tuttavia consentito in questa sede di legittimità, posto
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, la deduzione di
un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce
al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte
dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti
del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti; con
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Il Presidente

la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,
insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente
solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle
parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr, ex plurimis, Cass., SU,
mi. 5802 del 1998 e 13045 del 1997, Cass. n. 824 del 2011).
Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai
fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, che tiene delle
risultanze istruttorie acquisite, il che esclude la fondatezza della doglianza svolta sotto
il profilo del preteso vizio di motivazione».
Il Collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e le conclusioni che
precedono.
Pertanto la Corte rigetta il ricorso.
Nulla spese in ragione dell’art. 152 disp. att. cpc, nel testo anteriore alla novella
dell’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003,
applicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013

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