Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24309 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. I, 09/09/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 09/09/2021), n.24309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16621/2019 proposto da:

E.A.P., elettivamente domiciliato in San Benedetto del

Tronto, piazza Pericle Fazzini, 8, presso lo studio dell’avv.

Cristina Perozzi, che lo rappresenta e difende in virtù procura

speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2750/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 30 novembre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da E.A.P., cittadino della Costa D’Avorio richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il ricorrente aveva riferito che in Costa d’Avorio svolgeva le mansioni di autista di camion e che era stato costretto a lasciare definitivamente il proprio Paese (dal quale era già andato via, per lavorare in Libia, dal 2010 al 2012) nel 2014, perché la polizia lo aveva fermato mentre era alla guida del proprio automezzo il giorno in cui aveva dato un passaggio a uno sconosciuto, aveva ispezionato il veicolo e aveva trovato della droga nello zaino del passeggero; questi si era però allontanato con la scusa di andare in bagno; egli era stato invece fermato per essere condotto al commissariato, era riuscito a fuggire durante il tragitto, ma, tornato a casa, aveva appreso di essere ricercato.

La corte d’appello ha rigettato le domande c.d. di protezione maggiore in quanto ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del migrante, perché frammentarie e contraddittorie, ed escluso, in base alle COI già consultate dal tribunale, che la Costa d’Avorio versi attualmente in una situazione di conflitto armato generalizzato. Il giudice ha in particolare evidenziato che A. non aveva spiegato perché aveva scelto di fuggire nonostante la droga fosse stata trovata nel bagaglio del passeggero, non aveva saputo chiarire come avesse fatto quest’ultimo ad allontanarsi senza più tornare e non era riuscito a descrivere la dinamica della propria fuga. Ha infine rilevato che l’appellante non aveva allegato specifici profili di sua vulnerabilità che potessero giustificare il rilascio in suo favore di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La sentenza è stata impugnata da E.A.P. con ricorso per cassazione che si afferma affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso denuncia in premessa, testualmente:

1) “violazione art. 112 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4. Difetto di motivazione. Il ricorrente lamenta la mancata traduzione della decisione della Commissione territoriale e della sentenza di appello incomprensibile all’odierno ricorrente e dovuta per legge”.

2) “Violazione art. 112, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11-17, art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3. Difetto di motivazione. In relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria”.

3) “Violazione art. 353 c.p.c., art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11-17. Violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria”

e di seguito precisa (sempre testualmente).

Con il primo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 19, comma 1 e del principio di non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto ad un processo giusto ed effettivo”.

Con il secondo motivo si fa valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia ed ex art. 360, n. 5, per omessa od insufficiente motivazione, attesa la natura meramente apparente e tautologica di quella versata nel provvedimento impugnato.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione lamentando che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto insussistenti le condizioni per la concessione del permesso umanitario.

Fatto sta che, alla già confusa enunciazione delle apparentemente distinte ragioni di impugnazione, non corrisponde nel corpo dell’atto alcuna suddivisione in capitoli o paragrafi riferibili all’una o all’altra censura.

Il ricorso, peraltro, non si preoccupa di illustrare (quantomeno con un accenno) i vizi processuali (omessa traduzione, omessa pronuncia) enunciati in rubrica, non chiarisce in qual modo la corte d’appello abbia falsamente applicato le norme di legge che, sempre in rubrica, si assumono violate e, in definitiva, si risolve nella prospettazione di due sole, effettive critiche alla pronuncia impugnata, entrambe riconducibili in via esclusiva al vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: quanto al rigetto della domanda di protezione sussidiaria, la ricostruzione della corte d’appello non sarebbe corrispondente al vero perché, come riconosciuto da vari tribunali italiani e dalle più disparate organizzazioni umanitarie presenti sul territorio, la situazione della Costa d’Avorio, in specie quella della regione di provenienza del ricorrente, è contraddistinta da un elevatissimo livello di criminalità, costituente rischio concreto di gravi atti di terrorismo, di violenze generalizzate e di sommosse; quanto al rigetto della domanda di protezione umanitaria, i giudici, inspiegabilmente, non avrebbero ravvisato alcuna condizione di estrema vulnerabilità di A. in caso di rimpatrio e non avrebbero tenuto conto del suo documentato percorso di integrazione sociale in Italia.

Ciò premesso, la formulazione meramente assertiva delle due sole censure enucleabili dalla lettura complessiva del ricorso rende di per sé palese la loro inammissibilità.

Può aggiungersi che il ricorrente non ha neppure contrastato l’accertamento di inattendibilità delle sue dichiarazioni e, a sostegno dell’impugnazione (oltre a richiamare una serie di pronunce giurisdizionali di merito, di accoglimento delle domande di suoi concittadini, che, quand’anche riferite a casi analoghi, non potrebbero certo costituire precedenti idonei a far stato nel presente giudizio) si è limitato a dar conto del contenuto di COI concernenti la situazione socio-politica della Costa d’Avorio, senza precisare se le abbia prodotte in sede di appello, se siano più aggiornate di quelle esaminate dal tribunale e dalla corte territoriale e senza spiegare perché dalle stesse dovrebbe evincersi che il Paese versa in una situazione di violenza indiscriminata. Il ricorso, inoltre, difetta totalmente dell’indicazione dei fatti decisivi, allegati e dibattuti in giudizio, di cui il giudice d’appello avrebbe omesso l’esame e, in particolare, per ciò che concerne la documentazione che proverebbe il percorso di integrazione del ricorrente, non ne specifica il contenuto né chiarisce se, e in quale esatta sede processuale, sarebbe stata prodotta.

Nulla per le spese, stante la mancata costituzione del Ministero dell’Interno. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di sua ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661 del 2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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