Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24308 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. I, 09/09/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 09/09/2021), n.24308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16451/2019 proposto da:

D.A.S., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via

R. Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2482/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 14 novembre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da D.A.S., cittadino della Guinea richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato vissuto a (OMISSIS) e di aver lasciato la Guinea, diretto in Mali, perché, dopo aver accompagnato in ospedale un cugino che presentava i sintomi dell’ebola ed essere sfuggito all’obbligo di quarantena, era stato rifiutato da tutti, compresi i più stretti familiari e il padre del cugino malato, a causa dello stigma sociale connesso alla paura del contagio e aveva anche perso il lavoro.

La corte d’appello ha rigettato le domande c.d. di protezione maggiore in quanto ha ritenuto inattendibile la vicenda narrata ed escluso, in base alle COI consultate, che la Guinea versi attualmente in una situazione di conflitto armato generalizzato. Il giudice ha in particolare rilevato: che il racconto era incongruente perché il richiedente, proprio per il fatto di essere sfuggito alla quarantena e non aver completato il periodo di isolamento, non aveva potuto accertare di non essere portatore del virus e si era dunque posto da sé nella condizione di non poter tornare in famiglia o al lavoro senza creare allarme, quale potenziale diffusore del contagio; che, inoltre, era inverosimile che, nel giro di un mese, avesse scelto di sottrarsi all’emarginazione lasciando il proprio Paese, anziché sottoporsi alle analisi che gli avrebbero consentito di escludere di aver contratto la malattia; che comunque la vicenda, quand’anche ritenuta credibile, era estranea ai presupposti per il riconoscimento delle tutele richieste, in quanto non evidenziava atti di persecuzione. La corte del merito ha infine osservato che l’appellante non aveva allegato specifici profili di sua vulnerabilità e che la documentazione da lui prodotta (attestato di frequentazione della scuola media inferiore; contratto di lavoro a tempo determinato, non rinnovato) era insufficiente a ritenere raggiunta la sua integrazione nel nostro Paese, sicché non poteva essergli riconosciuto neppure il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La sentenza è stata impugnata da D.A.S. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e illustrato da memoria.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva, limitandosi a depositare “atto di costituzione” tardivo ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6; in subordine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la sentenza sarebbe solo apparentemente motivata, per aver il giudice omesso di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la vicenda narrata; lamenta inoltre che la sua credibilità non sia stata vagliata alla luce di informazioni aggiornate sull’attuale situazione socio-politica-economica della Guinea, tenuto anche conto che egli è di etnia fular e di religione musulmana; rileva, ancora, con particolare riguardo alla domanda di protezione umanitaria, che la corte del merito non ha valutato unitariamente tutti gli elementi di vulnerabilità oggettiva e soggettiva allegati, fra cui la sua permanenza in Libia per oltre un anno e mezzo, né ha compiuto il dovuto giudizio di comparazione.

Col secondo motivo, deducendo la violazione di molteplici norme, D. lamenta che la corte del merito sia venuta meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria, non disponendo la sua audizione e non verificando la sua credibilità alla luce di informazioni precise e dettagliate sul suo Paese di origine.

Con il terzo eccepisce l’omesso esame rigoroso ed effettivo della domanda, in violazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.

Con il quarto torna a lamentare che il giudice non abbia tenuto conto del suo lungo percorso migratorio e del suo radicamento in Libia.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

Va in primo luogo rilevato che il ricorso non investe specificamente la pronuncia di rigetto della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c).

Non risulta, inoltre, contrastata l’autonoma ratio decidendi (mancata allegazione di una situazione persecutoria riconducibile ai presupposti per il riconoscimento dello status o della protezione sussidiaria) sulla quale si fonda la statuizione di rigetto delle altre domande di protezione c.d. maggiore, sicché, con riguardo a tali domande, il ricorrente difetta di interesse a veder esaminare le censure concernenti la prima ratio (inverosimiglianza della vicenda narrata), la cui eventuale fondatezza non potrebbe condurre, in parte qua, all’annullamento della sentenza, che resterebbe sorretta dalla ragione non impugnata (fra molte, Cass. nn. 17182/2020, 13880/2020, 10815/2019).

Le censure dedotte nei motivi vanno dunque esaminate con esclusivo riferimento all’impugnazione del capo della pronuncia che ha respinto anche la domanda di protezione umanitaria.

Ciò precisato, va senz’altro esclusa la ricorrenza del denunciato vizio di motivazione apparente, avendo la corte del merito ampiamente esposto le ragioni di fatto sulle quali ha fondato il proprio convincimento in ordine sia all’inattendibilità del ricorrente (incongruenza e inverosimiglianza delle scelte compiute per sottrarsi alla condizione di emarginazione) sia all’assenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria (omessa allegazione di profili di vulnerabilità diversi da quelli ritenuti non credibili; non adeguata integrazione in Italia).

E’ appena il caso di aggiungere che l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nei ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed osta al compimento degli approfondimenti istruttori officiosi cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria (Cass., Sez. 1, n. 33858 del 2020, Rv. 660736).

Infine, dalla lettura della sentenza non emerge che D. abbia allegato a sostegno della domanda di protezione umanitaria fatti ulteriori rispetto a quelli esaminati dalla corte territoriale (quali la sua appartenenza all’etnia (OMISSIS), la sua fede musulmana e il suo radicamento in Libia): sotto il profilo del vizio di motivazione il ricorso, che non riporta le dichiarazioni del ricorrente (richiamate solo in via riassuntiva, senza che sia indicato dove siano rintracciabili in atti), non specifica, secondo quanto richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in qual modo, e in quale esatta sede processuale, i fatti di cui il giudice avrebbe omesso l’esame siano stati dedotti, né ne illustra la decisività ai fini di un diverso esito del giudizio, difetta dunque del requisito dell’autosufficienza.

In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto.

Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di sua ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, poiché la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661 del 2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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