Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24307 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8176-2015 proposto da:

C.C.A. SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO

CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DODARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO SARTORATO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI VENEZIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1338/2014 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 11/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con atto pubblico del 27.01.2006, l’impresa ” C. spa”, operante nel mercato edilizio, acquistava il fabbricato ad uso abitativo sito nel comune di (OMISSIS), dichiarando di impegnarsi al trasferimento dell’immobile nel triennio successivo.

A detta operazione economica l’Agenzia delle Entrate applicava il regime agevolato di cui all’art. 1, comma 1, tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, con l’applicazione dell’imposta nella misura dell’1%.

In data 9 febbraio 2011, l’Agenzia notificava l’avviso con cui intimava il pagamento di ulteriori somme a titolo di imposte di registro, ipotecarie e catastali, per avere la contribuente omesso di trasferire l’immobile entro il triennio dalla data di acquisto.

La società ” C.c.A. s.p.a”. impugnava dinanzi alla CTP di Venezia l’avviso di pagamento, eccependo che, in realtà, sin dalla stipula dell’atto di trasferimento immobiliare non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’aliquota dell’1%, con la conseguente decadenza dal potere accertativo, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, lett. C), avendo l’Agenzia emesso l’avviso successivamente alla scadenza del quinquennio dalla registrazione dell’atto.

La Commissione tributaria provinciale di Venezia respingeva il ricorso con sentenza che veniva appellata dall’ente contribuente.

La CTR del Veneto, nel respingere l’appello di C.A., assumeva che il termine triennale di decadenza decorreva dalla scadenza del triennio per effettuare il trasferimento dell’immobile, cui si era impegnato l’acquirente nell’atto di compravendita.

Avverso la sentenza n. 1338/25/2014, depositata l’11.09.2014, non notificata, proponeva ricorso per cassazione la società C. svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle Entrate replicava con controricorso.

Diritto

RAGIONI DI DIRITTO

2. Con il primo articolato motivo, si denuncia 1) l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione, costituito dall’esenzione dall’Iva della compravendita immobiliare, presupposto imprescindibile per applicare l’imposta di registro ridotta, ex art. 360 c.p.c., n. 5); 2) la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma 1, tariffa allegata e del medesimo D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, lett. C), sulla decadenza dell’azione di recupero di eventuali imposte suppletive; 3) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa declaratoria d inapplicabilità del regime agevolato e di decadenza dell’azione di recupero delle imposte suppletive. In particolare, assume la contribuente che la cessione immobiliare per cui è causa si collocava al di fuori dell’ambito applicativo dell’Iva e, quindi, estranea al regime eccezionale di esenzione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 10, – in quanto il fabbricato era stato alienato da privati, con la conseguenza che difettava il presupposto soggettivo dell’esercizio dell’impresa da parte di chi ha posto in essere l’operazione; con l’ulteriore conseguenza che, trattandosi di operazione “fuori campo Iva” e non di operazioni esenti Iva”, essa doveva scontare sin dall’origine l’imposta di registro in misura proporzionale.

Di conseguenza l’applicazione del regime agevolato era derivato non dalla dichiarazione dell’acquirente di voler alienare l’immobile nel triennio successivo, pur compresa nell’atto di trasferimento immobiliare, bensì da un errore dell’Agenzia; nel qual caso, l’ente finanziario, avendo intimato il pagamento di imposte suppletive, doveva ossequiare il termine di decadenza triennale di cui al citato art. 76, decorrente dalla registrazione dell’atto.

3. Con il secondo motivo, che prospetta violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame del quarto motivo di appello, concernente la responsabilità dell’ufficio per violazione della normativa in tema di registrazione di atti ex art. 360 c.p.c., n. 4), e per violazione del D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 bis, in ordine alle procedure di controllo delle autoliquidazioni delle imposte ex art. 360 c.p.c., n. 3, la contribuente lamenta che i giudici regionali hanno ritenuto assorbito dal rigetto delle censure lo specifico motivo del gravame riguardante la responsabilità dell’Agenzia che le imponeva di notificare entro trenta giorni dalla presentazione. del MU informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata.

4. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame della primà doglianza di appello relativa alla nozione di abuso del diritto con riferimento alla dichiarazione resa dalla società nell’atto pubblico, fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4) e 5).

Assume la ricorrente che non esiste nell’ambito dell’imposta di registro una generale norma antielusiva e che l’abuso del diritto richiamato dalla CTP è concetto che trova applicazione solo per le imposte dirette e precisamente in materia di imposizione dei redditi.

5. La prima censura è destituita di fondamento.

5.1 In fatto si è verificato che, in sede di registrazione di un atto di trasferimento della proprietà di un bene immobile e, dunque, a titolo di imposta principale di registro, è stata determinata, e pagata una somma nella misura, ridotta rispetto a quella ordinaria, perchè la contribuente ha richiesto l’applicazione dell’aliquota dell’1% a titolo di imposta di registro, dichiarando di esercitare attività principale di rivendita di beni immobili, impegnandosi a trasferire la proprietà delle unità immobiliari acquisite con detto atto entro tre anni.

Trascorsi oltre cinque anni dal rogito, l’Ufficio ha revocato il beneficio, in quanto alla scadenza del triennio, la società non aveva provveduto al trasferimento del cespite, reclamando il pagamento della somma necessaria ad integrare quella pagata a titolo di imposta principale.

Secondo la tesi della contribuente, difettavano, invece, ab origine, i presupposti per godere dell’agevolazione, in assenza del primo dei requisiti imposti dal legislatore, vale a dire la natura di soggetto passivo di imposta (presupposto soggettivo), atteso che il fabbricato era stato alienato da soggetti privati; con la conseguenza che l’ufficio non avrebbe dovuto attendere la scadenza del triennio per accertare il verificarsi della condizione, ma avrebbe dovuto disconoscere l’agevolazione per assenza dei presupposti, inferibile dalla mera lettura del rogito.

5.2 In relazione a tali fatti la questione di diritto che è sottoposta all’esame della Corte riguarda la determinazione della data iniziale e della durata del periodo, decadenziale o prescrizionale, di cui l’ufficio disponeva per l’accertamento, ma soprattutto la natura complementare o suppletiva dell’imposta ingiunta.

Secondo il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42.1, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa: è principale “l’imposta applicata al momento della registrazione”; è suppletiva “l’imposta applicata successivamente, se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio”, mentre è complementare “l’imposta applicata in ogni altro caso”. Nel caso specifico l’imposta controversa è stata pretesa in un momento successivo a quello della registrazione, cosicchè è da escludere che essa sia un’imposta principale. Essa non è nemmeno un’imposta suppletiva, perchè, rivedendo a posteriori il criterio di liquidazione in precedenza seguito, non è rivolta ad emendare sviste od omissioni commesse in sede di registrazione; in sostanza, essa non è fondata su un errore o su un’omissione, in cui sia incorso l’ufficio in sede di applicazione dell’imposta principale o di decisione sulla denuncia di eventi successivi alla registrazione D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 19.

5.3 La giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, Sezioni unite, 21 novembre 2000, n. 1196; Cass. n. 12257/2017) conferma che, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, l’imposta di registro liquidata dall’ufficio a seguito dell’accertata insussistenza dei presupposti di un trattamento agevolato fruito al momento della registrazione dell’atto di trasferimento della proprietà di un bene immobile, va qualificata come imposta “complementare” (v. anche Cass. n. 1802/2019)

Il prefato criterio discretivo, già fatto proprio da Cass. Sez. U. n. 1196 del 2000, con riguardo alla previgente disciplina dell’imposta di registro, è stato da ultimo riaffermato da Cass. n. 2400 del 2017 e n. 3360 del 2017 (in fattispecie di agevolazione “prima casa”) e da Cass. n. 12257 del 2017 (in fattispecie di mancanza di qualità di soggetto Iva del cedente) e Cass. n. 1802/2019 (in ipotesi di insussistenza dei presupposti di un trattamento agevolato applicato al momento della registrazione dell’atto).

Si tratta, come risulta evidente, di imposta complementare se si tengono in conto le seguenti due distinte ragioni:

1) anzitutto, escluso che l’imposta sia principale o suppletiva, non resta che inquadrarla nell’imposta complementare, perchè la residualità è il carattere scelto dal legislatore per distinguerla dalle altre due specie, le quali sono le sole ad essere definite positivamente dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42.1;

2) in secondo luogo, e soprattutto, al pari di quel che s’è avuto occasione di rilevare in fattispecie analoghe (Corte di Cassazione 26 aprile 2005, n. 8634), la controversia – che ha ad oggetto l’intervenuta decadenza o meno dal potere accertativo – presuppone l’applicazione di una riduzione della “quantità del contenuto dell’imposta” basandosi sull’attribuzione all’operazione di requisiti idonei a usufruire dell’agevolazione.

In altri termini, l’atto d’imposizione tributaria che rileva la decadenza del contribuente dal beneficio ovvero che ne accerti l’insussistenza ab initio va ascritto alla categoria delle imposte complementari.

Difatti, secondo i principi espressi da questa Corte: “In tema di imposta di registro, nel caso di liquidazione della stessa da parte dell’Ufficio a seguito del disconoscimento di un’agevolazione applicata al momento della registrazione dell’atto, l’imposta va qualificata come complementare “(Cass. n. 26448/2017; n. 3360/2017).

6. L’art. 74, comma 2, (come il D.P.R. n. 634 del 1972, art. 76, comma 2, della legislazione posteriore) dopo aver stabilito la decadenza triennale per la richiesta d’imposta relativa ad atti prodotti per la registrazione, contiene tre ulteriori disposizioni inerenti il dies a quo del triennio, che viene fissato nel giorno della domanda di registrazione, per l’imposta principale, nel giorno in cui è divenuto definitivo l’accertamento di maggior valore od è stata presentata la denuncia di cui all’art. 18, (poi art. 19), per l’imposta complementare, e, infine, nel giorno della registrazione ovvero della presentazione della citata denuncia, per l’imposta suppletiva.

Questa dettagliata disciplina del termine iniziale del triennio di decadenza non comprende tutte le richieste che possono essere formulate dall’ufficio, lasciando fuori quelle di tipo complementare (secondo la riportata definizione di carattere residuale dell’imposta complementare), ove non derivino da accertamento di maggiore valore del bene alienato o da denuncia da parte del contribuente di eventi implicanti ulteriore liquidazione.

Difatti, configura richiesta d’imposta complementare, distinta da quelle specificamente considerate dall’art. 74, comma 2, (o dall’art. 76, comma 2), anche l’avviso di liquidazione, con cui l’ufficio del registro, adducendo la decadenza del contribuente dal beneficio della tassazione con aliquota ridotta, ovvero l’insussistenza dell’agevolazione, determini l’imposta con aliquota ordinaria, ed i relativi accessori, reclamandone il pagamento, sebbene essa non sia complementare, nel circoscritto significato sopra indicato, non ricollegandosi a rettifiche del valore od a notizie fornite dal contribuente circa il sopraggiungere dopo il contratto di altri presupposti impositivi. La richiesta in discorso, quindi, rientra nella previsione della decadenza triennale, ma non trova specifiche regole inerenti alla decorrenza iniziale del termine.

6.1 La carenza di peculiari disposizioni sul decorso della decadenza, non potendosi tradurre in esclusione della decadenza medesima, in ragione di quanto dinanzi evidenziato sulla valenza generale della relativa previsione, comporta, per tale decorso, l’operatività delle comuni norme dell’ordinamento (art. 2964 e ss. c.c.), in forza delle quali il termine di decadenza, inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso (v. S.U. n. 1196/2000;Cass. n. 3360 del 2017 e Cass. n. 26407 del 2005; Cass..n. 26448/2017; Cass. n. 1802/2019).

6.2 Facendosi applicazione di dette norme generali, e così fissandosi la decorrenza del triennio di decadenza dalla data in cui l’ufficio del registro abbia facoltà di disconoscere l’agevolazione, questa non può che coincidere con la data della registrazione dell’atto da cui si evinceva chiaramente la qualità di soggetto privato dell’alienante. Pertanto, se l’ufficio si fosse basata, ai fini dell’accertamento della decadenza dalle agevolazioni, sul difetto originario dei requisiti agevolativi, la maggiore imposta (complementare) di registro in recupero della illegittima fruizione della agevolazione avrebbe dovuto essere richiesta dall’amministrazione finanziaria entro il termine di tre anni dalla registrazione dell’atto; fin da questo momento, infatti, essa era in grado di accertare tale difetto.

8. Sennonchè, la decadenza dell’amministrazione dalla potestà di contestare l’agevolazione in questione per difetto originario dei relativi requisiti (acquisto da privati fuori campo Iva, ma non esente dall’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10) ha determinato l’acquisizione definitiva in capo alla società contribuente del diritto (indebitamente esercitato) di usufruire dell’agevolazione medesima; la mancata attivazione dell’amministrazione finanziaria entro il triennio dalla registrazione dell’atto (per far valere il difetto originario dei requisiti agevolativi) ha fatto sì che il regime agevolato (ancorchè indebito, come riconosciuto dalla stessa società contribuente) ormai perfezionatosi a causa dell’inerzia dell’amministrazione, spiegasse tutti i suoi effetti di legge, compreso dunque l’obbligo di trasferimento dell’immobile nel triennio: da qui l’autonomia – anche quanto a disciplina decadenziale – della diversa ed ulteriore causa di recupero individuata nel mancato adempimento di questo obbligo. Con la conseguenza che la decadenza dell’Agenzia dal potere di disconoscere L’agevolazione entro il triennio dalla registrazione dell’atto – la quale ha consentito il prodursi degli effetti del regime agevolativo fruito – non osta all’esercizio del potere di revoca della stessa agevolazione in forza di una causa diversa, quale il mancato trasferimento nel triennio dall’acquisto. In applicazione di questo stesso principio, l’amministrazione poteva disconoscere per altro titolo l’agevolazione e procedere al recupero, usufruendo del termine triennale di accertamento decorrente dal momento (inutile spirare del triennio di adempimento dell’obbligo di trasferimento dell’immobile) in cui la diversa causa di revoca tutt’affatto diversa si era concretizzata.

Nel caso in esame, il termine triennale di accertamento perchè decorrente dal fatto sopravvenuto, costituito dalla inutile scadenza del triennio di adempimento – non era ancora decorso al momento del recupero della tassazione, com’è pacifico tra le parti.

7. La reiezione della prima censura determina l’assorbimento del secondo motivo, risultando del tutto irrilevante l’inerzia dell’amministrazione nel contestare il difetto originario dei requisiti dell’agevolazione, nel triennio dalla registrazione dell’atto ovvero nei termini di cui al D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3, (procedure di controllo sulle autoliquidazioni delle imposte), avendo l’ente finanziario proceduto al recupero delle imposte suppletive per una causa di revoca del tutto diversa da quella concernente il difetto originario dei requisiti dell’agevolazione. Senza considerare che la normativa citata in rubrica disciplina le autoliquidazioni degli ufficiali roganti.

8. Il terzo mezzo è inammissibile attingendo una (presunta) ratio decidendi della sentenza di primo grado non fatta propria dai giudici regionali, i quali non hanno operato alcun riferimento all’abusività della condotta dell’ente contribuente.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione tributaria, il 6 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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