Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24306 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 03/11/2020), n.24306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27420-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.S., domiciliata in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avvocato MICHELE SUSINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1318/2016 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la C.T.R. di Firenze, con sentenza n. 1318/31/16, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Dir. Prov. Di Pisa avverso la sentenza della CTP di PISA n. 23/6/13, che aveva accolto il ricorso della contribuente C.S. che aveva impugnato l’avviso di liquidazione, emesso dall’Agenzie delle Entrate Dir. Prov. Campobasso, relativo al recupero di maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali. Detto recupero era avvenuto sul presupposto che non potessero o trovare applicazione i benefici fiscali per la tassazione agevolata, del D.L. n. 194 del 2009, art. 2, comma 4 bis, (conv. in L. n. 25 del 2010), ai fini della formazione e dell’arrotondamento della piccola proprietà contadina. Ciò in relazione al contratto di compravendita, rogato dalla contribuente nella veste di notaio, avente per oggetto l’acquisto, a favore di R.B. di un fabbricato composto da due abitazioni, oltre a corte comune e terreno agricolo in Comune di (OMISSIS).

– avverso detta sentenza proponeva ricorso innanzi a questa Corte l’Agenzia delle Entrate eccependo:

– violazione e falsa applicazione del D.L. n. 194 del 2009, art. 2, comma 4 bis, (conv. in L. n. 25 del 2010), nonchè dell’art. 817 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– l’intimata C.S. si costituiva eccependo, l’inammissibilità del ricorso per l’assoluta novità della censura e del tema di indagine rispetto alla motivazione dell’atto impugnato ed alle contestazioni avanzate in giudizio; l’inammissibilità del motivo del ricorso in quanto non veniva censurata una violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma l’asserita erronea/carente ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa; nel merito l’infondatezza delle doglianze espresse dalla ricorrente. Ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate rilevava che la sentenza di appello aveva deciso la controversia sulla base di una argomentazione non pertinente avendo indirizzato il proprio esame, esclusivamente, sulla qualificabilità degli immobili quali pertinenze di terreni (art. 817 c.c.), mentre invece il tema centrale della questione era rappresentato dalla verifica della sussistenza dei presupposti (uno solo dei quali era dato dalla pertinenzialità tra terreni ed edifici) stabiliti ai fini della possibile applicazione delle agevolazioni.

In base alla disposizione legislativa di cui al D.L. n. 194 del 2009, art. 2 comma 4 bis, (conv. in L. n. 25 del 2010), per rientrare nell’ambito dell’agevolazione in questione, erano necessarie due condizioni: si doveva trattare di una cessione di un terreno e relative pertinenze qualificati come agricoli, in base a strumenti urbanistici vigenti (condizione oggettiva), effettuata nei confronti di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (condizione soggettiva).

La condizione oggettiva di legge andava verificata sulla base degli strumenti urbanistici vigenti: prima ancora dell’esame in ordine alla possibilità di qualificare i fabbricati specificamente venduti insieme al terrena alla stregua di pertinenza o meno del fondo, occorreva verificarne la natura sulla base degli strumenti urbanistici viga ti al momento in cui era stata richiesta l’applicazione delle agevolazioni (ossia, nella specie, alla data del rogito notarile: (OMISSIS)).

In assenza di tale requisito, dunque, non aveva alcun senso proseguire la disamina in ordine alla pertinenzialità o meno rispetto ai terreno di eventuali ulteriori immobili oggetto di cessione, dal momento che, appunto, in tale ipotesi, la norma non era applicabile, difettando di un presupposto necessario.

Orbene, nella fattispecie tale requisito pacificamente non sussisteva alla suindicata data, considerando che la stessa controparte aveva ammesso che solo nelle date del (OMISSIS), (successivamente dunque alla stipula dell’atto di compravendita) i Sig. R. aveva presentato ad ARTEA la pratica DUA e al competente comune la comunicazione di inizio dell’attività agrituristica e che solo all’esito di tali domande amministrative era stata aggiornata la classificazione catastale degli immobili, passati dalla categoria A/2 (civile abitazione) alla categoria A/6 (fabbricato rurale a destinazione abitativa e residenza dell’imprenditore agricolo) ed alla categoria D/10 (immobile a destinazione non abitativa utilizzato per attività agrituristica).

Detta circostanza si desumeva dal contratto di compravendita e dalla memoria illustrativa della contribuente in cui venivano indicate specificamente le categorie catastali dei cespiti. Gli immobili trasferiti non avevano, quindi, le caratteristiche catastali ed urbanistiche idonee all’applicazione della agevolazione. Sosteneva, ancora, l’Agenzia, come, in sede di proposizione dell’appello, avesse evidenziato tali circostanze “atteso che in particolare gli edifici avevano destinazione catastale incompatibile con l’agevolazione regolarizzata solo successivamente all’acquisto immobiliare”.

Con le dedotte eccezioni di inammissibilità” la resistente C. affermava che, nella fase di merito del giudizio, l’Agenzia aveva impostato tutte le sue difese eccependo “in fatto” la mancanza del vincolo della pertinenzialità tra fabbricati e terreni circostanti, con prevalenza della parte edificata rispetto al terreno agricolo vero e proprio. Ciò evidenziava non solo la “novità della censura” ma anche la violazione dell’onere di allegazione della deduzione innanzi al giudice di merito. Difettava, quindi, anche l’autosufficienza del motivo, non avendo il ricorrente indicato in quale atto precedente del giudizio avesse esposto tale questione. Sotto altro profilo, eccepiva l’inammissibilità del ricorso rilevando che non veniva eccepita una violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ma si censurava un’asserita carenza nella ricostruzione della fattispecie concreta, richiedendo alla Corte un riesame nel merito della vicenda, su un fatto (la sussistenza del vincolo pertinenziale) su cui il giudice di merito si era insindacabilmente pronunciato.

Ad avviso di questa Corte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Effettivamente, come eccepito dalla resistente la censura proposta risulta estranea al thema decidendum introdotto nel giudizio di merito. La tipologia di accatastamento del fabbricato al momento della redazione del rogito non è stata mai contestata dall’Agenzia nei gradi di merito e risulta proposta (nei termini dedotti in ricorso) per la prima volta innanzi a questa Corte.

La questione introdotta dall’appellante ed esaminata nel giudizio di merito è stata quella relativa, in fatto, alla mancanza del vincolo della pertinenzialità tra fabbricati e terreni circostanti, con prevalenza della parte edificata rispetto al terreno agricolo vero e proprio, tanto che su questo punto si è diffusamente espressa la CTR di Firenze.

Non risulta, pertanto, idoneamente comprovata la non novità della censura qui proposta, relativa alla classificazione catastale degli immobili al momento dell’atto.

Non solo, ma con riferimento a detta censura si pone, anche il tema dell’autosufficienza del ricorso. Il punto dell’atto di appello (asseritamente suscettibile di soddisfare il requisito dell’autosufficienza) richiamato dal ricorrente, si presenta decisamente generico e non suscettibile di soddisfare il requisito richiesto dalla norma.

Alla pronuncia di inammissibilità consegue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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