Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24305 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. I, 09/09/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 09/09/2021), n.24305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14235/2019 proposto da:

K.R., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via R.

Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2248/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 22 ottobre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da K.R., cittadino del Bangladesh richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il ricorrente aveva riferito di essere espatriato in quanto, appartenendo alla minoranza religiosa di fede induista, era stato perseguitato dagli abitanti del villaggio, a maggioranza mussulmani, i quali, dopo la morte del padre, avevano distrutto il tempio e l’avevano spossessato delle terre, minacciandolo anche di morte.

La corte del merito ha rigettato la domanda di status rilevando che, secondo quanto ricavabile dal sito “(OMISSIS)”, in Bangladesh non si segnalano conflitti di natura religiosa, mentre il rapporto EASO 2017, pur dando conto di attacchi da parte di mussulmani ai templi e alle attività commerciali hindu sino al 2016, non ne registra nel distretto del Madraripur di provenienza di K.; ha poi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria osservando che il richiedente avrebbe potuto proteggersi dalle minacce e dalle violenze rivolgendosi all’autorità; ha infine escluso che, in difetto di allegazione da parte del migrante di aver subito, o di poter subire in caso di rimpatrio, la violazione di diritti umani di particolare entità, la sua integrazione nel territorio italiano potesse giustificare il rilascio in suo favore di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La sentenza è stata impugnata da K.R. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi e illustrato da memoria.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, limitandosi a depositare atto tardivo “di costituzione ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; in subordine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la sentenza sarebbe solo apparentemente motivata, per aver il giudice rigettato le domande senza assumere alcuna informazione sulla situazione socio-economico-politica del Bangladesh in relazione alla vicenda narrata, ignorando le fonti da lui richiamate, e senza neppure accertare se l’autorità statale sia in grado di assicurare protezione ai propri cittadini minacciati da soggetti privati; per aver inoltre omesso di indicare le ragioni per le quali i riferiti episodi di violenza da lui subiti non costituirebbero una “minaccia individualizzata”. Rileva, ancora, con particolare riguardo alla domanda di protezione umanitaria, che la corte del merito non ha valutato unitariamente tutti gli elementi di vulnerabilità oggettiva e soggettiva allegati, né ha compiuto il dovuto giudizio di comparazione.

Il motivo è fondato nei termini che di seguito si precisano.

E’ principio ripetutamente affermato da questa corte che il pericolo di sottoposizione a un trattamento inumano o degradante, in presenza del quale ricorrono i presupposti per il riconoscimento del diritto d’asilo o della protezione sussidiaria, può provenire anche da un soggetto non statuale, qualora le autorità del Paese di provenienza del richiedente non siano in grado di approntarvi tutela (fra molte, Cass. nn. 28779/2020, 12333/2017). Ne consegue che, qualora la vicenda narrata dal migrante sia ritenuta credibile, il giudice non può limitarsi ad escludere che essa integri i presupposti per il riconoscimento delle tutele richieste sul mero rilievo della astratta possibilità per il richiedente di rivolgersi a dette autorità, ma, nell’osservanza del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertare, sulla scorta di COI aggiornate, se questi avrebbe potuto ottenere effettivo riparo dalle minacce e dalle violenze subite a causa della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale rivolgendosi a forze governative o ad enti del proprio Paese.

Nella specie la corte d’appello non si è attenuta agli enunciati principi, in quanto, pur ritenendo attendibili le dichiarazioni dal ricorrente, e dunque riconoscendo che questi è stato costretto a migrare in giovanissima età a causa della persecuzione proveniente dalla maggioranza mussulmana degli abitanti del suo villaggio, culminata nello spossessamento dei terreni di sua proprietà, ha, in primo luogo, contraddittoriamente escluso che ricorressero i presupposti per la concessione dello status di rifugiato sulla scorta di generiche notizie tratte dal sito “(OMISSIS)” (che, essendo rivolto ai viaggiatori italiani, ha scopo e funzioni coincidenti solo in parte con quelli perseguiti nei procedimenti di protezione: cfr. Cass. n. 8819/020) e di altre notizie tratte da un sito aggiornato al 2016, che peraltro riferiva di attacchi ai templi e alle attività induiste, seppur non specificamente nella regione del Madraripur; ha aggiunto, ancor più contraddittoriamente, che non le era possibile svolgere attività istruttoria sussidiaria in ragione della mancata indicazione, nel racconto, di elementi concreti “quale ad es. la data della distruzione del tempio”, ma (al di là dell’apoditticità di tale affermazione) non ha spiegato perché non potesse ottenere le informazioni ritenute necessarie attraverso una nuova e più approfondita audizione del ricorrente; ha, infine, del tutto omesso di verificare se in Bangladesh sussista un adeguato sistema di tutela civile e giurisdizionale dei diritti degli appartenenti a minoranze religiose, senza neppure preoccuparsi di riscontrare il contenuto delle diverse COI richiamate sul punto da K. nell’atto di appello.

Meramente apparente è poi la motivazione che sorregge il rigetto della domanda di protezione umanitaria, espressa in termini esclusivamente negativi e palesemente astratti (“non sono state rappresentate specifiche situazioni soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”), priva di qualsivoglia riferimento ai fatti narrati dal ricorrente (ancorché ritenuti credibili, e dunque idonei a provare la violazione del suo diritto alla libertà religiosa e all’integrità fisica) e non fondata su un giudizio di comparazione fra il grado di integrazione da lui raggiunta in Italia (la corte ha dato atto che K. svolge attività lavorativa) e la condizione in cui si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio. Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, che ripropongono le medesime censure sotto distinti profili.

All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio del procedimento, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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