Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24305 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 03/11/2020), n.24305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27213-2014 proposto da:

MIRO RADICI FINANCE SRL, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

Avvocati GIUSEPPE RUSSO CORVACE, GIUSEPPE PIZZONIA, GIANCARLO

ZOPPINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MANZI SRL, MAESTRO SRL;

– intimati –

e da

MANZI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio

dell’Avvocato GIANCARLO ZOPPINI che lo rappresenta e difende

unitamente agli Avvocati GIUSEPPE RUSSO CORVACE, GIUSEPPE PIZZONIA

giusta delega a margine;

– ricorso successivo –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– controricorrente –

e contro

MIRO RADICI FINANCE SRL, MAESTRO SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1598/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 26/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto la trattazione in pubblica udienza.

 

Fatto

RITENUTO

che:

A seguito di processo verbale di costatazione del (OMISSIS), dell’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento per imposta di registro alla società Fincompany s.r.l. (ora incorporata dalla Manzi s.r.l.) con riferimento ad un preliminare di vendita del (OMISSIS), stipulato con Miro Radici Finance s.r.l. (già Miro Radici Textile & Energie S.p.A.), di una unità immobiliare, al prezzo (già corrisposto alla stipula) di euro 4.000.000,00 più IVA, sottoposto alla condizione sospensiva della stipula di un contratto di locazione tra Fincompany s.r.l. ed altra società, che avrebbe avuto il godimento dell’immobile (UniEuro s.p.a.).

La società Miro Radici sottoscriveva, in data (OMISSIS), una scrittura privata denominata “cessione di contratto preliminare sottoposto a condizione sospensiva”, nella quale cedeva alla Kro.Ver. s.r.l. (ora Maestro s.r.l.) la propria posizione contrattuale di promissario acquirente dell’immobile. La cessione avveniva al corrispettivo di Euro 650.000,00 più IVA ed era sottoposta alla condizione sospensiva della stipula, entro il 30 aprile 2006, del contratto definitivo di locazione tra Fincompany s.r.l. e UniEuro s.p.a..

Il contratto, art. 10, rubricato “rapporti contrattuali tra le parti” stabiliva che:

– Kro.ver si impegnava a versare alla Miro Radici la somma di Euro 530.000,00 a saldo di quanto dovuto per il contratto di cessione del preliminare;

– Kro.ver si impegnava a versare a Fincompany s.r.l. la somma di Euro 4.000,000,00 quale corrispettivo per la vendita dell’immobile;

– Fincompany s.r.l., promittente venditrice, assumeva l’obbligo di restituire alla cedente il contratto, ossia alla originaria promissaria acquirente Miro Radici, la somma di Euro 4.000.000,00 che quest’ultima aveva corrisposto in occasione della stipula del preliminare (corrispondente all’intero prezzo della futura compravendita).

In data (OMISSIS) si concludeva il contratto definitivo di compravendita avente ad oggetto il complesso immobiliare. Il contratto definitivo si concludeva con Locat, anzichè con Kro-ver, in quanto in pari data Locat subentrava, a fronte del pagamento di un corrispettivo di Euro 650.000,00, oltre IVA, nella posizione contrattuale di Krover, sostituendosi a quest’ultima nel diritto ad acquistare il complesso immobiliare, e ciò al solo fine di concederlo in locazione finanziaria alla parte utilizzatrice Krover. Con l’avviso di liquidazione, l’Agenzia liquidava l’imposta di registro considerata dovuta in relazione alla obbligazione di restituzione delle somme pagate (pari ad Euro 4000.000,00) da parte di Fincompany, in ragione della cessione del contratto preliminare.

Secondo la tesi sostenuta dall’Ufficio, la restituzione di tale somma costituiva una obbligazione autonoma a contenuto patrimoniale, sicchè la stessa non avrebbe dovuto generare una nota di variazione ai fini IVA (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, commi 2 e 3), ma avrebbe dovuto scontare l’imposta di registro nella misura del 3%, a norma del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 9, Tariffa, Parte Prima.

L’atto impositivo veniva impugnato con separati ricorsi da Fin-company s.r.l. e Miro Radici Finanze S.p.A. e Krover s.r.l. innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, rilevando che l’obbligazione aveva riguardato la restituzione da parte di Fincompany di acconti ricevuti a seguito della stipulazione del contratto preliminare, quindi, trattandosi di una disposizione non autonoma, ma inserita nel contesto di operazioni regolarmente soggette ad IVA, la tassabilità ai fini dell’imposta di registro violava il principio di alternatività dell’IVA ed imposta di registro ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40. L’adita Commissione, previa riunione, respingeva integralmente i ricorsi. La sentenza veniva appellata da Fincompany s.r.l. e Miro Radici Finanze S.p.A. innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza n. 1598 del 2014, respingeva il gravame.

I giudici di appello ritenevano l’assoggettabilità della restituzione delle somma riscossa come una autonoma obbligazione celata appositamente nella scrittura privata, con cui la cedente Fincompany s.r.l. si impegnava a restituire all’acquirente promittente l’acconto originariamente versato.

Miro Radici Finance s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo tre motivi, illustrati con memorie. Manzi s.r.l. ha proposto ricorso successivo (incidentale) affidato a tre motivi ed ha presentato memorie.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorsi. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, in data 10.1.2020, ha depositato memoria concludendo per il rinvio della controversia alla pubblica udienza. Maestro S.r.l. (già Kro.ver. s.r.l.) non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il Collegio, preliminarmente, rileva che, con ricorso successivo, Manzi s.r.l. (incorporante Fincompany S.r.l.) ha proposto tre motivi di censura di contenuto identico a quelli illustrati da Miro Radici Finance s.r.l. con il ricorso principale. Il ricorso successivo va qualificato come incidentale, per il principio di unicità del processo di impugnazione contro la stessa sentenza, secondo cui una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (Cass. n. 5695 del 2015; Cass. n. 2516 del 2016).

2. Con il primo motivo di ricorso principale, e con il primo motivo di ricorso incidentale, Miro Radici Finance s.r.l. e Manzi S.r.l. (incorporante Fincompany s.r.l.) denunciano l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello della società, in quanto fondato su eccezioni nuove. La sentenza sarebbe “in parte qua” nulla per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dalle ricorrenti in quanto fondato su eccezioni e motivi nuovi, laddove dall’esame delle doglianze sviluppate nel giudizio di prime cure e di quelle articolate nel giudizio di appello risulta che, nella sostanza, sono rimasti immutati sia il petitum sia la causa petendi delle censure, ancorchè le stesse siano state diversamente declinate in ragione della necessità di replicare adeguatamente alle osservazioni di parte avversa ed alle statuizioni dei primi giudici, con la conseguenza che non sussisterebbe la violazione del divieto di “ius novorum”.

2.1. I motivi sono fondati.

La società contribuente sia nel ricorso introduttivo che nell’atto di appello ha impugnato l’atto impositivo lamentando che la tassazione riguardava la clausola che disponeva restituzione di acconti ricevuti a seguito della stipula di un contratto preliminare, e trattandosi di disposizione inserita e, quindi, non autonoma nel contesto di operazioni soggette ad IVA, non poteva essere tassata ai fini dell’imposta di registro per violazione del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 40.

In appello, la questione proposta all’esame del primo giudice, è stata illustrata in modo diverso, mettendo in evidenza che trattandosi di un negozio volto ad eliminare gli effetti economico- finanziari della pattuizione principale ed essendo quest’ultima assoggettata ad IVA, anche la prima doveva scontare il medesimo trattamento impositivo. Le doglianze hanno declinato argomentazioni giuridiche, finalizzate ad individuare la disciplina applicabile alla fattispecie all’esame del giudice. Ne consegue che non sussiste la violazione del divieto di ius novorum, essendo state riproposte in appello le medesime doglianze espresse nel ricorso introduttivo, con conseguente esclusione dell’ampiamento del decisum, e non essendo stati introdotti nuovi temi di indagine, nè modificate le argomentazioni giuridiche sulla base delle quali sono state prospettate le tesi difensive.

La Commissione Tributaria Regionale, pertanto, non ha fatto buon governo dei principi espressi, concludendo per l’inammissibilità dell’appello.

Il Collegio rileva che tale statuizione, concludendo per l’inammissibilità dell’impugnazione, ha esaurito il potere decisionale del giudice di secondo grado, precludendo l’esame di ulteriori censure fondate sul merito (Cass. n. 27049 del 2014; Cass. n. 9319 del 2016, Cass. n. 17004 del 2015).

Con la dichiarazione di inammissibilità delle censure, viene meno lo stesso oggetto del giudizio in relazione al quale il giudice è legittimato ad esercitare la propria “potestas judicandi”. Questa Corte, con indirizzo condiviso ha affermato che: “La declaratoria di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio determina il difetto della “potestas iudicandi” del giudice in relazione al merito della controversia, la cui rilevabilità d’ufficio è compatibile con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, trattandosi di vizio attinente all’esistenza stessa del potere giurisdizionale nel caso concreto. Ne consegue che le eventuali argomentazioni di merito, rese “ad abundantiam” nella motivazione della sentenza, sono prive di effetti giuridici e non determinano alcun onere o interesse all’impugnazione in capo alla parte soccombente, che, ove proposta, va dichiarata inammissibile” (Cass. n. 27049 del 2014).

3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso principale e del primo motivo di ricorso incidentale comporta la cassazione della sentenza impugnata e l’assorbimento di tutte le altre censure per carenza di interesse (ex art. 100 c.p.c.), le quali attengono alla motivazione “ad abundantiam”, che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe dovuto adottare una volta che aveva prospettato l’inammissibilità dell’appello.

La dichiarazione di inammissibilità determina che, ove siano state impropriamente illustrate argomentazioni sul merito, le stesse sono da ritenere prive di giuridica rilevanza, sicchè i motivi di impugnazione relativi ad esse vanno dichiarati assorbiti dall’accoglimento del motivo concernente la declaratoria di inammissibilità (Cass. n. 3840 del 2007; Cass. n. 15122 del 2013; Cass. n. 17004 del 2015; Cass. 30393 del 2017).

4. Da siffatti rilievi consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale e del primo motivo di ricorso incidentale, e l’assorbimento del secondo e del terzo motivo di ricorso principale ed incidentale con cui si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1362,1363, c.c., del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 2, n. 5, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, commi 2 e 3, il citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, comma 1, e il D.P.R. n. 131, art. 9, Tariffa, Parte Prima, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, commi 2 e 3, citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, comma 1, e citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 9, Tariffa, Parte prima, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In definitiva, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, per il riesame, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia per il riesame alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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