Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24302 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 17/01/2017, dep.16/10/2017),  n. 24302

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28770-2012 proposto da:

SUPERCONDOMINIO (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)

(OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TIBERIO IMPERATORE 15, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA MONTI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

M.S., + ALTRI OMESSI

– intimati –

Nonchè da:

D.V., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2226/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO FRANCESCO MAURO CHE HA CONCLUSO PER L’INAMMISSIBILITA’

DEI RICORSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – S.M. e altri condomini del supercondominio (OMISSIS) con diversi civici, hanno agito innanzi al tribunale di Roma impugnando i punti nn. 4 e 5 della Delib. adottata l’11 aprile 2001, nella parte in cui ha ripartito anche nei loro confronti, e addirittura nei confronti dei condomini controparti, le spese legali relative a due giudizi instaurati presso il tribunale di Velletri nei confronti delle ditte Tutt’Edilizia e Saces, liti rispetto alle quali in data 27 dicembre 1993 i predetti si sarebbero dissociati. Ha resistito l’ente di gestione, deducendo l’inesistenza di un valido atto di dissociazione nonchè la correttezza della delibera, avendo gli impugnanti fruito delle transazioni con cui erano stati definiti i giudizi.

2. – Il tribunale di Roma ha rigettato la domanda. Avverso la sentenza hanno proposto appello S.M. e altri condomini. La corte d’appello di Roma lo ha accolto parzialmente, annullando la delibera impugnata nella parte in cui, in relazione al punto n. 4 dell’ordine del giorno, sono state ripartite a carico di S. le spese relative alle due parcelle; ha rigettato per il resto.

3. – Avverso tale decisione ricorre per cassazione il condominio proponendo due motivi, ai quali resistono i condomini S. e altri in epigrafe con controricorso contenente ricorso incidentale su un motivo.

Non svolgono difese i condomini C. e altri in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Appare preliminare l’esame del primo motivo di ricorso incidentale, con cui si lamenta da un lato “erronea e incongrua motivazione”, dall’altro si fa riferimento all’art. 1136 c.c., commi 2 e 4. Si sostiene, da un lato, che le delibere relative alle costituzioni in giudizio contro le ditte Saces e Tutt’edilizia non siano state sorrette da idonee maggioranze ai sensi della cennata disciplina codicistica, per cui essi votanti dissenzienti non sarebbero vincolati, dall’altro che sia nel presente giudizio (ed è questo il riferimento che impone l’esame preliminare del mezzo incidentale), sia nei predetti altri giudizi l’amministratore non avrebbe mai provato di essere in possesso di autorizzazione assembleare a coltivare le liti. Si chiede quindi la “riforma” della sentenza della corte d’appello nella parte in cui ha riconosciuto esente dalla partecipazione alle spese processuali il solo S..

1.1. – Il motivo anzidetto – formalmente unico ma con deduzioni di diversa tipologia, sopra riepilogate – è stato rubricato dalla ricorrente in relazione a doglianze congiunte di vizi di violazione di legge e vizi di motivazione.

Esso è inammissibile da più punti di vista.

1.2. – Anzitutto, il ricorso incidentale difetta di esposizione sommaria dei fatti, in violazione del requisito dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, richiamato per il controricorso contenente ricorso incidentale dal successivo art. 371, comma 3, che tale esposizione sommaria impone. Come chiarito dalla giurisprudenza (Cass. n. 76 del 08/01/2010 e n. 18483 del 21/09/2015), non potendo la corte scegliere quanto rilevi ai fini della decisione in quanto spetta alla parte sintetizzare il fatto sostanziale e processuale funzionale alla valutazione dell’atto, quando il controricorso racchiuda anche un ricorso incidentale, esso deve contenere, al pari del ricorso principale, in ragione della sua autonomia rispetto a quest’ultimo, l’esposizione sommaria dei fatti della causa ai sensi del combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, sicchè è inammissibile ove si limiti ad un mero rinvio all’esposizione contenuta nel ricorso principale e non sia possibile, nel contesto dell’impugnazione, rinvenire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti. Per il resto, il controricorso, a prescindere dal ricorso incidentale, avendo la sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, non necessita dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, potendo richiamarsi a quanto già esposto nel ricorso principale.

Nel caso di specie, il controricorso, alla p. 1, menziona come fatti solo i dati relativi ai nomi delle parti e gli estremi della sentenza impugnata e delle date delle delibere “che ingiustamente avevano gravato i comparenti di specie per cause iniziate nel 1995”; alla p. 2, in esordio, menziona gli esiti delle sentenze di primo e secondo grado. Non è dunque possibile, nel contesto dell’impugnazione incidentale, rinvenire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti, senza far riferimento ad altri atti.

1.3. – In secondo luogo, il motivo di ricorso incidentale – come detto costituente un coacervo di doglianze – manca di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che tale requisito pone a pena, appunto, di inammissibilità.

Nel procedimento civile il controllo di legittimità sulle pronunce dei giudici di merito demandato alla corte suprema di cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all’annullamento delle pronunce viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate quanto alla motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ne consegue che è inammissibile il ricorso prospettante una sequela di censure non aventi specificamente ad oggetto uno dei suindicati vizi e non specificamente argomentate con riferimento ai medesimi. Nel caso di specie, le doglianze, precedute dalla rubrica innanzi riepilogata che fonde in sè censure per vizi disomogenei, risultando come una sommatoria di argomentazioni volte a contrapporre deduzioni a quelle sostenute nella sentenza impugnata, al di fuori dei canoni del ricorso per cassazione, finiscono per non denunciare specificamente, in realtà, alcun vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, e cioè i motivi per i quali la sentenza viene impugnata, in quanto la mera. menzione dei due possibili vizi, elencati in successione tra loro in rubrica, non lascia comprendere a quali statuizioni dell’impugnata sentenza ciascuna doglianza si riferisca.

Nè è consentito a questa corte, attraverso l’esame del ricorso, individuare autonomamente i vizi che eventualmente sussistano, trattandosi di attività che esula dai compiti del giudice di legittimità, il quale deve valutare la conformità a legge della sentenza impugnata sulla base delle violazioni – si ripete, specifiche – denunciate dalla parte. Spetta infatti a quest’ultima definire il contenuto e la portata del giudizio di cassazione, attraverso la denuncia specifica degli errori in cui è asseritamente incorsa la sentenza impugnata, potendo il giudice di legittimità considerare solo le statuizioni di tale sentenza nei limiti dei motivi e delle richieste formulate dalla parte, che nel caso di specie sono presentate con una latitudine tale da tradursi in genericità.

1.4. – Resta assorbita ogni eventuale ulteriore valutazione di inammissibilità, per difetto di autosufficienza o in quanto, sotto le spoglie della denuncia di vizi di violazione di legge e di motivazione, il ricorso incidentale tenda a un riesame nel merito della decisione impugnata (si chiede, emblematicamente, la “riforma” di essa).

1.5. – Resta invece da valutare – anche al di là della inammissibilità a pronunciarsi circa detto ricorso incidentale – il profilo, che per vero è esaminabile in quanto concretante una mera sollecitazione di poteri di ufficio della corte, della presunta necessità per l’amministratore di condominio di munirsi di Delib. assembleare autorizzativa al fine di promuovere impugnazione, anche innanzi a questa corte, al fine di difendere una delibera che – almeno formalmente, a prescindere dai rilievi dei condomini, che afferiscono al merito della lite – appare una delibera di assemblea condominiale. Al riguardo, va data continuità alla giurisprudenza di questa corte (n. 1451 del 2014, n. 10865 del 2016 e n. 16260 del 2016) che – precisando la portata di sez. un. n. 18331 del 2010 – afferma che l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo nonchè impugnare sentenze per tutte le controversie che rientrino nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un’obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l’esercizio dei servizi condominiali ovvero resistere all’impugnazione della Delib. assembleare. Va pertanto respinta la deduzione della parte controricorrente e, per effetto della rituale costituzione del condominio, può passarsi ad esaminare il ricorso principale.

2. – Passando alla disamina del ricorso principale, con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla mancata considerazione delle censure formulate nella comparsa di costituzione in appello, in merito alla carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. con conseguente cessazione della materia del contendere”. Lamenta che, prima di passare ad esaminare i motivi di impugnazione, il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare – ciò che avrebbe invece omesso – le eccezioni preliminari del condominio, elencate come “questioni di legittimazione…, di procedibilità dell’azione,… preliminari processuali e di merito ed infine il merito della controversia”; in concreto, fa riferimento all’osservazione circa l’approvazione del bilancio consuntivo al 30.9.2001 in cui era stato riprodotto lo stesso riparto qui contestato, osservazione che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare.

2.1. – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla posizione del sig. S. e alla mancata considerazione delle censure formulate nella comparsa di costituzione in appello”. Incongruamente e senza tener conto di risultanze documentali – secondo il ricorrente – la sentenza di appello avrebbe ritenuto lo S. controparte del condominio, senza tener conto delle transazioni. Altrettanto erroneamente la corte avrebbe usato la nozione di “controparte sostanziale” anche per giudizio in cui egli non era costituito, benchè ne fosse stata chiesta la chiamata in garanzia, non autorizzata. Parimenti non avrebbe considerato che la chiamata in garanzia impropria non comporta unificazione delle cause.

2.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. nonchè dei principi che regolano la liquidazione delle spese di giudizio”, in relazione alla compensazione delle spese operata dal giudice di appello, facendo riferimento alla difficoltà della lite e alla conflittualità tra condomini con proliferazione delle azioni giudiziarie.

2.3. – I primi due motivi sono inammissibili, il terzo infondato.

2.4. – In ordine ai primi due motivi, negli stessi non sono riportati i brani specificamente impugnati della sentenza oggetto di ricorso, nè in generale sono riportati, trascrivendoli nelle parti rilevanti, i documenti menzionati. Nell’ambito del primo motivo, inoltre, non sono riportate le eccezioni asseritamente neglette. Ne deriva una generale carenza di autosufficienza.

2.5. – Trattandosi di censure sia per violazione di legge che per vizi di motivazione, va ricordato che il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; detto viziò, giusta il disposto di cui all’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Nel caso di specie, stante l’assenza delle necessarie indicazioni, manca una chiara correlazione tra affermazioni in diritto censurate, da riportare testualmente o almeno da richiamare specificamente, e le norme regolatrici che si assumono violate; ciò a maggior ragione ove si consideri che anche le critiche di natura motivazionale sono inserite nella stessa narrativa, senza che sia possibile separare le parti del motivo riferite alla doglianza di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 e quelle riferite al n. 5. Se la mancanza di chiare indicazioni, in particolare delle parti di sentenza criticate, genera difetto di autosufficienza per il mezzo per violazione di legge, esso ancor più sussiste per i dedotti vizi di motivazione (vizio denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Poichè tale vizio sussiste o quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento (insufficiente motivazione), o quando le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (contraddittoria motivazione), il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i passaggi censurati, illustrando il vizio, ciò che non è avvenuto la doglianza in esame.

2.6. – In ordine al terzo motivo, va data continuità alla giurisprudenza (v. ad es. da ultimo Cass. n. 14411 del 2016) secondo la quale in tema di spese giudiziali, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., nella formulazione vigente ratione temporis, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica, inidonea a consentire il necessario controllo. Nel caso di specie, la corte d’appello ha fatto esplicitamente riferimento alla “difficoltà della materia” resa più complessa dalla “situazione di estrema conflittualità tra i condomini, dalla successione di diversi amministratori, dal proliferare di iniziative giudiziarie, dalle varie sentenze pronunciate”, valutazione questa non generica, controllabile ed effettivamente riferita alle peculiarità della fattispecie. Il motivo è dunque infondato.

3. – Il ricorso va conclusivamente rigettato, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità stante la soccombenza reciproca.

PQM

 

La corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 17 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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