Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24298 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 29/11/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

IRIS Ceramica s.p.a., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif.

dall’avv. Giampiero Samorì, elett. dom. presso lo studio dell’avv.

Tiziano Mariani in Roma, via Carlo Felice n. 89, come da procura in

calce all’atto;

– ricorrente –

Ceramiche di Siena s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo,

in persona del liquidatore e l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Francesco Ruffino e dall’avv. Antonio Michele Caporale, elett. dom.

presso lo studio del secondo in Roma, via Sardegna n. 38, come da

procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

Ceramiche di Siena s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo,

in persona del commissario giudiziale Procuratore generale presso la

Corte d’appello di Firenze;

– intimati –

per la cassazione del Decreto App. Firenze 17.2.2011, con RG n.

571/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 19 ottobre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

udito l’avvocato Andrea Sirena per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

SOLDI Anna Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IL PROCESSO

Iris Ceramica s.p.a. impugna il Decreto App. Firenze 17.2.2011 con cui venne rigettato il suo reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato preventivo di Ceramiche di Siena s.p.a., quale reso da Trib. Siena 9.7.2010 e relativo allo schema della cessione integrale dei beni, preceduta da affitto a società terza ed impegno di questa di rilievo progressivo dell’attivo.

La corte d’appello, ritenendo che la posizione del reclamante – opponente alla omologazione del concordato – non coincidesse però con quella di creditore altresì facente parte di classe dissenziente, posto che nessuna classe aveva dissentito ed avendo invero la proposta conseguito la maggioranza di voti favorevoli pari al 62,75%, contro il 34,34% di non votanti ed il 2,91% di dissenzienti, osservò che comunque non risultavano nè erano state segnalate attestazioni o certificazioni inveritiere, così come occultamento di attivo o sovraesposizione di passivo. Ed invece i giudizi sulla realizzabilità dell’attivo, attenendo agli aspetti di convenienza della proposta, erano stati già oggetto della menzionata votazione favorevole, conseguendone il necessario rigetto del reclamo.

Il ricorso è affidato ad un motivo, cui resiste la società debitrice in concordato con controricorso. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il motivo il ricorrente deduce la violazione della L.Fall., artt. 160, 172, 173, 180 e 183 e la carenza di motivazione, avendo la corte erroneamente inteso le censure della reclamante quali attinenti alla convenienza, mentre esse si riferivano alle condizioni di ammissibilità della proposta ed alla sua fattibilità, nonchè alla effettività dei controlli delegati al commissario e dunque alla completezza della sua relazione.

1. Va premesso che appare pacifico, pur dalla sbrigativa riassunzione processuale operata nel decreto e nonostante la genericità dei corrispondenti riferimenti riportati dal ricorso, che l’impugnante è stato parte dissenziente di una classe a sua volta non dissenziente nel corso delle votazioni che condussero all’omologazione del concordato in esame. Applicandosi allora, ratione temporis, la disciplina di cui alla L.Fall., artt. 180 (e 183), nel testo valevole dal 1.1.2008 al 12.8.2012, il creditore dissenziente costituitosi e comunque opponente, per tale sola veste è abilitato a provocare un controllo sulla regolarità della procedura e la verifica della permanente sussistenza dei suoi presupposti di ammissibilità di natura non ampliativa rispetto alle verifiche comunque ricadenti tra i doveri del tribunale. Tale creditore può aggiungere – oltre a fatti impeditivi dedotti a contrasto dell’omologazione e da censire L.Fall., ex art. 180, comma 4, primo periodo e L.Fall., art. 173, nel testo vigente – altresì singole vicende individuali e a sè proprie, ma senza estensione del thema decidendum sino a ricomprendere le valutazioni sulla convenienza, collettiva o anche solo singolare. Queste ultime, anche ai sensi della disposizione di cui alla L.Fall., art. 180, comma 4, seconda parte, storicamente vigente, esigevano un interesse normativamente qualificato (l’avvenuta espressione di un voto di dissenso in una classe a sua volta dissenziente) nella vicenda nemmeno allegato ed anzi positivamente escluso dal decreto. Per tale parte, dunque, la motivazione del decreto di App. Firenze è corretta, anche in linea di diritto, ove pregiudizialmente nega la legittimazione al reclamante a provocare un giudizio sulla convenienza con il ricorso al criterio del tram down.

2. Lo stesso decreto, tuttavia, assolve ad un onere motivazionale più ampio, dandosi carico di indicare altresì che non vi sono state nè sono state segnalate, nella procedura, irregolarità, nè si è riscontrato il venire meno delle condizioni di ammissibilità, altro scenario riguardando la realizzabilità dell’attivo in funzione del successo esecutivo della proposta. Il motivo, sul punto, è allora inammissibile non rispettando la sua duplice e cumulativa redazione il principio per cui già il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Anche in questo caso “risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.” (Cass. 5353/2007). Va poi aggiunto che, altrettanto inammissibilmente, “l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo… al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.” (Cass. 19443/2011).

3. Nella vicenda, d’altronde, la genericità dell’unica censura, esposta all’altezza sia della violazione di plurime disposizioni fallimentari che della carenza di motivazione, non si accompagna ad un’adeguata rappresentazione, com’era onere del ricorrente, della idoneità della sede processuale e della tempestività del mezzo di contestazione prescelto avanti al giudice di merito che sarebbe stato già incaricato, dall’opponente – reclamante, di vagliare il difetto della fattibilità giuridica, la assenza delle condizioni di ammissibilità della proposta, la incompletezza delle relazioni del commissario giudiziale. Tale concorrente limite di completezza e precisione del ricorso ne connota perciò la inammissibilità, avendo infatti omesso il ricorrente di riportare o riassumere, almeno nei loro passi essenziali, gli atti processuali (come la stessa relazione del commissario giudiziale ed in relazione al decreto di omologazione) ritenuti manchevoli o insufficienti o errati e ciò in relazione alle specifiche critiche da dedursi in sede impugnatoria, presupposto per proporre a questa Corte la rivalutazione della vicenda nei limiti dei poteri di controllo di un giudizio a critica vincolata.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna alle spese determinate secondo la regola della soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.200 (di cui 200 per esborsi), oltre al 15% forfettario sul compenso e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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