Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24298 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. un., 16/10/2017, (ud. 10/01/2017, dep.16/10/2017),  n. 24298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente di Sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16990-2015 proposto da:

FALLIMENTO 501 HOTEL S.P.A., in persona dei curatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio

dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato UMBERTO GRELLA, per delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI VIBO VALENTIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALSESIA 40, presso lo studio

dell’avvocato ANIELLO MARIA D’AMBROSIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI LACARIA, per delega in calce al

controricorso;

CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del Dirigente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, che la rappresenta

e difende, per delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato DARIO BORRUTO, per delega a margine del controricorso

e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FALLIMENTO 501 HOTEL S.P.A., in persona dei curatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio

dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato UMBERTO GRELLA, per delega in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 36/2015 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 18/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Presidente Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

uditi gli avvocati Umberto GRELLA, Francesco Alessandro MAGNI, Dario

BORRUTO e Giovanni LACARIA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

FRANCESCO MAURO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

I FATTI

Nel gennaio del 2010 la s.p.a. Hotel 501 convenne in giudizio dinanzi al Tribunale regionale per le acque pubbliche di Napoli la Provincia di Vibo Valentia e la Regione Calabria, per sentirle dichiarare responsabili dei danni cagionati alla struttura turistica “(OMISSIS)”, da essa attrice condotta in gestione, a seguito dell’esondazione del torrente (OMISSIS) del 3 luglio 2006, dovuta alla negligenza degli enti convenuti nell’attività di manutenzione, vigilanza, controllo e risanamento dell’alveo e degli argini, nonchè alla mancata messa in sicurezza del ponte di attraversamento sito nella parte terminale del corso d’acqua.

Il giudice di primo grado, all’esito della disposta CTU, premesso:

che l’alluvione era stata causata da un evento meteorico improvviso e particolarmente intenso;

– che la possibilità di ripetizione dell’evento fosse stimabile, sulla base dei dati pluviometrici, in un tempo superiore ai mille anni;

– che l’alto numero di frane e di fenomeni erosivi registratisi a monte del torrente avevano certamente contribuito ad aggravare la situazione del territorio;

– che gli inadempimenti ascritti agli enti territoriali competenti per la pulizia e per la manutenzione del sito avevano avuto secondo quanto dedotto dal consulente – rilevanza comunque marginale rispetto all’evento;

– che la carente manutenzione del torrente e la inadeguatezza dell’illuminazione del ponte, pur integrando gli estremi di una condotta riconducibile a responsabilità delle convenute ex art. 2051 c.c., non avevano comunque assunto un rilievo concausale rispetto all’evento;

– che l’alluvione si sarebbe comunque verificata a cagione dell’assoluta eccezionalità delle piogge, tale da integrare gli estremi della una vera e propria calamità naturale avente efficacia etiologica di per sè sufficiente a determinare l’inondazione ed i danni ad essa conseguenti, respinse la domanda.

La sentenza fu impugnata dalla società attrice dinanzi al Tribunale Superiore delle acque pubbliche.

Il gravame fu rigettato, con assorbimento delle impugnazioni incidentali condizionate degli enti territoriali convenuti.

Il giudice d’appello osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:

1) che la verifica pluviometrica era stata correttamente effettuata dal CTU in rapporto alle precipitazioni avvenute in una zona rientrante nel medesimo bacino idrografico del torrente (OMISSIS) e non sulla base dei rilievi compiuti in un territorio nel quale le piogge non avevano inciso sulla portata del corso d’acqua;

2) che l’affermazione di una concorrente responsabilità dei convenuti ex art. 2051 c.c. era preclusa dall’ipotesi, quale quella di specie, del caso fortuito, caratterizzato dalla oggettiva imprevedibilità e dalla irrimediabile inevitabilità, tale da rendere del tutto ultroneo l’esame della condotta del custode;

3) che l’onere di provare la rilevanza della condotta del custode, sub specie dell’aggravamento delle conseguenze e di una minor nocività dell’evento, una volta accertato il caso fortuito, non era stato in alcun modo assolto dall’appellante – onde l’inammissibilità della domanda istruttoria di rinnovo della CTU.

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dal fallimento della società 501 Hotel con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi di gravame e illustrato da memoria.

Resistono La Provincia di Vibo Valentia, la Regione Calabria e la Carige (poi Amissima s.p.a., chiamata in garanzia nel corso del processo di merito) con controricorso, le prime due resistenti impugnando a loro volta la pronuncia con ricorso incidentale condizionato (cui resiste con controricorso il fallimento), ed illustrato da memoria.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è manifestamente infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e al R.D n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) quanto al punto 4.1 della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2043,2051,2697 e 2727 ss. c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e al R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) quanto ai punti 4.2. e 4.3. della sentenza impugnata. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2043,2051,2697 e 2727 ss. c.c., nonchè dell’art. 191 ss. c.p.c. come richiamati dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 208 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e al R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b) quanto ai punti 4.4 della sentenza impugnata.

I motivi possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca e logica connessione.

Nessuna delle censure mosse con essi alla sentenza impugnata coglie nel segno.

Vengono, difatti, riproposte dinanzi a questa Corte le medesime doglianze rappresentate al Tribunale superiore delle acque, e da questo attentamente vagliate, correttamente scrutinate, motivatamente disattese con ampie ed esaustive argomentazioni, scevre da vizi logico giuridici, che questo collegio interamente condivide.

Il Tribunale Superiore delle acque, in attuazione del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative.

I motivi di censura sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello descritto in narrativa, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Per altro verso, il ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale, in particolare, tanto sotto l’aspetto della predicabilità del caso fortuito, quanto sotto quello della inutilità dell’esperimento di una nuova CTU) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

La disciplina delle spese segue il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in favore di ciascuna delle parti costituite, che si liquidano in Euro 7200 ciascuna, di cui 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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