Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24296 del 29/11/2016

Cassazione civile sez. I, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.a.s. e del socio accomandatario S.G., in

persona dei curatore fall. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Maria

Giuseppina Salaris, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Francesca

Cabras in Roma, via Sacconi n. 19, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrenti –

V.C. e V.S., rappr. e dif. dall’avv.

Francesco Iacovino, elett. dom. presso lo studio di questi in Roma,

via Salaria n. 280, come da procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Cagliari, sezione distaccata

Sassari 4.3.2010, n. 141/2010, RG 491/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 6 ottobre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

uditi gli avvocati I. Leonino per il ricorrente e F. Iacovino per i

controricorrenti;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

Cardino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IL PROCESSO

Il (OMISSIS) s.a.s. e del socio accomandatario S.G. impugna la sentenza App. Cagliari, sez. distacc. Sassari 4.3.2010 n. 141/2010 con cui, in accoglimento dell’appello di V.C. e V.S. proposto avverso la sentenza Trib. Tempio Pausania 11.9.2007, veniva rigettata la domanda della procedura attrice volta a conseguire la dichiarazione di revoca della compravendita immobiliare del (OMISSIS) intercorsa tra gli appellanti e la fallita società. Rilevò la corte che, premessa la natura dell’azione siccome di revocatoria ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 1, nel testo anteriore alla riforma del 2006 e con oggetto la compravendita di immobile conclusa a prezzo indicato come di notevole sproporzione per difetto rispetto a quello reale, dovesse andare accolta la censura su tale ultimo punto: dall’istruttoria era invero emersa la ragionevolezza di un valore al metro quadro pari a circa 2.500.000 Lire, anzichè i 4 milioni Lire della perizia bancaria, funzionale al mero ottenimento del mutuo, mentre ogni aumento successivo dei prezzi in zona, per quanto di destinazione turistica ma non coincidente con altre località più esclusive della Costa Smeralda, era da imputarsi al passaggio all’euro. Da tali risultanze, riteneva la corte che non sussistesse quella evidente e significativa eccedenza, nella misura di almeno un quarto, connotante il fondamento dell’azione e con un calcolo condotto sul preteso valore maggiore, nella specie non ridotto della citata misura in sede di concreto negozio di vendita, posto che il prezzo finale, pari a 207 milioni Lire non valicava la soglia inferiore al 75% del valore emerso nelle perizie e oscillante tra i 259 e i 269 milioni Lire.

Ma secondo la sentenza ad identico risultato doveva pervenirsi anche applicando il diverso criterio di calcolo – meno favorevole per gli appellanti – cioè ricostruendo la sproporzione partendo dal prezzo finale (207 milioni) e addizionando ad esso la differenza del 25%, pari a 51,750 milioni Lire, rispetto al valore reale. Infatti, ad un valore reale appropriato si era giunti a seguito di CTU integrativa che aveva segnalato alcune addizioni o migliorie quali apportate dagli appellanti, dunque estranee alla ricostruzione virtuale e retrodatata del più probabile prezzo di mercato all’epoca del rogito, anche tenendo conto di un coefficiente di calcolo della superficie commerciale delle verande che permetteva al collegio di abbattere la esigua eccedenza pur emersa quanto al citato 25% e pari a sole 425.000 Lire, dunque riconducendo il prezzo a Lire 256.975.000.

Il ricorso è affidato a due motivi, cui resistono con controricorso i V.. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 1, avendo erroneamente la corte collocato in un parametro rigido il tetto della sproporzione fra le prestazioni rispettivamente date dalla fallita e da questa ricevute, cedendo poi alle tesi degli appellanti, sul piano motivazionale, anche per quanto concerne la prova della simulazione relativa per testimoni e conoscenza dello stato d’insolvenza, nonostante per tali aspetti non vi sia stato specifico accoglimento dell’impugnazione.

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte in punto di indagine sull’entità dei valori e sulle modalità di verifica della rispettiva congruità.

1. Il primo motivo è inammissibile nei suoi plurimi profili. Va invero dichiarata la inappropriatezza della censura ove rivolge critiche ad una parte della motivazione della sentenza asseritamente dispiegata sull’elemento soggettivo dell’azione e la prova della simulazione del prezzo di vendita, risultando invece in modo espresso che la corte d’appello ha affrontato e deciso l’impugnazione all’altezza della sola assorbente questione della sproporzione di valori. Ne consegue l’inammissibilità di una censura in sede di legittimità ad una parte della sentenza di merito in realtà non esprimente alcun rapporto esplicito ed evidente con il suo dispositivo.

L’inammissibilità, per altro profilo, concerne comunque il mezzo prescelto, avendo in realtà il ricorrente sottoposto a censura non un principio di diritto mal applicato o diverso da quello seguito in sentenza, bensì la mera motivazione di essa. A tale stregua, la pronuncia si è correttamente attenuta al principio, che qui va ribadito, per cui la valutazione sulla “notevole sproporzione” tra le prestazioni eseguite e le obbligazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso, necessaria per la dichiarazione di inefficacia del negozio ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 1), (nella versione anteriore alla modifica di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, applicabile “ratione temporis”), deve essere effettuata “ex ante”, ossia al momento della conclusione del contratto, dovendosi prescindere da una misura fissa o parametro da cui desumere il depauperamento patrimoniale del debitore (analoga alla lesione “ultra dimidium” propria della rescissione), poichè è sufficiente, per la sua configurabilità, che tale depauperamento sia consistente. Il relativo giudizio costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cass. 13881/2015).

2. Il secondo motivo, condotto all’altezza del vizio di motivazione, è inammissibile. Per le stesse ragioni esplicitate nell’arresto sopra citato, va ripetuto che l’accertamento del requisito oggettivo della “notevole sproporzione tra le prestazioni”, di cui alla L.Fall., art. 67, comma 2, costituisce un apprezzamento di fatto del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se logicamente e congruamente motivato (Cass. 9142/2007, 14/1998). Nella vicenda la corte d’appello ha condotto un’analitica indagine sui margini di scostamento delle prestazioni ricevute dalla fallita (il prezzo dell’immobile) rispetto al valore della prestazione da essa resa ai terzi (la cessione della relativa proprietà) pervenendo, anche mediante l’utilizzo di più criteri, al convincimento dell’insussistenza di quell’alterazione così grave dell’equilibrio economico dello scambio idonea a fondare l’ipotesi di inefficacia dell’atto. Ed il ricorso mira manifestamente a sovvertire non la regola di giudizio applicata (il criterio della notevole sproporzione) bensì l’esito cui quella indagine è pervenuta, chiedendo al giudice di legittimità una inammissibile sostituzione nell’attività di apprezzamento del fatto rimessa in via esclusiva al giudice del merito.

Il ricorso pertanto è inammissibile, con pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità secondo le regole della soccombenza e come meglio liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore del controricorrente in Euro 7.200 (di cui 200 per esborsi), oltre al 15% forfettario sul compenso e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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