Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24294 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 09/09/2021), n.24294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23575-2020 proposto da:

Y.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE FAZIO;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA di (OMISSIS);

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 89/2020 del GIUDICE DI PACE di CAMPOBASSO,

depositata il 04/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Campobasso, con ordinanza n. 89/2020, depositata in data 4/9/2020, ha respinto l’impugnazione di Y.A., cittadino della Costa d’Avorio, del 21/8/2020, avverso il decreto di espulsione n. (OMISSIS) emesso dal Prefetto di Campobasso il 7/8/2020, notificato in pari data, rilevando che: a) non sussisteva la causa ostativa rappresentata dalla domanda di emersione del lavoro irregolare presentata, ai sensi del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, conv. con modificazioni dalla L. n. 77 del 2020, dallo straniero, prima dell’emanazione del decreto di espulsione, in data 6/8/2020, sia perché il medesimo non era in possesso, come previsto “dal D.L. n. 34 del 2020, comma 1” del permesso di soggiorno, revocatogli dalla Questura con provvedimento del 24/1/2020, notificato il 7/8/2020, sia perché la domanda era tardiva, dovendo essere presentata entro il 15/7/2020; b) la domanda di riconoscimento della protezione internazionale era stata rigettata dal Tribunale di Campobasso, con provvedimento del 31/10/2019, non impugnato; c) il provvedimento impugnato era legittimo e motivato, in difetto dei presupposi di cui all’art. 19 T.U.I. e sussistendo pericolo di fuga.

Avverso la suddetta pronuncia, Y.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 18/9/2020, affidato a tre motivi, nei confronti della Prefettura di Campobasso (che non svolge difese).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’incompetenza per materia, ex art. 38 c.p.c., del Giudice di Pace a pronunciarsi sui requisiti in possesso del ricorrente per la valida presentazione di una domanda di emersione del lavoro irregolare, spettante alla Commissione preposta, evidenziando che, in ogni caso, il giudizio espresso è erroneo perché i requisiti previsti dall’art. 203, comma 1, in esame si riferiscono al datore di lavoro e non al lavoratore, anche perché la normativa è proprio volta a regolarizzare le posizioni lavorative di cittadini che risultino irregolari sul territorio nazionale al momento della presentazione della domanda; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, comma 17, in punto di asserita presentazione della domanda fuori termine, non avendo il Giudice di Pace tenuto conto della proroga del termine disposta sino al 15/8/2020, ed il ricorrente conclude nel senso che “nelle more del procedimento” di emersione del lavoro irregolare è prevista dall’art. 103, comma 17, della normativa suddetta una causa di sospensione delle espulsioni che cessa ove alcuna domanda di regolarizzazione sia stata presentata entro il termine di legge ovvero in caso di rigetto/inammissibilità della domanda; infine, con il terzo motivo, si lamenta la mancanza di motivazione sugli altri elementi di doglianza, nel merito della misura espulsiva.

2. Le prime due censure sono fondate.

Ai sensi del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, comma 1, sono legittimati a presentare la domanda i datori di lavoro di cittadinanza italiana, cittadini di uno Stato UE oppure stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. In via interpretativa il Ministero dell’Interno ha ritenuto legittimati anche i cittadini stranieri non Europei titolari di carta di soggiorno per familiare di cittadino Europeo (o italiano), oppure in attesa di tale carta di soggiorno per averla richiesta.

In relazione, invece, alle autodichiarazioni del lavoratore, presentate per le medesime finalità di cui al comma 1, ai sensi del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, comma 2, i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, possono richiedere “un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di mesi sei dalla presentazione dell’istanza”; ai fini della domanda di regolarizzazione, gli stranieri devono essere presenti nel territorio nazionale alla data dell’8/3/2020, senza essersene allontanati successivamente, e devono avere svolto attività lavorativa in determinati settori antecedentemente al 31/10/2019.

Ai sensi del testo definitivo, comma 5, coordinato, con modifiche, per effetto L. n. 77 del 2020, le istanze di cui ai commi 1 e 2 sono presentate dal 1 giugno 2020 al 15 agosto 2020; e’, invero, intervenuta una proroga del termine originario del 15/7/2020, già per effetto del D.L. 16 giugno 2020, n. 52, art. 3.

Nella specie, la domanda di regolarizzazione risulta, dallo stesso provvedimento impugnato, essere stata presentata il 6/8/2020, quindi entro il termine di legge, e prima della notifica del decreto espulsivo, avvenuta il 7/8/2020.

Il comma 17 così recita: “17. Nelle more della definizione dei procedimenti di cui al presente articolo, lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi previsti al comma 10. Nei casi di cui al comma 1, la sottoscrizione del contratto di soggiorno congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione di cui al comma 15 e il rilascio del permesso di soggiorno comportano, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 11. Nel caso di istanza di emersione riferita a lavoratori italiani o a cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, la relativa presentazione ai sensi del comma 5, lett. a) comporta l’estinzione dei reati e degli illeciti di cui al comma 11, lett. a). Nei casi di cui al comma 2, l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 11 consegue esclusivamente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro”. Il comma 10 prevede che non possono essere ammessi alla procedura di regolarizzazione i cittadini stranieri già destinatari di un provvedimento di espulsione o segnalati ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato o condannati anche con sentenza non definitiva per alcuni reati o considerati pericolosi. Questa Corte (Cass. 6999/2004; in termini, Cass. 7668/2005, Cass. 3840/2006 e Cass. 5254/2013), in relazione a pregressa normativa, analoga, ha già chiarito che “in tema di espulsione amministrativa dello straniero, in presenza della prospettazione, da parte dell’espulso ricorrente avverso il decreto del prefetto, della pendenza della procedura di emersione di lavoro irregolare, al giudice spetta solo accertare la data e la certezza dell’inoltro della dichiarazione prevista dal D.L. 9 settembre 2002, n. 195, art. 1, convertito in L. 9 ottobre 2002, n. 222, e non anche di compiere una prognosi sull’esito della domanda di sanatoria, del tutto estranea alla sua competenza. A norma del D.L. n. 195 del 2002, art. 2, comma 1, – la cui “ratio” è di impedire che siano drasticamente allontanati lavoratori per i quali, alla luce del sole, sia stata richiesta la sanatoria -, dopo la presentazione della dichiarazione non può essere legittimamente disposta l’espulsione del lavoratore straniero “in emersione”, salvo che risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato, fino alla conclusione della procedura; qualora, invece, la domanda sia posteriore al decreto del prefetto, non sussiste impedimento all’esercizio del potere espulsivo, restando tuttavia esposto il provvedimento al rischio di una revoca “ex tunc”, quale effetto dell’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 2, comma 2″.

Quindi, fino alla conclusione della procedura di legalizzazione del lavoro subordinato irregolare prevista dall’art. 103 ed alla notifica del diniego della domanda di regolarizzazione, non possono essere adottati nei confronti dei lavoratori stranieri che hanno presentato la relativa domanda, provvedimenti di allontanamento dallo Stato, salvo l’allontanamento per motivi di ordine pubblico e di tutela della sicurezza dello Stato.

Nella specie, il Giudice di pace, da un lato, con riguardo alla prima ratio decidendi (oggetto del primo motivo di ricorso) ha, erroneamente, ritenuto che l’art. 103, comma 1, in esame si riferisse al lavoratore, anziché al datore di lavoro che presenti l’istanza di emersione del lavoro irregolare; in reazione poi alla seconda ratio, attinente all’asserita presentazione da parte dello straniero lavoratore di domanda tardiva, il Giudice di Pace doveva esclusivamente verificare la data e la certezza dell’inoltro della domanda di regolarizzazione del lavoro, ai fini della verifica, in pendenza della relativa procedura, di un’ ipotesi di inespellibilità, ai sensi dell’art. 103, comma 17 cit.; nella specie, l’inoltro era avvenuto nel termine, prorogato, di legge ed era quindi tempestivo.

Deve essere pertanto ribadito, anche in relazione alla nuova normativa, che, in tema di espulsione amministrativa dello straniero, laddove il ricorrente, nell’impugnazione del provvedimento espulsivo, prospetti la pendenza della procedura di emersione di lavoro irregolare, ai sensi del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, convertito, con modifiche, con la L. n. 77 del 2020, al giudice spetta solo accertare la data e la certezza dell’inoltro della dichiarazione prevista e non anche di compiere una prognosi sull’esito della domanda di sanatoria, del tutto estranea alla sua competenza, e, per effetto del D.L. n. 34 del 2020, art. 103, comma 17, dopo la presentazione della dichiarazione, non può essere legittimamente disposta l’espulsione del lavoratore straniero “in emersione”, salvo che lo stesso risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato o ricorrano le condizioni descritte alla stessa disposizione, comma 10, fino alla conclusione della procedura.

3. Resta assorbito l’ulteriore motivo di nullità svolto nel ricorso.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso (primi due motivi, assorbito il terzo), va cassata l’ordinanza impugnata e, decidendo nel merito, deve essere annullato il provvedimento di espulsione.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Non deve, in ogni caso, farsi applicazione del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, essendo il processo esente dall’obbligo di pagamento del contributo.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa l’ordinanza impugnata e, decidendo nel merito, annulla il provvedimento di espulsione; condanna l’amministrazione intimata al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, a titolo di compensi, per il primo grado di giudizio, ed in Euro 2.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, per quello di legittimità, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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