Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24293 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 09/09/2021), n.24293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16184-2020 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato NICOLETTA PELINGA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso ordinanza n. cronol. 2026/2020 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositata il 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con ordinanza n. 2026/2020, depositata il 20/2/2020, ha respinto la richiesta di M.V., cittadino nigeriano, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici hanno sostenuto che: la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, temendo la vendetta dei famigliari di un suo amico, omosessuale, che era morto a seguito di una colluttazione violenta, originata dal rifiuto opposto da esso richiedente ad un approccio sessuale dell’amico) non era credibile, perché

generica ed incoerente, e non integrava quindi né i presupposi per il riconoscimento dello status di rifugiato, i difetto di atti persecutori allegati, né un pericolo di danno grave ai fini della richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b); con riferimento ai presupposti di tutela di cui alla stessa legge, lett. c), la Nigeria non era interessata da violenza indiscriminata, come emergeva dai Report Human Rights 2017, Easo 2017, Africa Confidential ed Africa Intelligence; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero né rilevando una situazione di particolare integrazione in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, M.V. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 “(mancato riconoscimento dello status di rifugiato)”, deducendo la ricorrenza dei presupposti stante gli atti persecutori, anche solo in senso potenziale, allegati (sia in termini di violenza fisica sia in riferimento ai possibili provvedimenti giudiziari cui lo stesso andrebbe incontro in caso di rientro forzoso nel Paese d’origine, “sproporzionati rispetto ad un caso di legittima difesa”) e dovendosi ritenere il proprio racconto del tutto credibile; con il secondo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa in materia di protezione sussidiaria, stante l’incapacità “conclamata” delle Autorità statali nigeriane a garantire ai propri cittadini i primari diritti fondamentali della persona; infine, con il terzo motivo, si deucia violazione e falsa applicazione della normativa ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ordine al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Le prime due censure sono inammissibili.

Il Tribunale ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente, sia la situazione del Paese d’origine.

Quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicché anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti; nel caso di specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, ha ritenuto che i molteplici aspetti di genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni del migrante pregiudicassero l’accoglimento della domanda di protezione internazionale presentata e, in questo modo, ha attribuito alla inverosimiglianza del racconto carattere determinante.

Quanto alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice, vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicché “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicché solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio, confermandosi, con adeguata motivazione, il giudizio di inattendibilità (a fronte di un racconto generico e stereotipato) già espresso in primo grado.

3. La terza censura è del pari inammissibile.

Il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore (prima della Novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018), cosicché essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio:

non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, “perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

In conclusione, la sproporzione tra i due contesti di vita non possiede di per sé alcun rilievo, salvo emerga che essa ha determinato specifiche ricadute individuali, distinte da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze nn. 29459 e 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

In definitiva, il carattere “aperto” dei motivi di accoglienza tutelati con la protezione umanitaria non fa venir meno la necessità dell’effettivo riscontro di una situazione di vulnerabilità che non può non partire dalla situazione del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.

Ora, nel ricorso, si deduce, genericamente, che la situazione del Paese d’origine è idonea a determinare la privazione dei diritti fondamentali in relazione anche ai problemi di sicurezza interna ed alla povertà estrema della popolazione.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

 

 

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