Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24293 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 03/11/2020), n.24293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6722-2019 proposto da:

IMMOBILIARE M. TRE DI M.G. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

ANGELO EMO 106, presso lo studio dell’avvocato FRANCO CHIAPPARELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA M., giusta

procura a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CONEGLIANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO ESPOSITO, che lo rappresenta e difende, giusta

procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2018 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 19/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MOSELE che si riporta agli scritti

difensivi;

udito per il controricorrente l’Avvocato CURATELLI per delega

dell’Avvocato ESPOSITO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 865/2/18, depositata il 19 luglio 2018, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello proposto da Immobiliare M. Tre S.a.s. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva parzialmente accolto l’impugnazione di n. 5 avvisi di accertamento emessi dal Comune di Conegliano, ai fini ICI e IMU, relativamente ai periodi di imposta dal 2010 al 2014, rideterminando il valore di (parte dei) terreni edificabili sottoposti a tassazione.

1.1 – A fondamento del decisum il giudice del gravame ha rilevato che:

– ai fini della determinazione della base imponibile (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5), la valutazione delle aree edificabili, – costituite da terreni ricadenti nelle zone di mantenimento e filtro, (OMISSIS), e di completamento, (OMISSIS) – aveva tenuto conto “dell’ubicazione, degli oneri diretti ed indiretti, dei prezzi medi rilevati nel mercato e della perizia di stima”, mentre la cubatura edificabile era stata desunta dai “dati condivisi risultanti dalle operazioni peritali” condotte in detta perizia di stima (col concorso di tecnico “nominato dalla contribuente”);

– alla perizia di stima erano stati allegati “5 atti di compravendita e 2 perizie asseverate stilate da professionisti”, – atti, questi, cui erano “stati applicati dei coefficienti correttivi al fine di ponderarne i relativi valori a quello dell’area” in contestazione, – e tutti “i valori presi in considerazione, opportunamente adeguati” esponevano, quanto alla zona (OMISSIS), una “media di 227,00 Euro al mc.”, convertita in Euro 249,70 al mq.;

– relativamente alla zona di mantenimento (OMISSIS), la determinazione di un valore di Euro 4,69 al mq. conseguiva dalla ridetta perizia di stima, e dai valori considerati nel regolamento comunale, questi abbattuti del 50% in considerazione della circostanza che “la cubatura prevista (mc 324,96) non è sfruttabile in loco”;

– doveva, dunque, convenirsi con le conclusioni raggiunte dal giudice di prime cure, – che aveva rideterminato in Euro 160,00 al mc il valore dell’area ricadente in zona di completamento (OMISSIS), – valore, questo, che teneva “conto della crisi in atto”, e considerato che la stessa appellante, nel 2014, aveva “inserito in internet un annunzio di vendita relativo ad un lotto di terreno, sempre ubicato in zona (OMISSIS), che riportava prezzi al mc varianti da Euro 290,00 ad Euro 320,00”;

– destituite di fondamento rimanevano, poi, le residue questioni sollevate dall’appellante, in quanto:

– l’avviso di accertamento era stato sottoscritto dal competente dirigente comunale e detta sottoscrizione doveva riferirsi (anche) alle schede tecniche allegate;

– diversamente da quanto dedotto dalla parte, l’avviso di accertamento recava tutte le “indicazioni utili per ricorrere o per usufruire della mediazione”;

– il Sindaco si era ritualmente costituito in giudizio, previa delibera di autorizzazione inerente il ricorso promosso dalla Immobiliare M. Tre, nè diversamente rilevava che l’atto di costituzione facesse riferimento alla persona di ” M.G…. stante il tenore dell’atto”.

2. – Immobiliare M. Tre S.a.s. di M.G. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sei motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Conegliano.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, – che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, espone la denuncia di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, – la parte deduce una “errata valutazione imponibile ICI” assumendo che:

– il valore dei terreni in questione, – rimasto immutato “per otto anni consecutivi”, – nei fatti si era risolto in un “valore assimilato al “catastale”, in palese violazione” del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5;

– il valore di Euro 160,00 al mc., per i terreni ricadenti in zona (OMISSIS), era stato ottenuto previa riduzione del 30% del valore oggetto di perizia di stima “senza alcuna espressa motivazione logico-giuridica, in violazione anche della L. n. 212 del 2000, art. 7”;

– il giudice del gravame non aveva motivato in alcun modo il recepimento del valore imponibile di Euro 117,28 al mc del terreno ricadente in zona (OMISSIS), tenuto conto che “costituisce nozione di comune esperienza che il prezzo degli immobili è espresso al mq.”, così come del resto statuito dalla stessa Commissione tributaria regionale del Veneto in distinto contenzioso (sentenza n. 951/22/15), – così che il valore espresso al mq doveva essere diviso per 3 ai fini della sua conversione in valore al mc, – nè aveva dato conto delle ragioni della mancata applicazione di “tutti i diversi correttivi in diminuzione previste nelle Delib. comunali n. 54-310/2010… e Delib. n. 69-403/2011” (con conseguimento di un valore di Euro 33,95 al mc qualora applicata la riduzione del 50% prevista dalla Delib. n. 54/310/2010);

– in alcun modo poteva riferirsi ad essa esponente l’annuncio di vendita, pubblicato in internet, così come reso esplicito dalla stessa documentazione prodotta da controparte (allegato n. 24).

Col secondo motivo, anch’esso articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, e, così, censura il rilievo svolto dalla gravata sentenza, secondo la quale essa esponente “avrebbe potuto, dal 2004, presentare un progetto edilizio che sarebbe stato, senza dubbio, approvato se conforme alle regole previste, dato che l’area è inserita nel PRG come area edificabile, ma la stessa ha privilegiato, invece, coltivare un contenzioso non ancora esaurito”, – evocando un precedente rigetto, da parte del Comune di Conegliano, di un progetto presentato nel 2004, la ricorrenza del vincolo costituito dalle regole di comparto (L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, art. 21), come accertato dallo stesso Giudice amministrativo, l’edificabilità dell’area solo in minima parte e la stessa richiesta dell’Ente locale di cessione gratuita per mq. 2.440, in violazione delle NTA e “senza alcuna indicazione della destinazione pubblica impressa”.

Col terzo motivo, – che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, espone la denuncia di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, – la ricorrente deduce che, contrariamente a quanto statuito dalla gravata sentenza, il Sindaco, – autorizzato a stare in giudizio a fronte dei ricorsi proposti da essa esponente, – si era costituito con controdeduzioni ove si faceva riferimento, nelle premesse, al ricorso presentato “da M.G., nata a (OMISSIS)… cf…” e, oltretutto, aveva rilasciato delega ad un dipendente comunale “per intervenire nel ricorso proposto da M.G.” (che, per vero, non aveva proposto alcun ricorso); rilievi, questi, alla cui stregua emergeva l’erroneità dell’accertamento operato dal giudice del gravame, quanto alla regolare costituzione del Comune di Conegliano, non potendosi confondere una società (quella contribuente) con una persona fisica.

Il quarto motivo, articolato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, espone la denuncia di insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi in relazione alla rilevata esclusione della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, assumendosi che, nell’avviso di accertamento, e diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, non erano stati indicati “i termini per ricorrere”.

Anche il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, reca la denuncia di insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi, sul rilievo che gli avvisi di accertamento impugnati difettavano di motivazione in quanto le schede tecniche, che vi risultavano in allegato (schede che, peraltro, non erano indicate quale parte integrante e sostanziale dell’atto di accertamento), non erano state sottoscritte dal competente dirigente comunale (la cui sottoscrizione dell’avviso di accertamento non poteva estendersi a quelle stesse schede).

Col sesto motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia omessa motivazione quanto alla statuizione sulle spese del giudizio di impugnazione deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame non avrebbe potuto pronunciare sulle spese sostenute dal Comune, – che si era costituito con propri funzionari, in difetto di una (corrispondente) nota spese (che, difatti, il Comune non aveva presentato).

2. – I primi due motivi di ricorso, – che vanno congiuntamente trattati in quanto afferiscono a distinti profili della medesima quaestio facti involgente il valore dei terreni oggetto di imposizione, – sono inammissibili.

3. – Rileva, innanzitutto, la Corte che le censure in trattazione risultano articolate, – con una indistinta devoluzione al giudice di legittimità di una revisione critica del ragionamento probatorio sotteso alla gravata sentenza, avuto riguardo alla selezione, ed alla valutazione, delle fonti di prova poste a fondamento della decisione, ed ai relativi contenuti dimostrativi, – senz’alcuna considerazione dei limiti di ammissibilità del controllo, consentito in questa sede, di un siffatto ragionamento probatorio, limiti conseguenti alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, (applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata in data 19 luglio 2018; citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3).

Come, difatti, rilevato dalla Corte, “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza ” della motivazione.”; e si è, in particolare, rilevato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che lo stesso omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

3.1 – Rileva, ad ogni modo, la Corte che il primo motivo nè identifica il fatto decisivo del quale sarebbe stato omesso l’esame nè, per vero, specificamente censura i plurimi profili della valutazione probatoria posta a fondamento del decisum; motivo, questo, che, – giustappunto senza confrontarsi con gli accertamenti operati dal giudice del gravame, e con le conseguenti specifiche valutazioni probatorie che ne sono state tratte, – si risolve, come anticipato, in una indistinta riproposizione di argomenti probatori che, così, vengono sottoposti al giudizio di legittimità, – con una sostanziale richiesta di una rivalutazione del merito, – sotto il profilo della (mera) difformità del loro valore, e significato dimostrativo, rispetto a quelli attribuitigli dal giudice di merito.

3.2 – In relazione, poi, al secondo motivo, osserva la Corte che il rilievo svolto dalla gravata sentenza, – quanto alla rilevata possibilità di edificare ed all’opzione per il contenzioso operata dall’impresa, – si colloca, in tutta evidenza, su di un piano eccentrico rispetto alla ratio decidendi, – che, altrove specificamente argomentata dal giudice del gravame, si incentra sul valore venale in comune commercio dei terreni oggetto di imposizione, – e, così, si risolve in un argomentazione svolta in termini incidentali, e ad abundantiam; laddove, dunque, debbono ritenersi inammissibili per difetto di interesse (in quanto non hanno svolto alcuna influenza sulla statuizione di rigetto) le censure incentrate su argomenti utilizzati a titolo (meramente) rafforzativo o ad abundantiam (cfr., ex plurimis, Cass., 13 novembre 2019, n. 29374; Cass., 10 aprile 2018, n. 8755; Cass., 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass., 22 ottobre 2014, n. 22380; Cass., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., 5 giugno 2007, n. 13068; Cass., 23 novembre 2005, n. 24591; Cass., 4 agosto 2000, n. 10241; Cass., 16 gennaio 1996, n. 301).

4. – Il terzo motivo, – che, al pari dei residui motivi, va riqualificato (v. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931), avuto riguardo al suo effettivo contenuto deduttivo, – è destituito di fondamento.

In disparte l’erronea formulazione del motivo, – che evoca un vizio di motivazione e che, in conseguenza di detta impropria formulazione della censura, omette di indicare la norma processuale (in tesi) violata, ed i conseguenti effetti, – rileva, ad ogni modo, la Corte che, – inequivoca, tra le parti, la sussistenza di un’autorizzazione alla lite che faceva riferimento (esattamente) ai ricorsi proposti dalla parte, odierna ricorrente, – il giudice del gravame ha (ben) rilevato che le controdeduzioni dovevano riferirsi (proprio) all’impugnazione proposta dalla società (e non, dunque, ad una persona fisica che, peraltro, nella fattispecie si identificava con la legale rappresentante di quella) avuto riguardo al “tenore dell’atto”. E detto accertamento, – che la ricorrente non censura specificamente evocando (solo) il contenuto letterale delle premesse dell’atto di controdeduzioni, – è coerente col rilievo che, – ai diversi fini che possono venire in considerazione, – l’atto processuale va interpretato tenendo conto del suo tenore complessivo (v., ex plurimis, Cass., 8 novembre 2019, n. 28811, la quale rimarca il “principio sovranazionale secondo cui nell’interpretazione non solo delle norme processuali, ma anche degli atti processuali, il giudice nazionale ha il dovere di preferire le interpretazioni tali da consentire una pronuncia sul merito, piuttosto che quelle tali da imporre una pronuncia in rito”).

5. – Anche i residui motivi di ricorso sono destituiti di fondamento.

5.1 – Il quarto motivo è, innanzitutto, articolato su di una formulazione apodittica della ricorrente che, all’accertamento operato dalla gravata sentenza, contrappone l’asserzione secondo la quale nell’atto impugnato non erano stati indicati “i termini per ricorrere”; e, come rilevato dalla Corte, difetta di specificità il ricorso per cassazione col quale la parte si limiti alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, così operando una mera contrapposizione del suo giudizio, e della sua valutazione, a quelli espressi dalla sentenza impugnata senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima (v. Cass., 24 settembre 2018, n. 22478; Cass., 31 agosto 2015, n. 17330; Cass., 11 gennaio 2005, n. 359; Cass., 14 novembre 2003, n. 17183; Cass., 25 agosto 2000, n. 11098).

Considera, peraltro, la Corte che la stessa ricorrente nemmeno dà conto del rilievo che, nella fattispecie, detta omessa indicazione avrebbe rivestito rispetto alla validità, ed efficacia, dell’avviso di accertamento, posto che, per un verso, non è in contestazione che i ricorsi introduttivi siano stati proposti con tempestiva impugnazione degli avvisi di accertamento e che, per il restante, secondo un consolidato principio di diritto, l’omessa indicazione del termine di impugnazione non inficia la validità dell’atto ma comporta, sul piano processuale, il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente rimessione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta (v., ex plurimis, Cass., 9 gennaio 2018, n. 301; Cass., 27 settembre 2011, n. 19675; Cass., 30 settembre 2011, n. 20024; Cass., 15 gennaio 2009, n. 880; v. altresì, in termini generali, Cass. Sez. U., 24 aprile 2019, n. 11219).

5.2 – Il quinto motivo, – che, al pari degli altri, è anch’esso impropriamente formulato, come si è premesso, in termini di difetto di motivazione, – non considera, innanzitutto, che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 4, nel prescrivere che l’avviso di accertamento sia sottoscritto da funzionario designato, affatto prevede (così come del resto la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162), che al difetto di sottoscrizione, – purchè certa (come nella fattispecie) la riferibilità dell’atto all’ente impositore, – consegua la nullità dell’atto. Laddove, nella fattispecie, per come accertato dal giudice del gravame (e non contestato dalla stessa ricorrente), l’avviso di accertamento risultava regolarmente sottoscritto dal competente dirigente comunale e detta sottoscrizione non poteva che riferirsi alle stesse schede tecniche allegate all’atto se è vero che (proprio) dai dati esposti dalle schede allegate venivano desunti i contenuti espressi dall’avviso di accertamento in termini di concreto esercizio del potere impositivo.

5.3 – Quanto, da ultimo, al sesto motivo, va rilevato che la ricorrente, – nell’evocare un precedente della Corte (Cass., 27 aprile 2016, n. 8413) riferito, però, al giudizio di opposizione previsto dalla L. n. 689 del 1981, (ora D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6), – non considera che nel processo tributario esiste specifica disposizione che correla l’applicazione della tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento degli onorari ivi previsti, alla fattispecie della difesa tecnica garantita da personale dipendente dell’Ente locale (v. già il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis, aggiunto dal D.L. 8 agosto 1996, n. 437, art. 12, comma 1, lett. b), conv. in L. 24 ottobre 1996, n. 556; v., ora, il citato art. 15, comma 2 sexies, come introdotto dal D.Lgs. n. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. f), n. 2).

6. – Le spese del giudizio di giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente nei cui confronti sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Conegliano, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.000,00, oltre rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi, del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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