Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24290 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, (ud. 26/05/2017, dep.16/10/2017),  n. 24290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15413-2015 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

BOSIO 2, presso lo studio dell’avvocato LORENZO GRISOSTOMI

TRAVAGLINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO GIACOMELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA PROVINCIALE SERVIZI SANITARI TRENTO, in persona del Direttore

Generale e legale rappresentante pro tempore dott. F.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO PISONI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 11/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2017 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo;

udito l’Avvocato COSTANZA SPAMPINATO per delega;

udito l’Avvocato CARLO ALBINI per delega;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento ha chiesto ed ottenuto, nei confronti di D.M., un decreto ingiuntivo a titolo di rivalsa dei costi delle le cure mediche prestate a tale Z.P., a seguito di un incidente sul lavoro imputabile all’ingiunto.

Il Tribunale di Trento, accogliendo l’opposizione proposta dal D., ha annullato il decreto ingiuntivo.

La Corte d’appello, adita dall’Ente, ha riformato la decisione di primo grado, rigettando l’opposizione del D..

Costui ricorre allegando tre motivi di censura, illustrati da successiva memoria.

L’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari resiste con controricorso, chiedendo la riunione del presente giudizio a quello n. 13649/2015, fissato sul ruolo della stessa udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va rigettata l’istanza di riunione del presente giudizio con quello n. 13649/2015. Infatti, sebbene le questioni di diritto siano ampiamente sovrapponibili, non ricorrono i presupposti per la riunione che, a mente dell’art. 335 c.p.c., è possibile solo quando più impugnazioni sono proposte avverso la medesima sentenza.

2.1 Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1916 e 2043 c.c., della L. 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e della L. 3 dicembre 1931, n. 1580, art. 1 in relazione alla qualifica di assicuratore sociale in capo all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS).

La questione – risolta in termini affermativi nella sentenza impugnata – è se sia ammissibile l’esercizio, da parte dell’Azienda sanitaria, dell’azione di rivalsa ex art. 1916 c.c. nei confronti degli autori degli illeciti che hanno cagionato la necessità di prestazioni mediche nei confronti degli assicurati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Poichè l’azione di rivalsa prevista dall’art. 1916 c.c. è riservata all’assicuratore, la soluzione del quesito innanzi prospettato richiede anzitutto che si proceda alla qualificazione del rapporto intercorrente fra il Servizio Sanitario Nazionale e i cittadini in termini di assicurazione sociale o di mera prestazione assistenziale.

2.2 La tesi che qualifica il SSN come assicurazione sociale è stata affermata in più occasioni – ancorchè in sede di riparto di giurisdizione – dalle Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 7267 del 13/07/1990, Rv. 468235; Sez. U, Sentenza n. 6480 del 29/11/1988, Rv. 460800). Venne osservato che la L. n. 833 del 1978, art. 63prevedeva, direttamente con il SSN, l’assicurazione obbligatoria contro le malattie dei cittadini non iscritti ad alcun ente mutualistico, previo pagamento all’INPS di un contributo annuo da determinarsi sulla base dei parametri fissati con decreto ministeriale (che tenevano conto delle variazioni previste nel costo medio pro-capite dell’anno precedente per le prestazioni sanitarie già erogate dal disciolto INAM). Ciò comportava l’insorgere di un rapporto previdenziale, caratterizzato da un vero e proprio diritto dell’assistito alle prestazioni sanitarie e dal correlativo diritto dell’Istituto a riscuotere il contributo.

Pertanto, in vigenza del sistema contributivo di finanziamento del SSN, agli enti gestori del servizio che avessero erogato prestazioni sanitarie in favore di vittime di lesioni derivanti da fatto illecito di terzi, spettava il diritto di surrogazione, ai sensi degli artt. 1916 e 1886 c.c., nei diritti delle vittime verso i terzi responsabili, attesa la natura assicurativa del rapporto tra detti enti e i cittadini utenti del servizio (Sez. 1, Sentenza n. 4460 del 26/03/2003, Rv. 561439).

In particolare, il diritto di rivalsa trovava fondamento nella L. 3 dicembre 1931, n. 1580, art. 1, commi 1 e 3, (Norme per la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali), disciplina che la giurisprudenza ha ritenuto non essere stata tacitamente abrogata dalla riforma sanitaria attuata con la L. n. 833 del 1978, istitutiva del SSN (Sez. 1, Sentenza n. 481 del 20/01/1998, Rv. 511752; Sez. 1, Sentenza n. 7989 del 01/10/1994, Rv. 487968).

Tuttavia, la riforma del ‘78, affermando il principio di gratuità delle prestazioni sanitarie rese dal SSN, aveva fortemente ridimensionato l’ambito operativo del diritto di rivalsa L. n. 1580 del 1931, ex art. 1 ristretto esclusivamente a quelle ipotesi, indubbiamente residuali, in cui la gratuità non sussistesse (per un’analitica ricognizione delle prestazioni sanitarie non gratuite si v. la già citata sentenza n. 4460/2003).

Inoltre, la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 38, comma 3, (modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 45) rinviava all’adozione di un regolamento ministeriale la disciplina organica del rimborso delle prestazioni erogate a favore dei cittadini a causa di incidenti stradali o di infortuni sul lavoro o malattie professionali.

2.3 Il quadro innanzi descritto – che, come s’è visto, pur conservando in linea di principio la regola della surrogazione, ne vedeva significativamente eroso l’effettivo ambito di applicazione – è radicalmente mutato con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 36 che ha abrogato il sistema contributivo di finanziamento del SSN.

Per effetto di tale riforma si è avuta la c.d. “fiscalizzazione” del finanziamento del Servizio Sanitario, attuata mediante la sostituzione dei menzionati contributi sociali di malattia con entrate di natura fiscale.

Sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione è univoca: al contributo dovuto al Servizio Sanitario Nazionale deve essere riconosciuta natura tributaria, desumibile dall’imposizione di un sacrificio economico attraverso un atto autoritativo ablatorio e dalla destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonchè dalla sua riconducibilità, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi. Infatti si tratta di una imposta che non trova giustificazione in un rapporto sinallagmatico tra la prestazione e il beneficio ricevuto dal singolo, sussistendo tale imposizione anche se l’interessato, che pure ha il potenziale diritto a ottenere l’assistenza sanitaria, non vi ricorre (Sez. U, Sentenza n. 2871 del 06/02/2009, Rv. 606586; Sez. U, Ordinanza n. 123 del 09/01/2007, Rv. 600673).

Si tratta di pronunce rese, ancora una volta, in sede di riparto di giurisdizione (ma v. pure Sez. L, Sentenza n. 20006 del 22/09/2010, Rv. 615283; Sez. 5, Sentenza n. 23800 del 22/12/2004, Rv. 578676), però dalle stesse – che nel dettaglio risentono delle diverse norme stratificatesi nel tempo – è possibile tratte l’univoco principio che il finanziamento del SSN non si basa più su un criterio di natura previdenziale, bensì fiscale.

La natura tributaria del contributo per le prestazioni del servizio sanitario nazionale è stata infine espressamente affermata dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, comma 2, (legge finanziaria 2002), sostitutivo del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 (disposizioni sul processo tributario).

2.4 Si pone, a questo punto, il quesito se il diritto di rivalsa previsto dall’art. 1916 c.c. per gli assicuratori possa tuttora estendersi e applicarsi alle Aziende sanitarie, il cui finanziamento non avviene più mediante una contribuzione di carattere previdenziale, ma tramite un’imposta fiscale (variamente denominata nel tempo, anche come “tassa sulla salute”).

La risposta affermativa formulata dalla Corte d’appello fa perno sul regime di “assicurazione obbligatoria” tuttora previsto dalla L. n. 833 del 1978, art. 63.

Di tale norma, però, si è occupata – sotto il diverso profilo dell’ammissibilità di un quesito referendario abrogativo – anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 43 del 2000. In proposito il Giudice delle leggi ha osservato:

“La disposizione (…) stabiliva una regola diretta ad attuare la transizione dal sistema mutualistico, basato su un regime di assicurazione per categorie, ad un sistema di sicurezza sociale per tutta la popolazione, attuato mediante il Servizio sanitario nazionale, sin dall’origine costituito da funzioni, strutture e servizi diretti a garantire a tutti i cittadini i livelli di protezione stabiliti dal piano sanitario. Tale transizione è ormai compiuta. Non si è più, dunque, in presenza di un rapporto assicurativo, sia pure obbligatorio, nè di prestazioni sanitarie dovute in ragione, se non in corrispettivo, di un contributo. Il sistema complessivo delineato dalla L. n. 833 del 1978, sul quale non incide il quesito referendario, è caratterizzato dalla universalità dell’assistenza, garantita dal Servizio sanitario nazionale a tutti i cittadini, il cui diritto deriva direttamente dalla legge, mentre l’iscrizione negli elenchi degli utenti (prevista dall’art. 19 stessa legge) costituisce solo un adempimento amministrativo per l’organizzazione delle prestazioni (sentenza n. 39 del 1997).

La non configurabilità, nel contesto del sistema legislativo, di un meccanismo assicurativo, il quale costituirebbe invece il presupposto dell’iniziativa referendaria, è ancor più accentuata dalla avvenuta abrogazione dei contributi per il Servizio sanitario nazionale, disposta contestualmente al finanziamento dello stesso Servizio mediante il gettito fiscale previsto dal decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che ha istituito l’imposta regionale sulle attività produttive (in particolare artt. 36, 38 e 39).

In definitiva all’eventuale soppressione della L. n. 833 del 1978, art. 63, comma 2 non conseguirebbe l’effetto abrogativo prefigurato, che si vorrebbe far consistere nella possibilità di uscire dal Servizio sanitario nazionale scegliendo una assicurazione privata”.

2.5 La condivisibile ricostruzione delle connotazioni strutturali e funzionali dell’attuale sistema del SSN rende evidente, in ultima battuta, che in capo alle Aziende sanitarie difetta la qualifica di assicurazione sociale (obbligatoria) che un tempo era invece loro riconoscibile. Tale mutato quadro normativo reca la conseguenza che non ricorrono i presupposti per l’applicazione diretta dell’art. 1916 c.c..

2.6 Nell’attuale regime normativo non è possibile basare l’azione di rivalsa dell’Azienda sanitaria neppure sul già citato L. 3 dicembre 1931, n. 1580, art. 1 che secondo giurisprudenza anche recente (Sez. 3, Sentenza n. 19642 del 18/09/2014, Rv. 632854) – troverebbe ancora residuale applicazione negli interventi socio-assistenziali non immediatamente e prevalentemente diretti alla tutela della salute del cittadino.

Tale disposizione, infatti, è stata abrogata dal D.L. 25 giugno 2008, n. 122.

2.7 Infine, va verificata anche d’ufficio, trattandosi di una questione di diritto – la possibilità di (ri)qualificare l’azione di rivalsa dell’Azienda sanitaria come azione surrogatoria, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3.

Anche tale soluzione risulta però impercorribile, in quanto non è possibile individuare l’oggetto della surrogazione.

Infatti, il danneggiato che ha ricevuto cure gratuite non ha titolo per chiederne il rimborso al danneggiante. Di conseguenza, non esiste un diritto in cui il SSN si possa surrogare. A tacere del fatto che – nell’ipotesi di specie – vi è disomogeneità fra la prestazione resa e il contenuto della pretesa fatta valere in via di surroga, in quanto il SSN renderebbe all’assistito una prestazione di servizi (sanitari), rivalendosi nei confronti del danneggiante per un credito pecuniario (il costo dei servizi sanitari).

2.8 In conclusione, l’azione di rivalsa esercitata dall’Azienda sanitaria nei confronti del ricorrente sprovvista di fondamento normativo. Essa, infatti, non trova appiglio nè nella L. 3 dicembre 1931, n. 1580, art. 1 non più vigente; nè nell’art. 1916 c.c., che si applica solo a vantaggio degli assicuratori, qualifica non più riconoscibile al SSN, specie dopo l’introduzione del principio di gratuità delle prestazioni sanitarie e la fiscalizzazione del relativo finanziamento; nè nell’art. 1203 c.c., n. 3, non ricorrendo i presupposti per l’azione surrogatoria ordinaria.

Il primo motivo deve essere dunque accolto.

3.1 Sempre nell’ambito del primo motivo, si deduce che l’APSS non avrebbe neppure azione exracontrattuale di risarcimento danni.

In realtà l’APSS aveva formulato, fin dall’origine, cumulativamente anche domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., come si ricava già dalla lettera di costituzione in mora che ha preceduto l’emissione dell’ingiunzione di pagamento ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639.

La Corte d’appello, attribuendo all’Azienda il diritto alla rivalsa previsto dall’art. 1916 c.c., ha dichiarato assorbito il motivo di impugnazione relativo alla possibilità di riconoscerle – in alternativa – il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale.

L’accoglimento del primo motivo, nella parte relativa alla dedotta violazione dell’art. 1916 c.c., determina, quindi, la “reviviscenza” della domanda subordinata formulata dalla APSS, non vagliata dai giudici di merito.

3.2 In parte qua il motivo è infondato.

La domanda risarcitoria formulata ai sensi dell’art. 2043 c.c. è infatti astrattamente fondata.

Com’è noto, l’autore di un fatto illecito da cui sia derivato a terzi un danno alla salute, ha l’obbligo di risarcire tutte le conseguenze dirette del fatto, compresa la refusione del costo delle eventuali cure mediche e dell’assistenza sanitaria (ex plurimis: Sez. 3, Sentenza n. 10616 del 26/06/2012, Rv. 624916; Sez. 3, Sentenza n. 712 del 19/01/2010, Rv. 611107; Sez. 3, Sentenza n. 5504 del 08/04/2003, Rv. 561970).

Il SSN è un sistema costituzionalizzato di tutela della salute collettiva, che assicura a qualsiasi infortunato le necessarie cure mediche e l’assistenza sanitaria, qualora quest’ultimo non ricorra a prestazioni sanitarie erogate in regime privatistico.

Consegue che nel perimetro delle conseguenze dirette – e quindi risarcibili – del fatto illecito rientrano anche le prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato e il loro relativo il costo. Si tratta, infatti, di un danno prevedibile (art. 1225 c.c.), giacchè il danneggiante non può non sapere che il danneggiato sarà curato (quantomeno) dal SSN, essendo quest’ultimo un sistema generalizzato di tutela della salute di qualsiasi infortunato.

Nel quadro così delineato non assume alcun rilievo la circostanza che il SSN eroghi al bisognevole le cure in regime di gratuità. Sebbene l’infortunato non debba sostenere alcun esborso, ciò non toglie, nè che le prestazioni medico-sanitarie rese abbiano un costo oggettivo, nè che di tale costo possa essere chiamato a rispondere, secondo la clausola generale della responsabilità aquiliana, il danneggiante. La gratuità delle prestazioni, infatti, è assicurata a chi ne ha si bisogno, non anche a chi, con la propria condotta illecita, abbia determinato la lesione alla salute di terzi che necessitano dell’intervento del SSN.

Consegue che i costi dell’assistenza medica e delle prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato devono essere risarcite dall’autore del fatto illecito, quali conseguenze dirette e prevedibili, al pari di come lo sarebbero le spese sostenute dal danneggiato per ricevere le cure necessarie in regime privatistico.

Non assume rilievo la circostanza che il danneggiato si sia rivolto, per ottenere la necessaria assistenza medico-sanitaria, a strutture private o pubbliche. Nel primo caso, il danneggiante dovrà rimborsare al danneggiato gli esborsi sostenuti; nell’altro, nonostante il danneggiato non abbia sostenuto alcun esborso, il danneggiante sarà comunque tenuto a rifondere il costo delle prestazioni mediche e dell’assistenza sanitaria, in favore – in tal caso – dell’Ente che le ha erogate. L’erogazione gratuita delle prestazioni medico-sanitarie in favore dell’infortunato, del malato o del ferito, infatti, non comporta l’irresponsabilità del danneggiante.

Viceversa, a ragionare diversamente si perverrebbe all’affermazione dell’assoluta irresponsabilità del danneggiante, che, “garantito” dalla gratuità delle prestazioni che il SSN renderà al danneggiato, si sottrarrebbe all’obbligo della refusione delle cure mediche e delle prestazioni sanitarie resesi necessarie quale conseguenza diretta del suo fatto illecito.

Ciò, chiaramente, non vale per le ipotesi in cui le prestazioni erogate dal SSN siano già altrimenti finanziate. Così avviene, in particolare, nel caso dei danneggiati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, per il cui finanziamento è previsto un contributo sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile, a norma del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 334 “Codice delle assicurazioni private” (tale modalità di finanziamento, peraltro, era già prevista dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 11-bis dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 38 e dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 89 oggi abrogati). Tale contributo espressamente dichiarato dalla legge come “sostitutivo delle azioni spettanti alle Regioni e agli altri enti che erogano prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale”.

Ovviamente, in tali ipotesi non vi è spazio neppure per il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. Da un lato, si pone l’evidente omnicomprensività della dicitura “sostitutivo delle azioni”, cioè di “tutte” le azioni; espressione più appropriata, per le ragioni illustrate nelle pagine precedenti, di quella che era contenuta nell’abrogato L. n. 499 del 1997, art. 38 (“Contributo assicurativo sostitutivo delle azioni di rivalsa”) e indicativa dell’intenzione di comprendere anche le azioni recuperatorie diverse da quella di rivalsa e quelle risarcitorie. Dall’altro, della responsabilità aquiliana difetta pure l’elemento del danno, poichè le prestazioni medico-sanitarie sono già compensate secondo il meccanismo del prelievo legale sui premi assicurativi innanzi descritto.

Occorre aggiungere che il menzionato L. n. 449 del 1997, art. 38 concerneva anche le prestazioni erogate da SSN a seguito di infortuni sul lavoro o malattie professionali e rinviava ad un emandando decreto ministeriale per la disciplina concernente il rimborso.

Tale disposizione, tuttavia, è stata abrogata e sostituita dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 89, comma 1, che ha limitato l’operatività, finanziamento attuato mediante un contributo sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile, alle sole prestazioni erogate ai cittadini coinvolti in incidenti di veicoli a motore o di natanti. Consegue che, a decorrere dal 10 gennaio 2001 (data di entrata in vigore della L. n. 388 del 2000), il contributo assicurativo “sostitutivo delle azioni” (originariamente previsto dalla L. n. 449 del 1997, art. 38) non riguarda più le prestazioni medico-sanitarie erogate dal SSN in caso di infortuni sul lavoro o di malattie professionali.

Pertanto, è possibile affermare che, in relazione alle prestazioni medico-sanitarie erogate gratuitamente dal SSN, si possono distinguere quattro ipotesi:

– malattia o danno alla salute non addebitabile a colpa o dolo di terzi: al SSN non è consentita alcuna rivalsa nei confronti del degente o di altri;

– danno da circolazione stradale e dei natanti: la legge esclude espressamente l’azione di rivalsa, poichè i costi delle prestazioni erogate a tale titolo vengono finanziati mediante un prelievo sulle polizze assicurative; in tali ipotesi al SSN non è consentita neppure l’azione extracontrattuale di risarcimento dei danni, in quanto si tratta di prestazioni già compensate mediante un contributo sostitutivo sui premi delle assicurazioni obbligatorie per la responsabilità civile;

– infortuni sul lavoro e malattie professionali: dal 10 gennaio 2001 il caso non è più regolato dalla legge, poichè la L. n. 449 del 1997, art. 38 (che, a sua volta, rinviava ad un decreto ministeriale per la regolamentazione del settore) è stato abrogato e sostituito da previsioni analoghe, ma valevoli solo per il danno da circolazione stradale e dei natanti;

danno derivante da altre ipotesi di fatto illecito: le cure sono gratuite nel rapporto SSN-degente, ma il primo, che subisce una perdita patrimoniale a causa del fatto illecito di un terzo, ha diritto ad essere risarcito da quest’ultimo ai sensi dell’art. 2043 c.c..

3.3 Come già in precedenza osservato, nella vicenda in esame la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. ancora sub iudice, in quanto mai esaminata dalla corte territoriale.

La Corte d’appello ha dichiarato assorbite tanto la domanda subordinata dell’APSS, quanto le relative censure dell’appellante, trattandosi di una tesi illustrata solo nella prospettiva che l’azione dell’Azienda sanitaria fosse qualificata come aquiliana (soluzione dalla corte medesima scartata, in favore dell’azione ex art. 1916 c.c..).

Consegue che la sentenza va cassata con rinvio. Occorrono, infatti, ulteriori accertamenti di merito quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria.

4. Conclusivamente, va affermato il seguente principio di diritto:

“In caso di cure mediche e prestazioni sanitarie rese dal SSN in favore del danneggiato da fatto illecito altrui, all’Ente non compete l’azione di rivalsa prevista dall’art. 1916 c.c., nè l’azione surrogatoria di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, difettando in entrambi i casi di presupposti di legge. Non compete neppure l’azione speciale prevista dalla L. 3 dicembre 1931, n. 1580, art. 1 poichè tale disposizione è stata abrogata dal D.L. 25 giugno 2008, n. 122.

Tuttavia, per recuperare i costi delle prestazioni rese in favore del danneggiato, il SSN può agire per responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell’autore del fatto illecito, a ciò non ostando la gratuità delle prestazioni medesime. Tale gratuità, infatti, opera solo nei rapporti fra SSN e degente, ma non esclude la responsabilità aquiliana del danneggiante per i costi effettivamente sostenuti dal SSN, a causa della sua condotta illecita.

Il SSN non ha titolo ad agire in sede extracontrattuale nei confronti del responsabile per recuperare i costi delle prestazioni sanitarie rese in favore della vittima di un sinistro derivante dalla circolazione stradale o di natanti, poichè tali prestazioni sono già compensate ex lege mediante il contributo sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile previsto dal D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 334 (Codice delle assicurazioni private), espressamente indicato dalla legge come sostitutivo delle azioni spettanti alle Regioni e agli altri enti che erogano prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale”.

5. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.p., nonchè del R.D. n. 639 del 1910, artt. 1 e 2.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato il fatto illecito sulla sola base della sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tale specie di sentenza, infatti, non crea un giudicato, come invece quella di condanna.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, poichè la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. è solo equiparata ad una pronuncia di condanna e, a norma dell’art. 445 c.p.p., comma 1-bis, non ha efficacia in sede civile o amministrativa; le risultanze del procedimento penale non sono vincolanti, ma possono essere liberamente apprezzate dal giudice civile ai fini degli accertamenti di sua competenza (ex plurimis: Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011, Rv. 620500; v. pure Sez. U, Sentenza n. 5756 del 12/04/2012, Rv. 622044).

Nel giudizio in esame la Corte d’appello non ha attribuito alcuna efficacia di giudicato alla sentenza penale, valutandola unicamente come elemento di prova idoneo a sollevare l’attore dall’onere di fornire ulteriori elementi a sostegno della propria tesi e tale da onerare invece il convenuto di fornire la prova contraria.

Tale conclusione di merito si inquadra nel principio di libero convincimento del giudice ed è conforme ai principi di diritto sopra indicati, in quanto – come s’è già detto – rientra nel potere del giudice di merito apprezzare la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) come elemento di prova. Quindi si sottrae a censure di legittimità la decisione di merito che ritenga sufficiente a provare la fondatezza delle domande dell’attore una sentenza di patteggiamento, se non contrastata da prove di segno contrario fornite dal convenuto.

Peraltro, nel caso di specie tale prova contraria non è stata fornita in alcun modo dal D., il quale si limita alle contestazioni appena esaminate.

6. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2847 e 2952 c.c. e censura il capo della sentenza di appello che ritiene infondate le eccezioni relative alla prescrizione da attribuire ai crediti vantati in giudizio. Secondo il ricorrente, infatti, sarebbe da applicarsi quella breve di due anni relativa al rapporto assicurativo e non quella più lunga quinquennale relativa al risarcimento da fatto illecito.

Il motivo è infondato.

Infatti, una volta accertato come diffusamente chiarito nelle pagine precedenti – che l’APSS ha titolo per agire nei confronti del D. ex art. 2043 c.c., si applica il relativo regime prescrizionale.

7. La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio in relazione al primo motivo, limitatamente alla dedotta violazione dell’art. 1916 c.c., demandando al giudice del rinvio di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il primo motivo, nei termini di cui in motivazione, rigetta il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Trento in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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