Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2429 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 2429 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FEDERICO GUIDO

ORDINANZA

sul ricorso 21596-2014 proposto da:
POMAC SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GERMANICO, 24, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO
MARIA ZINI, rappresentato e difeso dall’avvocato
BERNARDO PANCALDI;
– ricorrente contro

2017

MIGLIORINI GIANNI E ENZO SNC;
– intimati –

2915

OLZ-

avverso la sentenza n. 1025/2014 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 10/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10/11/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO

Data pubblicazione: 31/01/2018

‘Yr

FEDERICO.

Fatto
La Migliorini Gianni ed Enzo snc conveniva in giudizio la Pomac srl per
sentir pronunciare la risoluzione del contratto di compravendita stipulato
con la convenuta, avente ad oggetto un carro semovente per diserbo, il
quale si era rivelato affetto da vizi, oltre al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Piacenza pronunciava la risoluzione del contratto e
condannava la Pomac alla restituzione di 66.000,00 euro oltre ad Iva ed
interessi in favore dell’attrice , rigettando la domanda risarcitoria.
La Corte d’Appello di Bologna confermava la pronuncia di risoluzione,
e, preso atto che nelle more del giudizio la società acquirente aveva
venduto il bene per cui è causa, traendo un corrispettivo di 24.000,00
euro, onde non ne era possibile la restituzione in natura , in parziale
riforma della sentenza di primo grado, condannava la Pomac alla
restituzione di 42.000,00 euro, oltre ad iva al 20% ed interessi legali dalla
domanda al saldo.
La Corte d’Appello, in particolare, premesso che la disposizione dell’art.
1492 comma 3 c.c., secondo cui non può pronunciarsi la risoluzione del
contratto in tutti i casi nei quali la restituzione della cosa divenuta
impossibile senza colpa del venditore, concerneva gli eventi verificatisi
prima della proposizione della domanda di risoluzione del contratto,
affermava che dopo l’instaurazione del giudizio, salvo il caso di colpa del
compratore, operava l’opposto principio, per il quale la durata del
processo non può arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed
incolpevole, mentre sono a carico del venditore le conseguenze derivanti
dal non aver accettato prontamente la risoluzione del contratto e l’offerta
di restituzione delle cose.
Considerata dunque, nel caso di specie, l’impossibilità di restituire il
bene in quanto già alienato, in forza del principio pretium succedit in

La Pomac srl rimaneva contumace.

locum rei, detraeva dal prezzo pattuito dalle parti nel negozio originario,
oggetto della risoluzione, il corrispettivo della vendita effettuata
dall’acquirente, maggiorato di Iva al 20% ed interessi.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione con quattro
motivi la Pomac srl.

attività difensiva.
Considerato in diritto
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cpc in relazione all’ art. 360 n.4) cpc,
deducendo che la statuizione della Corte d’appello di reintegrazione della
Pomac nella posizione giuridica anteriore al contratto risulta contraria al
principio della “corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, attribuendo un
bene diverso da quello richiesto e che non poteva ritenersi compreso ,
nemmeno implicitamente nella domanda dell’acquirente.
Il primo motivo è infondato.
Conviene premettere che l’alienazione o la trasformazione della cosa
affetta da vizi, di per sé sola, non è sufficiente a precludere al compratore
l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta, ai sensi
dell’art. 1492 comma 3, occorrendo a tal fine che quel comportamento
evidenzi univocamente che l’acquirente abbia inteso accettare la cosa
(Cass. 14655/2008; 7619/2002).
Nel caso in cui l’azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento
del bene, non sia preclusa, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1492 cod.
civ., all’obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce
quello della restituzione per equivalente (Cass.5065/1992).
Tale sostituzione opera in via automatica, senza necessità di una
specifica domanda da parte dell’acquirente.

La Migliorini Gianni ed Enzo snc non ha svolto, nel presente giudizio,

Nel caso di specie, peraltro, si rileva il mantenimento da parte
dell’acquirente della originaria domanda di risoluzione del contratto, già
ritualmente formulata, da cui conseguono gli obblighi restitutori ex art.
1453 c.c., che, a seguito del perimento della res , non possono che
realizzarsi “per equivalente’ . (Cass. 13839/2013).

1492 e 1494 c.c. in relazione all’art. 360 cpc n.3) cpc , lamentando che la
statuizione della Corte abbia erroneamente omesso di rilevare che la
condotta della Pomac implicava, non soltanto l’impossibilità della
restituzione del bene da parte del compratore per sua colpa, ma anche la
sua volontà di accettare il bene, resa palese dall’avvenuto suo utilizzo ed
alienazione.
Pure il secondo motivo non ha pregio.
Premesso che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte spetta al
giudice di merito accertare, in base alle risultanze processuali, se
l’alienazione del bene affetto da vizi costituisca o meno rinunzia tacita
all’azione di risoluzione del contratto (Cass. 15104/2000), nel caso di
specie la Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di fatto, ha
escluso che la vendita del bene, intervenuta in corso di giudizio,
implicasse volontà abdicativa della domanda di risoluzione proposta,
considerato che l’acquirente anche dopo l’alienazione aveva mantenuto
la domanda originaria.
Tale statuizione è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, cui
il collegio intende dare continuità.
Ed invero, la disposizione contenuta nell’art 1492 comma terzo cod civ,
la quale preclude al compratore 14zione di risoluzione del contratto se la
cosa affetta da vizi sia stata da lui venduta o trasformata, ( applicabile
agli eventi verificatisi prima della proposizione della domanda di
risoluzione del contratto), non trova più il suo fondamento razionale

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.

allorchè quegli stessi eventi si verifichino dopo l’instaurazione del
giudizio, determinando il perimento delle cose.
In quest’ultima ipotesi, ravvisabile nel caso di specie, vale l’opposto
principio, che la durata del processo non può arrecare pregiudizio alla
parte vittoriosa ed incolpevole, mentre sono a carico del venditore le

contratto e l’offerta di restituzione delle cose. (Cass.3137/1981).
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
1492 e 1494. c.c., in relazione all’ art. 360 nn.3) e 5) cpc, per avere la
Corte omesso di rilevare che l’acquirente aveva utilizzato il bene per
oltre sei anni, con conseguente erroneità dell’importo da sostituire al
bene da restituire, importo che non poteva essere automaticamente
determinato nella differenza tra il prezzo pagato alla Pomac srl e quello
realizzato dalla vendita del bene, avvenuta dopo oltre sei anni
dall’ acquisto.
Il terzo motivo è fondato nei limiti di cui appresso.
L’efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un
contratto comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente,
dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute (Cass.6575/2017) ed
implica, in generale, la necessità di ripristinare la situazione quo ante.
Se dunque è vero che la durata del processo non può arrecare pregiudizio
alla parte vittoriosa ed incolpevole, tale principio va contemperato con
l’efficacia retroattiva della risoluzione, che opera automaticamente e va
tenuta distinta dalla diversa obbligazione risarcitoria a carico della parte
inadempiente.
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha correttamente applicato il
principio secondo cui pretium succedit in locum rei, in quanto non ha
fatto riferimento al valore della cosa, come diminuito in conseguenza dei
vizi accertati, né ha tenuto conto dell’utilizzo del bene da parte

conseguenze per non avere accettato prontamente la risoluzione del

dell’acquirente, ma ha considerato il corrispettivo conseguito dalla
vendita del bene circa sei anni dopo, senza effettuare alcuna valutazione
di corrispondenza di detto corrispettivo all’effettivo valore del bene,
fermo restando che l’eventuale obbligazione risarcitoria a carico della
parte inadempiente, va tenuta distinta dal diverso meccanismo

Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
1492 e 1494 c.c., in relazione all’art. 360 n.3) cpc, per avere, la sentenza
impugnata, maggiorato l’importo da restituire dell’Iva.
Il motivo non ha pregio.
L’obbligazione restitutoria derivante dalla risoluzione del contratto di
compravendita, nei rapporti tra le parti, ha infatti ad oggetto l’intero
prezzo corrisposto dall’acquirente, comprensivo di Iva, ferme le
necessarie variazioni in relazione all’assolvimento degli obblighi di
tributari, in conformità a quanto stabilito dall’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre
1972n. 633.
In conclusione, respinti il primo, secondo e quarto motivo, va accolto il
terzo motivo.
La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione al motivo accolto
e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna,
che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte respinti il primo, secondo e quarto motivo, accoglie il terzo
motivo di ricorso.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per la liquidazione delle spese, ad altra sezione della Corte
d’Appello di Bologna.
Così deciso in Roma il 10 novembre 2017
Il Presidente

ripristinatorio, con efficacia retroattiva, previsto dall’art.1458 c.c.

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