Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24288 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2309/2011 proposto da:

BANCA CARIME SPA (OMISSIS) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GREGORIO VII n. 466/A, presso lo studio dell’avvocato GIORDANO

ALESSANDRA, rappresentata e difesa dall’avvocato FUSARO Mauro, giusta

procura ad litem a margine del ricorso per regolamento di competenza;

– ricorrente –

contro

C.N.L.V. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA APPIA NUOVA 251, presso lo studio

dell’avvocato SARACINO MARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FOLLIERI Rosario, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 3133/2010 del TRIBUNALE di LUCERA,

depositato il l’11/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO1.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso in data 15.10.2007 C.N.L.V. chiedeva accettarsi nei confronti della Banca Carime spa il proprio diritto all’inquadramento nella qualifica di quadro direttivo di 4^ livello, nonchè l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro, volto a realizzare in suo danno un illecito demansionamento, con le conseguenti statuizioni economiche e risarcitorie.

Il Tribunale di Lucera adito, all’udienza del 28.5.2009, dichiarava, in accoglimento di espressa eccezione formulata dalla società resistente, la nullità del ricorso.

Con ricorso in appello del 23.10.2009 la Banca Carime, tuttavia, impugnava la decisione di primo grado chiedendo di dichiararsi la nullità del ricorso, per i motivi ivi esposti, e di “rigettare la domanda nel merito”.

Nelle more del giudizio di appello, con ricorso depositato il 6.10.2010, il C. depositava nuovo ricorso; la Banca, costituitasi, eccepiva preliminarmente la litispendenza ex art. 39 c.p.c., avendo il nuovo ricorso ad oggetto lo stesso petitum e la medesima causa petendi.

Con ordinanza in data 11.12/11.1.2011 il Tribunale di Lucera rigettava l’ eccezione sollevata dalla parte resistente.

Avverso tale ordinanza propone regolamento di competenza la Banca Carime, insistendo per il riconoscimento della situazione di litispendenza.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è infondato.

Deve, infatti, confermarsi, come, secondo l’insegnamento ormai consolidato di questa Suprema Corte, non ricorre una situazione di litispendenza fra due cause fra le stesse parti quando esse pendano in gradi diversi, potendo in tal caso ricorrere, eventualmente, un’ipotesi di sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (v. ad es., Cass. n. 9313/2007; Cass. (ord.) n. 8833/2002; Cass. n. 10330/2002; Cass. n. 12596/2001; Cass. n. 8214/2000; contro in precedenza Cass. n. 10857/1995; Cass. n. 3139/1986; Cass. n.5666/1986).

Tale orientamento, che si fonda, per come ben si avverte nelle conclusioni della Procura generale, sulla non comparabilità fra le cause, pur relative allo stesso diritto controverso, che pendono in gradi diversi, per la progressione logico-giuridica che lega il giudizio di primo grado a quello di appello, con quanto esso comporta in termini di delimitazione dell’oggetto e di preclusioni in ordine alla prova, e prende, pertanto, in considerazione il “carattere funzionale della competenza del giudice di secondo grado, da individuarsi inderogabilmente in base al criterio fissato dall’art. 341 c.p.c.” (così Cass. n. 8214/2000), consente, pertanto, di escludere una situazione di immedesimazione fra i relativi giudizi.

Merita, peraltro, soggiungere come tale impostazione consente di realizzare un equilibrato contemperamento, nelle singole fattispecie, fra valori egualmente rilevanti, quali l’esigenza di ordine pubblico che presiede al divieto di giudicati contraddittori (ne bis in idem) e l’interesse parimente rilevante, anche alla luce del principio del giusto processo, a consentire la prosecuzione del processo sino al limite in cui ciò non determini il pericolo di pronunce contrastanti e di diseconomie processuali, sulla base del prudente apprezzamento del giudice.

Il quale ha ritenuto, nel caso, preminente l’esigenza di assicurare l’istruzione del giudizio (ancora nella sua fase iniziale, dopo la declaratoria di nullità del precedente ricorso) e ha riservato ogni determinazione circa la sospensione dello stesso al momento in cui la situazione di potenziale contrasto rispetto all’esito del giudizio di appello acquisti eventualmente carattere di concretezza ed attualità. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza, mentre va disattesa la richiesta di condanna al risarcimento ex art. 96 c.p.c., non potendosi ritenere l’istanza come puramente temeraria, alla luce delle diversificate posizioni che sulla questione sono riscontrabili nella opinione scientifica, oltre che nella stessa giurisprudenza, anche se meno recente, e, comunque, per difetto di elementi idonei ad identificare il danno stesso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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