Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24288 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 03/11/2020), n.24288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 773/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

C.P., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

controricorso, dall’avv. Francesco De Santis, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Cortina d’Ampezzo,

n. 269, pal. b;

– controricorrente –

e nei confronti di:

EQUITALIA POLIS S.P.A., in persona del legale rappresentante;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 363/34/11 depositata in data 12 dicembre 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.P. ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento avverso la cartella di pagamento n. 071 2009 0002308769, eccependo la mancanza di sottoscrizione da parte del responsabile del procedimento, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, la violazione dei principi di buona fede e di collaborazione da parte dell’Ufficio, nonchè la duplicazione della pretesa tributaria con riferimento ad interessi e sanzioni relativi ai mesi di gennaio, marzo, aprile, maggio e giugno 2005, essendo stati gli importi versati a seguito di ravvedimento operoso.

Si costituiva l’Agenzia delle entrate la quale comunicava che aveva provveduto allo sgravio della somma di Euro 9.075,03 iscritta a ruolo per i versamenti I.V.A. relativi ai mesi di gennaio, marzo e aprile 2005, per i quali si era perfezionato il ravvedimento operoso, che non si era invece formalizzato per i mesi di maggio e giugno 2005, avendo il contribuente versato solo gli interessi ma non la quota capitale.

Si costituiva anche il Concessionario della Riscossione Equitalia Polis s.p.a., deducendo la regolarità della compilazione della cartella di pagamento che, per i ruoli emessi prima del 2008, non doveva contenere l’indicazione del responsabile del procedimento.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso sul rilievo che, ai fini I.V.A., l’Amministrazione aveva recuperato un’imposta inferiore a quella dichiarata, per cui, sussistendo un errore nella compilazione della dichiarazione dei redditi, l’Ufficio era tenuto alla previa comunicazione di irregolarità, che non era, invece, avvenuta.

Proposto appello principale dall’Agenzia delle entrate, la quale faceva rilevare che la cartella di pagamento aveva ad oggetto anche la ripresa a tassazione di imposte dirette, dichiarate e non versate, e appello incidentale da parte del contribuente, che replicava che la cartella di pagamento riportava ai fini I.V.A. un’imposta minore rispetto a quella indicata in dichiarazione, evidente segno di incertezza su un aspetto rilevante della dichiarazione che imponeva la preventiva obbligatoria comunicazione dell’avviso di regolarità, con conseguente nullità dell’iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente, la Commissione regionale rigettava l’impugnazione dell’Ufficio sul presupposto che quest’ultimo aveva riconosciuto che erano state iscritte a ruolo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis somme non dovute ai fini I.V.A., pari ad Euro 9.075,00, e non aveva fornito prova che la cartella fosse stata preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo formale previsto dallo stesso art. 36-bis, nonostante l’erronea compilazione della dichiarazione.

Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi.

Il contribuente resiste mediante controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 380-bis. 1. c.p.c..

Equitalia Polis s.p.a. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente va rilevata l’infondatezza della eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso per cassazione, sollevata in controricorso, dovendo applicarsi il termine lungo di un anno, oltre a 46 giorni, per la sospensione feriale, atteso che la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della medesima legge, ai soli giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dalla sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009 (Cass., sez. 2, 4/05/2012, n. 6784; Cass., sez. 6-5, 21/06/2013, n. 15741; Cass., sez. 6-3, 6/10/2015, n. 19969; Cass., sez. 6-5, 10/8/2017, n. 19959).

Il giudizio di primo grado è iniziato anteriormente al 4 luglio 2009, dovendo aversi riguardo, a tal fine, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio si è perfezionata – nella specie, come evidenziato dallo stesso controricorrente, in data 12 giugno 2009 – con la ricezione dell’atto da parte dell’Ufficio destinatario, e non già alla data di deposito del ricorso presso la Commissione tributaria, avvenuto in data 9 luglio 2009.

A tale conclusione si perviene se si considera che il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 20 stabiliscono rispettivamente che il processo tributario è introdotto con ricorso alla commissione tributaria provinciale e che “il ricorso è proposto mediante notifica a norma del precedente art. 16, commi 2 e 3”, rendendo evidente che la decadenza dall’azione è impedita dalla notifica del ricorso, con la quale si manifesta la volontà di impugnare un atto tributario, in conformità, d’altro canto, a quanto previsto anche con riguardo ai giudizi amministrativi (artt. 41 e 45 cod. proc. amm.).

Diversamente da quanto prospettato dal controricorrente, la costituzione in giudizio del ricorrente che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 avviene con il deposito del ricorso nella segreteria della commissione tributaria adita, rappresenta un adempimento successivo ed ulteriore, che presuppone la pendenza della lite; il mancato adempimento o il tardivo adempimento dell’onere previsto dal citato art. 22 impedisce unicamente la prosecuzione, non l’esistenza (id est, l’instaurazione), del processo. Ciò comporta che, a differenza di quanto accade nel processo civile, la costituzione del ricorrente rappresenta un adempimento previsto a pena di inammissibilità, la cui mancanza preclude la conclusione del processo con una decisione di merito.

In tal senso questa Corte si è già espressa con la sentenza n. 26535 del 17 dicembre 2014, la quale, occupandosi della questione relativa alle modalità di introduzione del giudizio tributario in vista della individuazione della pendenza della lite fiscale, in specifica correlazione con il problema della fruibilità del condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16 ha affermato, con articolata motivazione che questo Collegio condivide, che nel giudizio tributario è la notifica del ricorso che, instaurando il contraddittorio, determina la litispendenza, ed ha escluso al contempo, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22 e 23 che la costituzione del ricorrente nel giudizio tributario costituisca adempimento necessario ai fini dell’esistenza del processo.

I principi sopra richiamati sono stati ribaditi anche da Cass., sez. 6-5, 30/05/2016, n. 11087.

Ne discende, alla luce delle considerazioni svolte, che il ricorso per cassazione è tempestivo, in quanto passato per la notifica in data 21 dicembre 2012, ossia entro il termine lungo di un anno e 46 giorni dalla pubblicazione della sentenza d’appello (avvenuta in data 12 dicembre 2011), previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 327 c.p.c..

2. Con il primo motivo la difesa erariale censura la decisione impugnata per omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Commissione regionale tenuto conto della circostanza, pure dedotta nell’atto di appello, che la cartella era finalizzata sia al recupero di I.V.A., sebbene in misura inferiore a quella riportata in dichiarazione in ragione dei pagamenti parziali eseguiti dal contribuente e dello sgravio parziale d’imposta per i versamenti relativi ai mesi di gennaio, marzo ed aprile, che ne avevano ridotto l’ammontare rispetto a quello dichiarato, sia ai fini del recupero delle imposte dirette (Irpef e Irap), circostanze che, se esaminate, avrebbero comportato l’accoglimento dell’impugnazione, trattandosi di cartella di pagamento riferita ad imposte dichiarate e non versate.

3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale nel ritenere l’Ufficio obbligato a comunicare al contribuente gli esiti del controllo formale, laddove il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36-bis citato e art. 54-bis non prevedono tale invio a pena di nullità e lo stesso art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente stabilisce tale onere solo all’esito di controllo formale da cui siano emerse incertezze su dati rilevanti della dichiarazione.

4. I motivi possono essere trattati unitariamente poichè vertenti sulla medesima questione e sono fondati.

4.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, a cui questo Collegio intende dare continuità non sussistendo valide ragioni per discostarsene, “in tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass., sez. 5, 19/11/2014, n. 24607; Cass., sez. 6-5, 20/01/2016, n. 996; Cass., sez. 6-5, 21/11/2017, n. 27716; Cass., sez. 5, 12/04/2017, n. 9463; Cass., sez. 5, 24/01/2018, n. 1711).

In particolare, questa Corte ha individuato due ipotesi nei controlli eseguiti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3, e precisamente quella ricollegabile al riscontro di errori od omissioni meramente materiali – come l’avere dichiarato un importo d’imposta cui non corrisponda il conseguente versamento, oppure l’avere erroneamente effettuato il calcolo aritmetico in ordine al reddito percepito, agli oneri deducibili ed alle detrazioni ai fini della quantificazione dell’imposta dovuta – casi nei quali con il controllo automatizzato si dà luogo alla correzione di un mero errore che non richiede interlocuzione con il contribuente e, dunque, comunicazioni preventive alla emissione della cartella (prima ipotesi) e quella, che, invece, comprende i controlli automatizzati che non richiedano un mero ricalcolo, ma preventive rettifiche dei medesimi dati.

Questa seconda ipotesi, secondo quanto precisato da Cass., sez. 5, n. 1711 del 2018, cit., deve essere a sua volta distinta “in due ulteriori sottoipotesi, il cui discrimine è segnato dalla presenza di incertezze su aspetti qualificabili come rilevanti o meno della dichiarazione; in tali ipotesi la comunicazione è dovuta, ma la sua omissione può costituire una mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento successivamente emessa, qualora le incertezze riguardino aspetti meno rilevanti della dichiarazione; oppure può incidere più radicalmente sulla validità della procedura automatizzata di liquidazione dei tributi e sulla successiva cartella, qualora il diverso risultato del controllo riveli incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (ad analoghe conclusioni perviene anche Cass., sez. 5, 6/07/2016, n. 13759, secondo cui “ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2”).

Peraltro, come è stato sottolineato da Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27562 (in motivazione), “in ipotesi di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente, la previsione del preventivo invito al pagamento, contenuta nel D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 6, quale adempimento prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta, non è prevista a pena di nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma comporta, in caso di omissione, una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, sia perchè non si tratta di condizione di validità – stante la mancata espressa sanzione della nullità -, avendo il previo invito al pagamento l’unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell’omissione di versamento, sia perchè l’interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella”.

4.2. Nella specie, i giudici di merito, respingendo l’appello dell’Ufficio, hanno affermato: “L’Ufficio non ha fornito alcuna prova della comunicazione dell’esito del controllo formale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e la cartella, che deriva dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, in particolare in casi come quelli di specie, ove non si tratti di imposte dichiarate e non versate (lo stesso ufficio afferma tra l’altro di avere variato il dato contabile modificando l’I.V.A. a debito indicata nel rigo 38 del quadro VL da Euro 48.670,00 ad Euro 16.683,00), ma di erronea compilazione della dichiarazione o di erronea interpretazione di norme, è nulla se l’iscrizione a ruolo non è stata preceduta da detto invio”.

Come posto in evidenza dall’Agenzia delle entrate con l’atto di appello – ritrascritto nel ricorso per cassazione a pag. 4 in omaggio al principio di autosufficienza – il contribuente in sede di dichiarazione ai fini I.V.A. aveva esposto, nel quadro VL rigo 38, un debito pari a Euro 48.670,00; tale dato contabile, in sede di controllo automatizzato, è stato variato, essendo stata rilevata un’imposta a debito minore, pari a Euro 19.683,00, somma derivante dalla differenza tra l’imposta dovuta e dichiarata dal contribuente (Euro 74.953,00 rigo VL 7) e tutti i versamenti I.V.A. effettuati dal contribuente (Euro 53.909,00); successivamente, con le memorie integrative, sulla base della stessa documentazione fornita dal contribuente, è stato effettuato uno sgravio di Euro 9.075,00 per i versamenti mensili di I.V.A. relativi ai mesi di gennaio, marzo ed aprile 2005, effettuati dal contribuente per effetto del ravvedimento operoso, e lo scomputo degli interessi sulle somme dovute per i versamenti relativi ai mesi di maggio e giugno 2005.

L’Ufficio ha pure fatto presente in sede di appello, in difetto di documentazione comprovante il versamento, che le imposte dovute ai fini IRPEF e IRAP, dichiarate nella dichiarazione dei redditi, alle quali pure si riferisce la cartella di pagamento impugnata, non sono state corrisposte.

Le suddette circostanze evidenziate dall’Amministrazione nel giudizio di merito non sono state prese in esame dai giudici di appello, i quali non hanno considerato che l’importo I.V.A. indicato in cartella non risultava corrispondente a quello esposto in dichiarazione in considerazione dei versamenti parziali eseguiti dal contribuente per effetto del ravvedimento operoso e del parziale sgravio di imposta per i versamenti relativi ai mesi di gennaio, marzo ed aprile 2005 e che la cartella di pagamento era finalizzata anche al recupero di imposte dirette dichiarate, ma non versate dal contribuente.

Trattandosi di circostanze determinanti ai fini del giudizio, poichè si verte in ipotesi di omessi versamenti di importi risultanti a debito del contribuente in base alla sua stessa dichiarazione, e non nella ipotesi di errore nella compilazione della dichiarazione, per cui non emerge alcun elemento di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice di merito in altra composizione per nuovo esame alla luce dei superiori principi richiamati, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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