Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24285 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 03/11/2020), n.24285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2015-2013 R.G. proposto da:

Telenet s.r.l. rappresentata e difesa dall’avv.to Antonio Bianchi

elettivamente domiciliato. in Roma piazza Santiago del Cile n. 8

presso lo studio dell’avv. Emanuele Verghini;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania sezione di Salerno n. 348/12/12 depositata il 04/06/2012;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18/11/2019

dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società Telenet s.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania sezione di Salerno n. 348 depositata il 4.6.2012.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio contestava maggiori ricavi con conseguente maggior pretesa tributaria per IRES e IRAP oltre sanzioni e interessi per l’anno d’imposta 2004. L’Ufficio riteneva di dover recuperare a tassazione costi per 40.000,00 corrisposti come anticipi a fornitori, per l’esecuzione di lavori poi non più fatti eseguire e costi per Euro 95.000,00 corrisposti Per caparra confirmatoria a terzi e poi per il mancato acquisto di un immobile.

L’avviso di accertamento veniva opposto dalla contribuente alla CTP di Salerno che accoglieva il ricorso della contribuente. La successiva impugnativa dell’Ufficio aveva esito ad esso favorevole, in base alla decisione della CTR Campania sezione di Salerno, che la società ha impugnato in questa sede con il ricorso in esame, basato su di un unico motivo.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

E’ pacifico agli atti che la somma di Euro 40.000.00 non sia stata corrisposta dalla contribuente per l’esecuzione di lavori in un immobile di sua proprietà alle ditte C. e D.P., ma costituisca un anticipo per futuri lavori, poi non eseguiti per le sopravvenute difficoltà nei rapporti con l’istituto bancario, con cui aveva acceso un mutuo fondiario. ma che aveva noi chiesto l’immediata restituzione di circa 200.000,00 Euro. La conseguente crisi di liquidità aveva impedito l’esecuzione della ristrutturazione per cui aveva corrisposto l’anticipo. La società, su parere del suo legale, d’accordo il collegio sindacale, aveva ritenuto di difficile recupero le somme anticipate alle due ditte C. e D.P.. Per tali circostanze, aveva ritenuto che detti importi potessero esse considerati come costi deducibili. La tesi non è stata condivisa dal giudice regionale con la motivazione che “l’importo Pagato per acconti è rimasto un semplice credito verso fornitori per acconti corrisposti non avendo beneficiato. a fronte degli acconti pagati, di nessuna prestazione inerente l’attività. Ne consegue che il giro a fine anno su conto economico dell’intero importo come prestazione di servizi di terzi è improprio”.

A fronte di tale motivazione non è dato di ravvisare in essa alcun deficit motivazionale, nè la ricorrente ha precisato in base a quale analisi emergerebbe la contraddittorietà o erroneità della medesima. La stessa formulazione del motivo appare, per contro, generico e quindi priva del connotato delle specificità.

Viene, in particolare, lamentato che la motivazione della sentenza impugnata non darebbe conto delle ragioni per le quali era stata ritenuta “l’indeducibilità di costi per lavorazione di terzi”.

Invero, è la società medesima a precisare che non vi era stata alcuna prestazione da parte di terzi, per cui la somma anticipata per futuri lavori, poi mai realizzati, altro non era che un credito per la restituzione di somme che non v’era ragione fossero trattenute dalla ditte percettrici. Nè è stato dedotto che le stesse avessero approntato/acquistato materiale per far fronte alla commessa Poi sfumata o fissato un programma di lavori con l’impegno di manodopera, in ipotesi distolta da altri impegni, con perdita di chance.

Alcuna circostanza ha, quindi, provato, al giudice regionale, perchè questi potesse ritenere Quel credito definitivamente irrecuperabile, tale da qualificarlo come perdita. E ancora la società a precisare che erano stati avviati contatti con le ditte percettrici per verificare la disponibilità alla restituzione. Del seguito e dell’esito di tali contatti non vi è però cenno. Nessun elemento probatorio è stato dedotto su di una esplicitata e motivata contrarietà delle ditte alla restituzione, pur in presenza delle sopravvenute difficoltà economiche dell’iniziale committente e della totalmente ineseguita prestazione, come pure dell’assenza, per quanto è dato desumere dal ricorso, di ogni pregiudizio per le ditte stesse.

La valutazione della irrecuperabilità del credito risulta basata esclusivamente su di una valutazione soggettiva, aprioristica della contribuente, non basata su una esplicita manifestazione di chiusura delle ditte, che rendesse certa la prognosi.

In tale quadro, il giudice regionale non ha omesso di valutare alcun profilo sottopostogli dal ricorrente, ma ha esaminato l’unica valutazione in base alla quale la società aveva ritenuto che l’acconto costituisse ormai una perdita del credito. Valutazione basata su di un sondaggio, che in mancanza di riscontro documentale deve presumersi verbale, il cui esito lo stesso ricorrente dà per scontato, senza aver dato conto in alcun modo della effettiva posizione ostative assunta dalle ditte percettrici.

Quanto alla perdita della caparra confirmatoria per il mancato pagamento del saldo di un preliminare di acquisto di altro immobile, per la sopravvenuta carenza di liquidità, causa il venir meno della prospettiva di finanziamento, possono formularsi analoghe considerazioni.

Resta di particolare rilievo la circostanza che la ricorrente abbia ascritto a perdita nel 2004, l’intero importo della caparra con largo anticipo rispetto al termine (30 marzo 2005) in cui era fissata la scadenza dell’obbligazione e che, quindi, per ragioni di competenza sarebbe divenuta definitiva nel 2005 e valutabile in riferimento a tale anno. Nè ha trovato chiarimento, negli scritti difensivi della ricorrente, la ragione per cui fosse stata fissata una caparra tanto alta, pari alla metà del valore del bene in trattazione. Conferendo al negozio un profilo di singolarità, cioè un elemento foriero di incertezza sul reale sviluppo della vicenda, rimasto irrisolto benchè evidenziato dall’accertamento.

Non risulta, inoltre, adeguatamente provata la definitività della perdita.

Al riguardo, questa Corte ha affermato che in tema di redditi di impresa, le “perdite sui crediti” presuppongono la definitività del venir meno della posta attiva, nel senso che “alla stregua di un giudizio prognostico, si ha perdita del credito quando esso è divenuto definitivamente inesigibile…” (Cass. Sez. 5 -, 04/05/2018 n. 10686). Non sono poi riscontrabili profili di omessa o contraddittoria motivazione, pur astrattamente dedotti, dal momento che tali vizi, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sono rilevabili “quando, dal compendio giustificativo…a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell'”iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda ….. mentre…. il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata..” (Cass. Sez.1, 24/05/2018 n. 12967).

Ne deriva, quindi, che il motivo di ricorso si risolve nel tentativo di introdurre un inammissibile riesame delle valutazioni dei fatti operata dal giudice di merito.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente soccombente alle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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