Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24281 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, (ud. 15/03/2017, dep.16/10/2017),  n. 24281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19438-2014 proposto da:

CENTRO ALIMENTARE DI PILOT MAURO & C SAS, in persona del suo

legale rappresentante pro-tempore Sig. P.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL FORTE TIBURTINO 160, presso lo studio

dell’avvocato ANNUNZIATO SAMMARCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato LAMBERTO GRAZIANI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7,

presso lo studio dell’avvocato SIMONA BARBERIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato SILVIO CAMPANA giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 733/2013 dello CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositate il 28/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28/4/2014 la Corte d’Appello di Ancona, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Centro Alimentare di P.M. & C. s.a.s. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Urbino n. 212 del 2012, ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo avente ad oggetto immobile sito in Carpegna, via Roma n. 25 per dedotto inadempimento della locatrice sig. M.R., in ragione della non conformità dell’impianto elettrico alla normativa di settore.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Centro Alimentare di P.M. & C. s.a.s. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso la M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 40 e 328, D.P.R. n. 462 del 2001, artt. 3 e 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per la decisione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.M. n. 37 del 2008, art. 7 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo la formulazione della relativa rubrica con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).

Risponde altresì a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimità che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., da ultimo, Cass., 2/4/2014, n. 7692).

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è tuttavia indispensabile che il ricorso offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Il ricorso risulta infatti formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., al “preliminare del 6 marzo 2008”, alla “scrittura privata del 14 aprile 2008”, al “contratto ai sensi degli artt. 1411 ss.”, alla “scrittura privata regolarmente registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Urbino il 9 maggio 2008 al numero 1248, serie 3”, alle “certificazioni relative agli impianti, e segnatamente, a quello elettrico”, alla “diffida scritta”, alla “raccomandata A/R del 9 giugno 2010”, al “contratto di locazione stipulato il 15 aprile 2008″, all'”ispezione presso l’immobile locato”, alla “perizia redatta dalla ditta STC di C.S.”, al “parere” redatto dalla Selemar s.a.s. di F.B. & C.”, ai “capitoli di prova dedotti dalla difesa della Sig.ra M.”, al “contratto di locazione stipulato tra Centro Alimentare di P.M. & C. s.a.s. e M.R. in data 14 aprile 2008”, al “ricorso del 2 ottobre 2012”, alla “dichiarazione di conformità prevista dalla L. 5 marzo 1990, n. 46, art. 18”, alle deposizioni dei testi B. e F., alla “dichiarazione scritta… 26 aprile 2011”, alla “lettera che SELEMAR s.a.s. ha trasmesso al sig. A.D. il 26 aprile 2011, alla “documentazione ex adverso prodotta”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va ulteriormente sottolineato che, pur formalmente denunziando nell’intestazione di motivi vizi di violazione di norme di diritto, risultano nel corpo dei medesimi (es., 2 motivo, pag. 22 ss. del ricorso) dalla ricorrente inammissibilmente dedotti anche vizi di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l'”erroneità”, l’incongruità e l’illogicità della motivazione, o l’omesso e a fortiori erroneo esame di determinati elementi probatori (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Relativamente all’ultimo motivo va infine osservato che non risultano invero nemmeno sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi la ricorrente limitata a muovere apodittica e non ben comprensibile doglianza, sicchè quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di un “non motivo” (cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà inammissibilmente sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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