Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24281 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 09/09/2021), n.24281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14068-2020 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FELICE PATRUNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), PROCURATORE GENERALE PRESSO la

CORTE di CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 6625/2019 del GIUDICE DI PACE di TARANTO,

depositata il 31/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

– che O.E., cittadino della Nigeria, ha proposto, affidandolo a cinque motivi, ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il Giudice di Pace di Taranto ha rigettato il ricorso avverso il decreto di espulsione in data (OMISSIS) e degli atti consequenziali disposti dalla Questura, provvedimento del giudice di pace che è di tale tenore:

“Va rilevato che il provvedimento impugnato appare regolarmente emanato, tenendo presente tra l’altro che, ai sensi, della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”;

– che l’intimato non hanno svolto difese;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. che con il primo motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione e/o motivazione apparente, atteso che il giudice di pace aveva omesso di prendere in esame alcuna delle doglianze del ricorrente, ricorrendo ad una motivazione stereotipata;

2. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 2020, art. 21-octies;

3. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione storico sottoposto al giudice;

4. con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19 e 35, nonché l’omesso esame di un fatto storico sottoposto al giudice;

5. che con il quinto motivo è stata dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 4;

6. che il primi due motivi da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questione trattate, sono manifestamente fondati;

7. che va preliminarmente osservato che il ricorrente ha dedotto di aver adito il giudice di Pace per impugnare il decreto di espulsione del Prefetto di Taranto e degli atti consequenziali, lamentando:

1) nullità del decreto di espulsione per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, per omessa concessione del termine per partenza volontaria;

2) l’illegittimità del decreto di espulsione per assenza di traduzione nella lingua madre del ricorrente;

3) divieto di espulsione e respingimento D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, in uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione;

– che il giudice di pace, in ordine alle riportate censure del cittadino straniero, ha reso una motivazione apparente, ben al di sotto del “minimo costituzionale”, non essendo evincibile l’iter logico-giuridico argomentativo (seppur minimo) che ha condotto il giudicante a rigettare il ricorso sottoposto al suo esame;

che, in proposito, questa Corte, nella sentenza a Sezioni Unite n. 8053/2014, ha statuito che, pur dovendo la nuova riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134) essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, è comunque denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si è tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé (purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali), anomalia che deve consistere nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;

– che, nel caso di specie, neppure il mero richiamo alla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, è idoneo a soddisfare l’obbligo motivazionale imposto al giudice e a ricondurlo al “minimo costituzionale”, non essendo state indicate neppur sommariamente le ragioni dell’applicabilità di tale norma alla fattispecie in esame;

– che, in ogni caso, se è pur vero che, in tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio a carattere vincolato, sicché il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare, al momento dell’espulsione, l’assenza del permesso di soggiorno perché non richiesto (in assenza di cause di giustificazione), revocato, annullato ovvero negato per mancata tempestiva richiesta di rinnovo, mentre è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell’eventuale disapplicazione, sulla legittimità del relativo provvedimento del questore trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo (vedi Cass. n. 12976 del 2016; conf. Cass. n. 15676 del 2018 e Cass. n. 18788 del 2010), tuttavia, in primo luogo, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua propria del destinatario determina la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, con conseguente nullità non sanabile del provvedimento, anche in presenza dell’attestazione di indisponibilità del traduttore, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, le ragioni a sostegno della indisponibilità di un testo predisposto nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (cfr. Cass. n. 13323 del 2018; Cass. n. 3931 del 2018; Cass. n. 18268 del 2016; Cass. n. 22607 del 2015);

– che, inoltre, il giudice, in sede di convalida del decreto di trattenimento dello straniero raggiunto da provvedimento di espulsione, è tenuto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, in relazione all’art. 5 CEDU, par. 1 (che consente la detenzione di una persona, a fini di espulsione, a condizione che la procedura sia regolare), a rilevare incidentalmente, ai fini della decisione di sua competenza, la eventuale manifesta illegittimità del provvedimento espulsivo, che può consistere anche nella situazione di inespellibilità dello straniero (Cass. n. 24415 del 30/11/2015; vedi anche Cass. n. 5750 del 2017 e Cass. 7829 del 2019);

che, pertanto, il giudice di pace, sulle censure dello straniero che lamenti l’omessa traduzione del provvedimento di espulsione e la sua inespellibilità a norma dell’art. 19 T.U. Immigrazione (sopra illustrata come censura n. 3), non può limitarsi genericamente a citare il contenuto di una norma che fa riferimento alla natura vincolata di un provvedimento amministrativo, oltre a dover spiegare le ragioni della sua decisione;

– che il terzo ed il quarto motivo sono assorbiti;

– che il quinto motivo è inammissibile;

che e’, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte che i provvedimenti in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sono soggetti al regime impugnatorio, ordinario e generale dell’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 (Cass. n. 29288 del 2017; conf. Cass. n. 3028 del 2018 e Cass. n. 32028 del 2018), con conseguente inammissibilità quale strumento di impugnazione del ricorso per cassazione;

4. che il decreto impugnato va quindi cassato, ad eccezione della statuizione sul patrocinio a spese dello Stato, con rinvio all’ufficio del Giudice di Pace di Taranto, in persona di diverso magistrato per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti il terzo ed il quarto, inammissibile il quinto, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia all’ufficio del Giudice di Pace di Taranto, in persona di diverso magistrato, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

 

 

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