Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24280 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20846/2010 proposto da:

D.B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DEI GRACCHI 151, presso lo studio dell’avvocato SEGRETO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CROCAMO Gennarino, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CALIULO Luigi, MARITATO LELIO, SGROI ANTONINO, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

17.2.2010, depositata il 16/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito per la ricorrente l’Avvocato Gennarino Crocamo (per atto di

costituzione in giudizio) che si riporta ai motivi del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Clementina Pulli (per delega

avv. Antonino Sgroi) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che si riporta alla relazione scritta.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 7.2.2010/16.3.2010 la Corte di appello di Salerno confermava la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda proposta da D.B.C. al fine di far accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro fra la stessa ed S.E. negli anni dal 1991 al 1994 e di ordinare la reiscrizione della medesima negli elenchi dei braccianti agricoli per i suddetti anni.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.B. C. con tre motivi.

Resiste con controricorso l’INPS. 1. Con il primo ed il secondo motivo la società ricorrente lamenta vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) oltre che violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 345 e 356 c.p.c.) ed, al riguardo, osserva che la corte di merito aveva omesso di esaminare adeguatamente le risultanze dell’istruttoria, pervenendo ad una ricostruzione della situazione controversa slegata dalla “realtà di fatto emersa alla luce delle prove esaminate in giudizio”, ed aveva, altresì, omesso l’ammissione di prova testimoniale decisiva nell’economia del processo.

Il motivo è manifestamente infondato.

Ha accertato la corte territoriale che l’espletata prova orale non risultava idonea a superare la presunzione di gratuità del rapporto (fra prossimi congiunti), avendo i testi riferito circostanze idonee a provare che la D.B. aveva lavorato nell’azienda della madre, ma non anche che tale attività fosse svolta con i caratteri della subordinazione.

A fronte di tale accertamento, che non evidenzia vizi logici o motivazionali, le censure svolte dalla ricorrente appaiono, se non altro, contrastare con la regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, trascrivendone il contenuto, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006).

2. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., prospettando il mancato esame di un motivo del ricorso, oltre che “l’introduzione di fatti nuovi” rispetto a quelli esaminati nella sentenza di primo grado, non essendo stata in tale sede presa in considerazione la presunzione di gratuità del rapporto.

Anche tale motivo è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato. Deve, al riguardo, richiamarsi, in primo luogo, il principio di diritto secondo cui, se è vero che la corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere, è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile d’ufficio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazione e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v., per tutte, Cass. n. 14133/2007), con la puntuale trascrizione degli atti difensivi e dei verbali di udienza che siano a tal fine rilevanti. Più in particolare, affinchè possa utilmente dedursi, in sede di legittimità, il vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte domande, eccezioni o deduzioni autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande, eccezioni e deduzioni siano state riportate puntualmente nei loro esatti termini nel ricorso per cassazione, per la rilevanza che assume il principio di autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, quindi, la decisività (cfr. SU n. 15781/2005).

Condizioni che, nel caso, non sono affatto riscontrabili.

Per il resto, basta osservare che la qualificazione giuridica della fattispecie controversa compete al giudice e che rispetto alla stessa nessuna situazione di vincolo può derivare dalla ricostruzione che ne abbia offerto il ricorrente.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 1.000,00 per onorari, oltre ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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