Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24280 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, (ud. 28/02/2017, dep.16/10/2017),  n. 24280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25766-2015 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS) in persona del legale rappresentante p.t.

esercente l’attività di riscossione dei tributi nella Provincia di

Taranto e per egli il procuratore speciale Dott. A.L.,

nella sua qualità di Responsabile pro tempore della Direzione

Regionale Puglia di Equitalia Sud S.P.A., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DELLA PINETA SACCHETTI, 482, presso lo studio

dell’avvocato EMANUELA VERGINE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIA ROSARIA SAVOIA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 201/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 30/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/02/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Nel 2011 D.P.G. proponeva opposizione all’esecuzione davanti al Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, per ottenere la declaratoria di nullità del pignoramento mobiliare intrapreso nei suoi confronti sulla base di ventidue intimazioni di pagamento notificate dal 2001 al 2010 da Equitalia Pragma s.p.a. e di una cartella, deducendo la mancata notifica delle cartelle presupposte, l’illegittimità del pignoramento, l’inidoneità delle intimazioni e delle cartelle ad individuare concretamente la natura delle somme richieste. Eccepiva l’inesistenza delle cartelle per vizi di notifica e la prescrizione.

Equitalia, costituendosi, eccepiva preliminarmente l’improcedibilità della opposizione per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57 ed anche l’inammissibilità e la decadenza dalla facoltà di proporre opposizione, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

Il Tribunale di Taranto con sentenza n. 43 del 2012 accoglieva l’opposizione, dichiarando l’inesistenza delle cartelle di pagamento opposte, con conseguente inefficacia dei successivi atti.

In appello, Equitalia ribadiva la già formulata eccezione di inammissibilità della opposizione, per violazione dell’art. 57, e nel merito insisteva per la validità della notifica delle cartelle e per la piena valenza probatoria degli estratti di ruolo.

La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 201 del 2015 qui impugnata, ritenendo che fossero state proposte contestualmente sia opposizione all’esecuzione che agli atti esecutivi, rilevava la parziale inammissibilità dell’appello, quanto alla proposta opposizione agli atti. Rigettava l’appello quanto all’opposizione all’esecuzione, ritenendo infondato il motivo di appello relativo all’inammissibilità dell’opposizione, ex art. 57, per le pretese di natura tributaria dell’amministrazione, sull’assunto che dalle cartelle non fosse individuabile con chiarezza per quali pretese agisse esecutivamente l’amministrazione.

Riteneva poi che la produzione in giudizio degli estratti di ruolo non fosse idonea a fornire alcuna prova della natura dei crediti azionati e neppure dell’avvenuta notifica delle cartelle, confermando la sentenza impugnata.

Equitalia Sud s.p.a., già Equitalia Pragma s.p.a., propone ricorso articolato in cinque motivi, nei confronti di D.P.G..

Il D.P., benchè regolarmente intimato, non ha svolto attività difensive.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la presenza di un error in procedendo consistente nella violazione degli artt. 616 e 618 c.p.c. nonchè dell’art. 24 Cost. perchè in primo grado, al termine della fase sommaria il giudice dell’opposizione non si limitava a decidere sulla sospensione adottando i provvedimenti indilazionabili, ma, senza dare ingresso alla fase di merito a cognizione piena, con fissazione di un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito da parte del soggetto interessato, previa iscrizione a ruolo, decideva la causa con sentenza.

Il motivo è eccessivamente generico e pecca di autosufficienza, presentando al contempo una violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perchè la ricorrente, che sul punto non ha mai formulato appello, non riproduce i passi dei verbali di causa in cui sia collocabile tale violazione, costringendo il collegio a procedere autonomamente alla ricerca, e neppure precisa che pregiudizio abbia in concreto avuto la sua difesa a causa di questa impropria accelerazione della definizione del giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la inammissibilità della opposizione in merito alle cartelle aventi ad oggetto una pretesa tributaria, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57.

La ricorrente sostiene che, delle ventitrè cartelle alla base della opposizione, quasi tutte fossero relative all’omesso pagamento di tributi: per queste cartelle i giudici di merito avrebbero dovuto rilevare, in sede di verifica preliminare di ammissibilità, che l’opposizione non rientrava nei limiti fissati dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, (in base al quale non sono ammissibili in materia di entrate tributarie, le opposizioni all’esecuzione tranne quelle relative alla pignorabilità dei beni e parimenti non sono ammissibili le opposizioni ex art. 617 c.p.c., relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo). Deduce che la natura tributaria della pretesa era chiaramente indicata nelle cartelle e negli estratti di ruolo.

Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2718 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 24, 25 e 49, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 5, comma 5 e del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che la sentenza impugnata ha errato anche laddove ha negato valenza probatoria agli estratti di ruolo prodotti da Equitalia (unitamente alle relate di notifica delle cartelle opposte) per provare che le cartelle erano, in massima parte, relative a pretese tributarie.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24 nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c.. La ricorrente sostiene che ha errato in diritto la sentenza impugnata, incorrendo anche nella mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, laddove ha omesso di pronunciare sulla eccezione di tardività della opposizione avverso le cartelle di pagamento e le successive intimazioni, per intervenuta decadenza, in ordine ai crediti tributari, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 per mancato rispetto del termine di sessanta giorni per proporre opposizione, e per i crediti previdenziali, per violazione del termine di decadenza di quaranta giorni per proporre opposizione fissato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

Infine, con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente si duole dell’erronea statuizione in ordine alla condanna alle spese vive sostenute dall’altra parte.

La soluzione della questione della valenza probatoria degli estratti di ruolo, posta dal terzo motivo, condiziona la soluzione della questione se in ordine alla proposta opposizione sussistesse o meno la giurisdizione del giudice ordinario adito, posta dal secondo motivo.

Il terzo motivo è fondato.

Alla corte d’appello era stata sottoposta la questione pregiudiziale di giurisdizione del giudice adito, per essere la controversia in materia di opposizione a cartella esattoriale appartenente alla giurisdizione del giudice tributario, qualora la cartella fosse stata emessa in relazione ad una pretesa tributaria dell’amministrazione. Il giudice di appello ha ristretto la motivazione della sentenza sul punto esclusivamente alla affermazione, alquanto apodittica, che nega il valore probatorio dell’estratto di ruolo. Partendo da questo assunto, il giudice di appello si è limitato ad affermare che, non essendo stato provato che l’Agente per la riscossione agisse in relazione a mancate entrate tributarie (non avendo l’estratto del ruolo alcun valore probatorio del contenuto delle cartelle e non essendo chiara l’indicazione della causale del credito), l’eccezione di difetto di giurisdizione fosse infondata, in virtù del principio secondo il quale in caso di incertezza sulla natura della pretesa sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

L’affermazione contenuta nella sentenza appellata, secondo la quale gli estratti del ruolo non sarebbero utilizzabili al fine di provare la natura del credito vantato dal concessionario, in quanto gli estratti di cartella sarebbero stati dichiarati conformi agli originali dallo stesso concessionario, e non vi sarebbe certezza sul loro contenuto, non è corretta. La sentenza qui impugnata sostiene di applicare il principio di diritto contenuto in Cass. n. 16929 del 2012, secondo il quale l’estratto di ruolo non ha forza probatoria proprio per la sua natura di estratto, ovvero per la selezione, operata a sua discrezione dall’amministrazione, nell’indicare in esso solo parte dei dati indicati nella cartella. L’affermazione della sentenza di appello contiene innanzitutto un errore di metodo, in quanto la sentenza citata non contiene l’enunciazione di un principio di diritto sul punto: la sentenza si conclude con una pronuncia di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, proprio perchè il ricorrente non avrebbe ben specificato nè indicato di averlo fatto nei gradi di merito per quale ordine di motivi quell’estratto del ruolo sarebbe idoneo a sostituire la cartella. Quindi, è improprio richiamare come contenente un principio di diritto espresso dalla Corte, in ragione del quale si chiede di decidere una controversia, una affermazione contenuta in una sentenza che abbia dichiarato inammissibile il ricorso per aver il ricorrente mal posto la medesima questione.

Vi è poi da dire che l’affermazione della corte d’appello si pone in contrasto con le norme che disciplinano la funzione e il contenuto dell’estratto di ruolo: il ruolo costituisce il titolo esecutivo, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49, ai sensi del quale “Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forcata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo”.

La cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, e, al contrario di quanto affermato dalla corte territoriale, l’estratto di ruolo è una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella esattoriale: esso deve contenere tutti i dati essenziali per consentire al contribuente di identificare a quale pretesa dell’amministrazione esso si riferisca (e per consentire al contribuente di apprestare le sue difese e al giudice ove adito di verificare la fondatezza della pretesa creditoria o gli altri punti sollevati dall’opponente) perchè contiene tutti i dati necessari ad identificare in modo inequivoco la contribuente, ovvero nominativo, codice fiscale, data di nascita e domicilio fiscale; tutti i dati indispensabili necessari per individuare la natura e l’entità delle pretese iscritte a ruolo, ovvero il numero della cartella, l’importo dovuto, l’importo già riscosso e l’importo residuo, l’aggio, la descrizione del tributo, il codice e l’anno di riferimento del tributo, l’anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, gli estremi della notifica della cartella di pagamento, l’ente creditore (indicazioni obbligatoriamente previste dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, oltre che dal D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6). Gli estratti di ruolo sono di conseguenza validi ai fini probatori e in particolare, per quanto qui interessa, per individuare a tutela di quale tipo di credito agisca l’amministrazione. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la copia della parte del ruolo relativa al contribuente, munita della dichiarazione di conformità all’originale resa dal collettore delle imposte, costituisce prova del credito, ai sensi dell’art. 2718 c.c. (secondo cui le copie parziali o le riproduzioni per estratto, rilasciate nella forma prescritta da pubblici ufficiali che ne sono depositali e sono debitamente autorizzati, fanno piena prova solo per quella parte dell’originale che riproducono letteralmente), atteso che il collettore esercita le stesse funzioni dell’esattore, di cui è coadiutore (D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858, art. 130), e che l’esattore, pur non rientrando tra i “pubblici depositari” – cui la legge attribuisce la funzione di tenere gli atti a disposizione del pubblico e che sono obbligati, ex art. 743 c.p.c., a rilasciare copia degli atti anche a chi non ne è parte – è tuttavia un “depositario” del ruolo, datogli in consegna dall’intendente di finanza (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 24), ed inoltre è autorizzato a rilasciarne copia, ai sensi della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 14, (secondo cui l’autenticazione delle copie, anche parziali, può essere fatta dal pubblico ufficiale presso il quale è depositato l’originale) (Cass. n. 25962 del 2011). L’estratto del ruolo non è quindi una sintesi del ruolo, operata a sua discrezione dallo stesso soggetto che l’ha formato, ma è la riproduzione di quella parte del ruolo che si riferisce alla o alle pretese impositive che si fanno valere nei confronti di quel singolo contribuente con la cartella notificatagli (nel senso che l’estratto di ruolo non sia altro che una riproduzione parziale del ruolo v. già Cass. n. 724 del 2010). La sentenza impugnata va cassata sul punto non essendosi attenuta al seguente principio di diritto: “L’estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale e deve contenere tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria, sicchè esso costituisce prova idonea dell’entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale anche ai fini della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato e, quindi, della verifica della giurisdizione del giudice adito” già affermato da questa Corte (tra le altre, v. Cass. n. 11794 del 2016).

Accolto il terzo motivo, l’esame delle questioni poste dal secondo ed anche dal quarto, che logicamente presuppongono che fosse stato sciolto il nodo del valore degli estratti di ruolo, va rimandato al giudice del merito.

Esaminando nel merito tutte le opposizioni, senza distinguere quelle di natura tributaria, identificabili in tal senso sulla base della lettura degli estratti di ruolo, il giudice ordinario ha violato i limiti di riparto della giurisdizione, rimessa alle Commissioni tributarie in ordine a tutte le controversie aventi oggetto tributi di ogni genere e specie, in violazione anche dell’affermazione contenuta in S.U. n. 23667 del 2009, secondo la quale “L’inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, sancita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, riguarda, secondo quanto disposto dalla L. n. 46 del 1999, art. 29, soltanto le entrate tributarie, per le quali la tutela giudiziaria è affidata, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, alle Commissioni tributarie”. Poichè dagli estratti di ruolo emergevano i dati necessari ad identificare la diverse ragioni di credito azionate contro il D.P., ciò imponeva – e impone – alla corte territoriale di verificare, ragione per ragione, la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, per tutte genericamente affermata sulla base della scorretta conclusione dell’impossibilità della verificazione della natura del credito di ciascuna delle cartelle, e poi, nella misura in cui essa fosse stata riconosciuta, avrebbe potuto e dovuto esaminare la fondatezza nel merito dei motivi di appello, in applicazione della nota consolidata giurisprudenza di questa Corte in ordine al riparto di giurisdizione sulle opposizioni ad esecuzioni esattoriali (richiamata anche dalla corte d’appello nella sentenza impugnata) che fissa il discrimine esclusivamente nella natura del credito azionato.

Le Sezioni Unite hanno più volte affrontato e risolto la questione relativa al riparto di giurisdizione in materia di opposizione ad esecuzione esattoriale affermando che in caso di opposizione a più cartelle esattoriali o ad unica cartella che si fondi su una pluralità di pretese, alcune delle quali di natura tributaria ed altre di natura diversa, ove l’impugnazione sia stata proposta congiuntamente, senza distinguere la natura dei crediti, innanzi al giudice ordinario, questi deve trattenere la causa innanzi a sè in relazione ai crediti d’imposta non tributari, e rimettere la causa innanzi al giudice tributario per la parte in cui il provvedimento si riferisce a crediti di competenza di quest’ultimo (da ultimo Cass. S.U. n. 15425 del 2014, in precedenza Cass. n. 14831 del 2008).

Il quinto motivo rimane assorbito dall’accoglimento dei precedenti.

In accoglimento del terzo motivo di ricorso, assorbiti il secondo, il quarto e il quinto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che esaminerà, attenendosi al principio di diritto sopra enunciato, le opposizioni distinguendo le varie pretese creditorie e si pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio.

La cassazione della sentenza comporta il rinvio dell’esame del merito della causa alla corte d’appello in diversa composizione, la quale dovrà esaminare, una volta che avrà identificato le pretese fatte valere con i vari titoli nei confronti del D.P., anche la questione dell’eventuale decadenza dalla possibilità di far valere la pretesa contributiva, posta dal quarto motivo del ricorso in riferimento ai crediti previdenziali, per violazione del termine di decadenza di quaranta giorni per proporre opposizione fissato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

PQM

 

La Corte:

– accoglie il terzo motivo, assorbiti il secondo, il quarto e il quinto, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che deciderà anche sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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