Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2428 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

B.G., titolare dell’impresa individuale NBC di B.G.,

rappr. e dif. dall’avv. Giorgio Cangiano e dall’avv. Mario Contaldi,

elett. dom. presso lo studio del secondo, in Roma, via P.L. da

Palestrina n. 63, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona dei cur.

fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Marco Angelo Russo, elett.

dom. in Roma, presso lo studio dell’avv. Stefania Contaldi, in via

Pierluigi da Palestrina n. 63, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Savona 21.4.2017, n. 218/17 in

R.G. n. 3525/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Massimo

Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.G., titolare dell’impresa individuale NBC di B.G., impugna il decreto Trib. Savona 21.4.2017, n. 218/17 in R.G. n. 3525/2016 che, rigettando il reclamo avverso il decreto del giudice delegato del fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, ha negato che il ricorrente, creditore della società fallita, potesse essere considerato artigiano; tale qualifica, scrutinata alla luce dei parametri della L. n. 443 del 1985, stante l’applicazione ratione temporis del novellato art. 2751 bis c.c., n. 5, non solo non è stata provata con la domanda, ma anzi risulta positivamente esclusa, per prevalenza del capitale investito rispetto al lavoro in azienda;

2. il ricorrente deduce in due motivi: a) la violazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, in relazione alla L. n. 443 del 1985, artt. 2-5, avendo errato il tribunale a richiamare il superamento di limiti dimensionali, mentre in realtà il numero dei dipendenti non eccedeva quello di legge, così poggiando la decisione su parametri diversi, di tipo aziendalistico e di altra fonte normativa, a loro volta operanti solo per le società; b) il vizio di motivazione, avendo il decreto trascurato gli elementi anche documentali offerti dal creditore, impegnato in via esclusiva nel processo produttivo, a comprova della prevalenza della sua capacità lavorativa in azienda ed in generale del lavoro sul capitale; il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile; la complessa contestazione con cui esso è formulato richiama una interpretazione già avversata dalla giurisprudenza di legittimità che, nel ricostruire il sistema del privilegio artigiano a seguito del novellato art. 2751-bis c.c., n. 5), ha chiarito che il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 36, (conv. nella L. 4 aprile 2012, n. 35), conferisce la causa di prelazione ai “crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonchè delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti” superando, per un verso, il criterio dell’art. 2083 c.c., e rinviando, per altro, a tutti i parametri della L. definitoria n. 443 del 1985;

2. la conseguente disamina, riservata al giudice di merito, dei fatti posti dal creditore, onerato sul punto della prova della prevalenza del lavoro del titolare dell’impresa individuale e del fattore lavoro rispetto al capitale investito, ha condotto ad un motivato giudizio negativo, sia per i limiti del contributo offerto proprio dal ricorrente, sia per il peso attribuito ad alcuni fattori organizzativi e dell’investimento (costo del venduto, ammortamenti e canoni di leasing) rispetto al subvalente coacervo lavoristico (costo del lavoro dipendente, salario figurativo del titolare); tali fattori non sono stati contestati dalla parte, che si è limitata ad invocare una discrasia nominalistica quanto alle norme richiamate nel decreto, che – con la L. n. 443 del 1985, art. 3, non integrerebbero i “limiti dimensionali” (posti invece all’art. 4), mentre a sua volta il requisito della citata prevalenza del lavoro dovrebbe solo essere inteso, restrittivamente, quale predominanza dell’attività del titolare nell’impresa rispetto ad altre occupazioni economiche;

3. già questa Corte ha statuito che “in tema di accertamento del passivo, ai fini dell’ammissione di un credito come privilegiato, ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, nel testo applicabile a seguito della novella introdotta dal D.L. n. 5 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 35 del 2012, non è sufficiente l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane in quanto essa, pur avendo natura costitutiva, costituisce un elemento necessario ma non sufficiente ai fini del riconoscimento del suddetto privilegio dovendo concorrere con gli altri presupposti previsti dalla L. n. 443 del 1985, cui la norma codicistica rinvia” (Cass. 18723/2018); e che il rinvio sia a tutte le condizioni poste dalla legge quadro è stato confermato da Cass. 29916/2018, nè potrebbe essere altrimenti avuto riguardo alla natura di condizione necessaria ma non sufficiente rivestita dalla iscrizione all’albo, per il quale – decisivamente – la L. n. 443 del 1985, art. 5, pone l’obbligatorietà dell’adempimento e l’unitaria sussistenza di tutti i requisiti di cui alla cit. L., artt. 2, 3 e 4;

4. questa Corte ha invero dato continuità all’indirizzo, già sorto anteriormente alla riforma della norma attributiva del privilegio artigiano (Cass. 15785/2000), per cui il cit. art. 3, “si basa sulla valorizzazione di un rapporto, tra i nominati fattori di produzione, che, seppur esplicitato con riferimento alle società, non può non riguardare gli imprenditori individuali. La preminenza del lavoro personale sul capitale, con riferimento alle imprese individuali, costituisce difatti un dato del tutto coerente con la natura artigiana dell’impresa, giacchè è la stessa nozione di piccolo imprenditore, desumibile dall’art. 2083 c.c., ad esigere che l’apporto del primo sia prevalente sul secondo” (Cass. 22379/2019); proprio tale precedente ha condivisibilmente osservato altresì che “ove si ritenesse che il nominato rapporto di preminenza fosse applicabile alle sole società, si consentirebbe all’impresa individuale di essere organizzata sulla base di apporti di capitale proporzionalmente più consistenti rispetto a quelli ammessi per l’impresa artigianale collettiva: e tale soluzione, oltre ad essere del tutto illogica, candiderebbe la norma a un fondato sospetto di incostituzionalità per l’ingiustificata disparità del trattamento riservato, da un lato, all’impresa individuale e, dall’altro, a quella collettiva”;

5. ne consegue che anche la dizione ‘limiti dimensionalì, pur impiegata nel decreto, ben può essere intesa come espressione di sintesi di tutti i requisiti organizzativi, numerici e personalistici che debbono concorrere per ottenere lo status amministrativo di artigiano e, anche ai fini del privilegio, la medesima considerazione; tanto più che i giudici savonesi con chiarezza hanno fatto riferimento all’insieme dei presupposti iscrizionali, esercitando una prerogativa che la cit. Cass. 29916/2018 (oltre che 22379/2019) pongono esplicitamente quale attività di verifica demandata ogni volta e caso per caso all’autorità giudiziaria rispetto all’atto amministrativo iscrizionale, che non instaura una particolare presunzione; esso invero non è sufficiente ai fini dell’attribuzione del privilegio, ma va attualizzato con riguardo all’epoca dell’insorgenza del credito;

6. sotto questo profilo, la natura individuale dell’impresa del ricorrente, non permette ex se di separare la nozione di prevalenza del lavoro di cui alla più generale definizione della L. n. 443 del 1985, art. 3, – che infatti censisce l’impresa artigiana così prescrivendo per ognuna di esse, al di là della formula organizzativa adottata (individuale o collettiva) “che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale” – rispetto alla nozione di imprenditore artigiano; questi, all’art. 2, risulta “colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”; ciò significa che, essendo l’impresa artigiana quella esercitata dall’imprenditore artigiano, ed essendo i crediti dell’impresa artigiana assistiti da privilegio se ricorrono le condizioni della L. n. 443 del 1985, (l’unica che la “definisce”, il rinvio della Disp. dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, abbraccia una nozione duplice e rafforzata di prevalenza, secondo un’interpretazione, oltre che testuale, coerente con la complessiva ratio di tutela dell’apporto personale nei processi produttivi di cui al più ampio catalogo dell’art. 2751-bis c.c.;

7. i citati precedenti di legittimità, imponendo il riscontro positivo non solo di una ma di tutte le condizioni richieste dalla legge quadro, permettono pertanto di condividere la necessità sia del possesso dei requisiti soggettivi di cui all’art. 3, sia del rispetto dei limiti dimensionali dell’art. 4, oltre l’avvenuta iscrizione nell’albo delle imprese artigiane; in tale prospettiva, il titolare dell’impresa non solo deve provare la prevalenza dell’impiego delle sue energie lavorative ed apporti proprio nell’impresa di cui è titolare, secondo i caratteri della professionalità, della personalità e della prevalenza rispetto ad altre eventuali attività economiche (art. 2); ma occorre anche che nella impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, vale a dire sia idoneo – pur nella possibilità dell’impiego di base occupazionale e nei limiti dell’art. 4 l.q., – a trasfondersi in fattore qualitativamente maggioritario e causale nella gestione caratteristica; come correttamente ricostruito dal giudice savonese, solo tale relazione di prevalenza dà conto che effettivamente i complessivi ricavi della produzione, provati gli altri requisiti soggettivi e formali, siano per la più parte imputabili alla rimunerazione di un’organizzazione di elementi personalistici; e che tale prova negativa possa desumersi da indicatori contabili e aziendalistici, non contestati nella specie e ricavati dalla documentazione offerta dalla stessa parte, è convincimento di cui il tribunale ha dato ampia illustrazione, rispetto alla quale il preteso vizio di motivazione appare inammissibile, a sua volta, stanti i nuovi limiti di deduzione (Cass. s.u. 8053/2014);

8. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con ogni statuizione condannatoria avendo riguardo al principio della soccombenza. Si dà atto inoltre – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in favore del controricorrente in Euro 3.000, per compensi ed Euro 100 per esborsi, oltre oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso principale, giusto il cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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