Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24277 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 09/09/2021), n.24277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14058-2020 proposto da:

K.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FELICE PATRUNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2683/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA

FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto da K.F., cittadino della Nigeria, affidandolo ad un unico motivo, ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari che ha rigettato l’appello proposto dall’odierno ricorrente avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 30.11.2017 che ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, umanitaria;

– che il Ministero intimato si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis.

Diritto

CONSIDERATO

1. che è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, della Dir. n. 32 del 2013, art. 16, e l’omesso esame di fatto decisivo a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che il ricorrente lamenta, in primis, che la Corte d’Appello (e prima di essa il Tribunale) ha formulato il giudizio di non credibilità senza averne disposto preventivamente neppure l’audizione in sede giudiziale;

che, in ogni caso, il richiedente rileva che ove la valutazione in ordine alla mancanza di attendibilità sia fondata, come nel caso di specie, su circostanze di dettaglio che non inficino la credibilità sostanziale della narrazione dei fatti, la dichiarazione del ricorrente di aver intrattenuto una relazione omosessuale impone al giudice la verifica anche officiosa delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del paese di provenienza dello straniero;

che, in particolare, qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di obiettivo pericolo;

2. che il ricorso è manifestamente fondato;

che da un attento esame del decreto impugnato emerge che la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente non tanto quanto al suo orientamento omosessuale, quanto alla circostanza che fosse stato realmente oggetto di persecuzione (significativo è il passaggio a pag. 4 in cui, non ponendo in dubbio l’omosessualità del ricorrente, evidenzia che costui, nonostante le plurime domande postegli, non aveva saputo riferire nulla su come lo stesso ed il compagno fossero stati scoperti, su come si fosse diffusa la notizia della loro omosessualità, sulle possibili ricerche effettuate dalla polizia);

che, in particolare, a pag. 5 del decreto impugnato, la Corte territoriale, sottolinea ancora come l’incriminazione dell’omosessualità in Nigeria circostanza quindi che non viene messa in discussione – non sia sufficiente per la concessone della richiesta protezione, ove vi sia totale difetto di allegazioni in ordine alla persecuzione e, “cioè a come sia avvenuta la scoperta e da parte di chi”;

che, infine, la Corte di merito ha concluso il proprio ragionamento, osservando che “l’assenza a priori di un racconto attendibile di persecuzione o di pericolo di grave danno fanno escludere la concessione di status di rifugiato e della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b)”;

che, ad avviso di questo Collegio, tale impostazione giuridica non è giuridicamente corretta;

che, infatti, questa Corte ha statuito, in tema di protezione internazionale, che l’orientamento sessuale del richiedente costituisce fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale” la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello “status” di rifugiato, sussistendo tale situazione quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, ciò che costituisce una grave ingerenza nella vita privata di dette persone che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d’ufficio, dal giudice di merito (Cass. n. 7438 del 18/03/2020; conf. Cass. n. 26969 del 2018);

che, pertanto, la semplice appartenenza al “particolare gruppo sociale” delle persone con orientamento omossessuale integra – ove lo Stato di provenienza del richiedente punisca l’omosessualità come reato – già una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello “status” di rifugiato, indipendentemente dalle singole allegazioni su come possa essere in concreto avvenuta la persecuzione;

che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, decidendo la causa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, accoglie la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, accoglie la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 2.600,00, nonché delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.100, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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