Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24276 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, (ud. 26/01/2017, dep.16/10/2017),  n. 24276

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 402-2015 proposto da:

C.I., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA PITOCCHI unitamente agli avvocati SABATO

PAPPACENA, GAETANO LEO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ALPINA SAS DI M.A. & C., in persona del liquidatore

e legale rappresentante nonchè socio accomandatario ANTONELLA

MAZZEGA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35,

presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO RASERA BERNA giusta procura speciale

notarile del Dott. R.O. in PIEVE DI CADORE del 25/7/16

rep. n. 82800;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 710/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SABATO PAPPACENA;

udito l’Avvocato ROBERTO OTTI per delega.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 5 maggio 2014, ha confermato la decisione di primo grado che ha dichiarato l’avvenuta risoluzione del contratto di affitto d’azienda stipulato in data 12-5-2008 tra la società Alpina di M.G., ora di M.A. & C. s.a.s in liquidazione, e C.I., a seguito del valido esercizio da parte dell’Alpina della facoltà di recesso unilaterale,condannando la C. a rilasciare l’azienda affittata compreso l’immobile aziendale.

Avverso questa decisione propone ricorso la C. con due motivi. Resiste con controricorso l’Alpina di M.G., ora di M.A. & C. s.a.s. illustrata da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso si censura la interpretazione e l’applicazione da parte dei giudici di merito delle norme in materia di locazione alberghiera che hanno portato all’accertamento che nella specie si trattasse di affitto d’azienda di attività alberghiera e non di contratto di locazione di immobile ad uso alberghiero.

La ricorrente denunzia la nullità del contratto perchè contrario a norme imperative in base ed ai sensi del D.L. n. 12 del 1985, art. 1, comma 9 septies convertito con modificazioni nella L. 5 aprile 1985, n. 118 secondo cui se l’attività alberghiera è iniziata dal conduttore, come risulta dalla documentazioni in atti, il rapporto si deve considerare per presunzione legale quale locazione di immobile ad uso alberghiero e non quale affitto di azienda, con l’applicazione della conseguente normativa obbligatoria in termine di durata.

Sostiene la ricorrente che non vi è alcun documento allegato al rogito notarile da cui si può evincere una licenza della società Alpina ad esercitare l’attività alberghiera, sul rilievo che la stessa ricorrente ha ottenuto la licenza per uso alberghiero in data 26 giugno 2008 e per bar ristorazione in data 17 luglio 2008.

Risulta invece che l’albergo in data 31 dicembre 2007 aveva cessato la propria attività,che era stata portata avanti da tale U.E. fino al 2007.

2.Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che dalla lettura del contratto del 12 maggio 2008, valutato il complessivo tenore delle clausole, risulta chiaro che la ricorrente ha concesso l’uso non solo dell’immobile, ma anche di tutta l’attrezzatura destinata ad albergo bar e ristorante; ha accertato che la tesi della C., dell’avvio personale della conduzione dell’albergo, era priva di consistenza alla luce degli inequivoci dati valorizzati dal primo giudice, non adeguatamente censurati con l’impugnazione.

Il Tribunale,prosegue la Corte, ha posto in rilievo le previsioni contrattuali in punto di voltura pro tempore della licenza di pubblico esercizio ed il tenore eloquente della clausola sub 22 del contratto, in cui le parti hanno previsto il divieto che la società concedente di iniziare una nuova attività in (OMISSIS) per tutta la durata della affittanza, comunque idonea a sviare la clientela dell’azienda affittata.

Nè può dubitarsi, prosegue il giudice dell’impugnazione, che la comune intenzione delle parti contraenti fosse diretta all’affittanza di un insieme di beni destinati al pubblico esercizio di pensione bar ristorante.

L’albergo era in esercizio da decenni, essendo stata l’attività in passato esercitata da un’altra titolare del contratto di fitto di azienda, tale U.E.; che il primo contratto risaliva al maggio 1984 e la circostanza, che cessata nel 2007 la gestione dell’Uccella vi fosse stato un intervallo di qualche mese prima della nuova affittanza,non appare di alcun rilievo, non potendo plausibilmente ipotizzarsi una perdita dell’avviamento connesso alla pensione ristorante.

Conclude la Corte che non ha fondamento la richiesta della C. di avvalersi della normativa di cui del D.L. n. 12 del 1985, art. 1, comma 9 septies in quanto l’attività alberghiera non fu iniziata da lei che si limitò a subentrare in un’attività fino a pochi mesi prima esercitata da altri.

3.La ricorrente invoca nuovamente in sede di legittimità l’applicazione della normativa del D.L. n. 12 del 1985, art. 1, comma 9 septies chiedendo la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative,senza adeguatamente censurare l’accertamento in fatto operato dai giudici di merito circa la circostanza che l’attività d’albergo era preesistente e non fu iniziata dalla ricorrente, con la conseguente non applicabilità della normativa imperativa.

4.La decisione è conforme alla normativa in materia come interpretata da questa Corte che ha affermato “la locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall’affitto di azienda (nella specie, alberghiera) perchè la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene – l’immobile concesso in godimento – che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell’economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione, mentre, nell’affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, così che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all’art. 2555 cod. civ.. La valutazione circa l’avvenuto inizio dell’attività alberghiera da parte del conduttore dell’immobile, compiuta ai fini della qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 – 42), che si ha quando l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, secondo la presunzione posta dal D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9 “septies”, convertito, con modificazioni, in L. 5 aprile 1985, n. 118, o piuttosto come affitto di azienda, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da congrua motivazione, esente da errori di diritto.

Inoltre La presunzione di cui alla L. 8 febbraio 1985, n. 118, art. 9 “septies” a norma del quale si ha locazione di immobile, e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, opera solo nel caso in cui l’attività alberghiera del conduttore, con correlativa organizzazione dei beni immateriali e materiali che formano l’azienda, coincide con la prima destinazione dell’immobile all’esercizio della impresa alberghiera e non anche allorchè l’affittuario, per obbligo contrattuale o, comunque, con il consenso del locatore, si sia limitato ad apportare miglioramenti od abbia contribuito, in qualsiasi modo, al suo incremento. Cass., Sentenza n. 20815 del 26/09/2006.

5.La ricorrente ammette in ricorso che l’attività alberghiera era stata esercitata fino al 2007 da un’altra affittuaria, ma ritiene che l’interruzione di quasi un anno fra la cessazione della precedente attività a la sua gestione determini comunque l’applicazione della normativa dal D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9 “septies”, convertito, con modificazioni, in L. 5 aprile 1985, n. 118.

Questa interpretazione della norma non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto applicabile tale tutela solo quando l’organizzazione dei beni, compreso l’immobile, siano destinate ad attività alberghiera per la prima volta dal conduttore.

La Corte di merito,con accertamento non contestato, ha ritenuto che dal 1984 l’immobile era stato destinato ad attività alberghiera, con la conseguenza della inapplicabilità della presunzione invocata dalla C..

6.Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la società Alpina di M.G., ora di M.A. & C. s.a.s. in liquidazione, ha sede giuridica e legale dove la signora C. svolge attività alberghiera di ristorazione. Ai sensi degli artt. 46 e 16 c.c. e art. 145 c.p.c. quando non vi è coincidenza fra la sede giuridica e legale con il domicilio elettivo, ciò che prevale il domicilio elettivo per i terzi ai soli fini delle notifiche degli atti giudiziari. La società Alpina per poter porre in essere atti giuridici avrebbe dovuto,come impone la normativa vigente, modificare l’atto costitutivo con rogito notarile e successivamente provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi della L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8 da cui scaturisce per legge la personalità giuridica, senza la necessità di ulteriori controlli.

Conclude la ricorrente che la società pertanto non avendo la piena personalità giuridica, non poteva porre in essere atti giuridici quali negozi giuridici o contratto notarile e dare mandato a terzi per difendersi nei giudizio.

5.Il motivo è inammissibile perchè non congruente con la decisione della Corte d’appello e perchè presenta profili di novità rispetto a quanto dedotto in sede d’impugnazione.

La Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo per la coincidenza della sede legale della società Alpina con quella della ditta C..

La ricorrente ripropone pedissequamente lo stesso motivo senza argomentare i fatti giustificativi della censura, facendo riferimento alle notifiche degli atti giudiziari, senza chiarire adeguatamente se questo motivo era stata già proposto, ed in che termini,davanti al giudice dell’impugnazione, in quanto dalla sentenza non risulta alcuna censura relativa alla notifica.

Inoltre viene introdotta in sede di legittimità una questione attinente alla personalità giuridica della società Alpina che non risulta essere stata proposta davanti al giudice dell’impugnazione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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