Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24274 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 29/11/2016, (ud. 18/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLAANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26526-2011 proposto da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.M. C.F. (OMISSIS), Z.C. C.F. (OMISSIS),

L.A. O AN. C.F. (OMISSIS), ZA.MI. C.F.

(OMISSIS), G.R.G. C.F. (OMISSIS), CA.MA.GR.

C.F. (OMISSIS), CI.GR. C.F. (OMISSIS), P.A. C.F.

(OMISSIS), B.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso

lo studio dell’avvocato DOMENICO NASO, che li rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 564/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/06/2011 R.G.N. 1551/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato D’AVANZO GABRIELLA e l’Avvocato ANDREA FEDELI;

udito l’Avvocato RIOMMI MAURIZIO per delega Avvocato NASO DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Milano, previa riunione dei giudizi, ha respinto le impugnazioni proposte dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca avverso le sentenze del locale Tribunale, nn. 3803/2008, 2757/2009, 4099/2009 4158/2009 e 3235/2010, che avevano dichiarato il diritto degli appellati, assunti in qualità di docenti o di collaboratori amministrativi con contratti successivi a tempo determinato, per lo più di durata annuale, a vedersi riconoscere l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione del trattamento retributivo ed avevano pronunciato condanna generica del Ministero al pagamento delle differenze dovute.

2 – La Corte territoriale ha premesso che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata alla anzianità di servizio, riconosciuta al personale di ruolo ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata e non conforme al principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs n. 368 del 2001, art. 6.

2.1 – Ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare il carattere incondizionato e preciso della clausola, di diretta applicazione nelle controversie nelle quali sia parte, in qualità di datore di lavoro, lo Stato. Ha aggiunto che la anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile.

2.2 – La Corte territoriale ha, poi, evidenziato che la disparità di trattamento non può essere giustificata facendo leva sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico e sulla legittimità dei termini apposti ai contratti succedutisi nel tempo e ciò perchè il divieto di discriminazione si pone anch’esso in funzione antiabusiva, in quanto finalizzato ad impedire che il rapporto a termine possa essere utilizzato dal datore per risparmiare sul costo del lavoro. Detto divieto era stato nella specie eluso giacchè, a fronte di lavoratori inquadrati nella stessa qualifica e svolgenti le medesime mansioni, nessuna rilevanza poteva assumere la distinzione fra personale di ruolo e non di ruolo.

2.3 – Infine la sentenza di appello ha ritenuto infondata anche l’eccezione di prescrizione, facendo leva sulla natura risarcitoria della pretesa e ritenendo di conseguenza inapplicabile il termine quinquennale. Ha aggiunto che, in ogni caso, la prescrizione non poteva decorrere in costanza di rapporto, in quanto il contratto a termine non garantisce la stabilità richiesta dalla sentenza n. 63/1966 della Corte Costituzionale.

3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sulla base di tre motivi. I litisconsorti indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il Ministero denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 10, come modificato dal D.L. n. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18, convertito dalla L. n. 106 del 2011 e della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, anche in combinato con il D.M. 13 giugno 2007, art. 1, nonchè della direttiva 99/70/CE”. Sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare la L. n. 124 del 1999, art. 4. Aggiunge che le modalità di conferimento degli incarichi a tempo determinato sono state compiutamente disciplinate dal D.M. 13 giugno 2007, che ha distinto le supplenze in annuali e temporanee, individuando i presupposti che devono ricorrere per le diverse tipologie di incarico e fissando anche i criteri per la individuazione dell’aspirante all’assunzione. I singoli contratti, pertanto, mediante il richiamo alla normativa speciale di legge e regolamentare, soddisfano i requisiti di forma richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in quanto le ragioni che giustificano il ricorso al rapporto a termine risultano già tipizzate dal legislatore. Rileva, infine, che il sistema di reclutamento del personale a tempo determinato della scuola è conforme alla clausola 5 dell’Accordo quadro perchè la reiterazione è comunque fondata su ragioni oggettive.

1.2 – Il secondo motivo, formulato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione delle medesime norme di legge sopra richiamate. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere abusiva la reiterazione del contratto, perchè nel settore scolastico ogni incarico di supplenza è del tutto svincolato dal precedente e la individuazione del soggetto con il quale concludere il rapporto avviene secondo l’ordine della graduatoria, tanto che il supplente non può chiedere di rimanere nella precedente sede di servizio. La reiterazione, quindi, deriva da “circostanze al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro”.

1.3 – La terza censura denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione e falsa applicazione del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 4, e della L. 27 dicembre 1997, n. 449”. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che la reiterazione del contratto dimostrerebbe in re ipsa la condotta abusiva dell’amministrazione, frutto di una precisa scelta amministrativa. In realtà la sentenza di appello non ha considerato che l’avvio delle procedure concorsuali non dipende dal Ministero dell’Istruzione, perchè deve essere preceduto dall’autorizzazione rilasciata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri della Funzione Pubblica e dell’Economia e Finanze, i quali devono tener conto delle esigenze di bilancio.

2 – Il ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che i motivi del ricorso per cassazione devono essere, oltre che specifici e completi, strettamente riferibili alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia che si intende censurare e l’esposizione di ragioni che siano correlate agli argomenti posti a fondamento del decisum ed illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (in tal senso fra le più recenti Cass. 12 gennaio 2016 n. 287 che richiama Cass. n. 16760/2015; Cass. n. 5353/2007; Cass. n. 1063/2005; Cass. n. 8106/2006).

Nel caso di specie i motivi di ricorso riguardano unicamente la asserita legittimità della reiterazione del contratto a termine e non contengono alcun riferimento al principio di non discriminazione ed alla diretta applicazione della clausola 4 dell’Accordo quadro, che la Corte territoriale ha posto a fondamento della pronuncia, riguardante non l’abuso nel ricorso alla tipologia contrattuale, bensì la necessaria parificazione, quanto alle condizioni di impiego, fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato.

I motivi, cioè, prescindono del tutto dalla motivazione e dall’oggetto della sentenza impugnata, sicchè devono essere dichiarati inammissibili.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del Ministero ricorrente nella misura indicata in dispositivo, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge, con distrazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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